Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “X e Y, un dramma incompiuto” di Giulia Basile

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Mi guardai intorno e ritrovai in una casa che non conoscevo, ma intuivo che gli altri presenti in quella stanza davano per scontato che fosse la mia casa. Ero seduta sul bordo di un letto, che non era quello mio, e X, il mio compagno, ed Y, un uomo che non aveva mai visto, mi stavano accanto. Avevo in mano il telefonino su cui stavo scrivendo un messaggio nel momento in cui loro due erano entrati con naturalezza nella stanza. Ecco che da quel momento ogni gesto subì un’accelerazione. Era come se mi guardassi dal di fuori, come su uno schermo. Continuavo a digitare e intanto rispondevo di no all’invito, accompagnato dal gesto di X, di stendermi e di rilassarmi. Pochi secondi e X mi afferrò le gambe per metterle sul materasso in modo da farmi assumere la posizione orizzontale. Nella foga di ribellarmi alla posizione non voluta, della saliva mi si attorcigliò in gola e produsse un colpo di tosse nervosa. Questo, secondo le parole dei due uomini, avvalorava una tesi assurda: io stavo male, avevo bisogno del loro aiuto, anche se lo rifiutavo, perché non avevo consapevolezza delle mie condizioni di bisogno. E mentre l’altro parlava, X mi aveva già sbottonato confidenzialmente il jeans perché “respirassi meglio”. Intuii in quel momento che non ce l’avrei fatta ad oppormi alla loro forza e volontà. Dovevo agire d’astuzia. Quello di fingere era l’unico mezzo per sfuggire alla drammatica situazione e cominciai a blandire il tizio pelato alla mia destra, di cui riconoscevo – dissi – le capacità taumaturgiche. La cosa non era normale, perché non è normale trovarsi in quella situazione di straniamento come se mi fossi  svegliata da un coma. La scena era bloccata nella gabbia del tempo, senza nessuna finestra sulla scena precedente. Non ricordavo nulla infatti che mi fosse familiare o almeno visto passare davanti ai miei occhi. Come si chiamasse il mio fidanzato, che motivo avesse di agire così. Volevo tempo per capire, ma certo dovevo mascherare la sorpresa che avevo nel cuore. Purtroppo la tragedia, derivata dal suo modo di agire contro di me, arrivò come un fulmine e si materializzò subito dolorosa e crudele. I due uomini – mi era chiarissimo – stavano mettendo in atto un piano criminoso nei miei confronti. Non ne intuivo il motivo, ma sapevo che era così e che non avevo via di scampo. L’unica via d’uscita poteva essere lo stesso strumento dell’inganno che loro stavano usando, dicendo di voler solo aiutarmi a star meglio, quando invece leggevo nei loro occhi la volontà di volermi uccidere. Mentre X faceva altri tentativi per stendermi, non troppo violenti per non incutermi paura, io, che la paura ce l’avevo già dentro, riuscii chissà come a passare sotto le sue braccia, a liberarmi strattonandolo, a raggiungere la porta-finestra e con un salto felino a buttarmi di sotto. Fu una fortuna aver avuto paura, perché averla sentita dentro il ventre quella paura mi dette come una spinta a buttare fuori quell’enorme ingombro, e mi permise di non rimanere immobile, paralizzata come succede di solito. Quella mia reazione pronta, veloce e imprevista impattò con la loro sicurezza e mi aprì un varco. Nessuna considerazione per l’altezza di quella finestra dal suolo. Fluttuavo lentamente, al rallentatore, in verticale, dando le spalle alla strada sotto di me e, scivolando giù lungo la palazzina, guardavo in su  verso la finestra. Vedevo X ed Y,  i volti gonfi di rabbia, le loro bocche dirsi parole concitate che non udivo. Cadevo e intanto pensavo di dover dimostrare a loro che non mi sarei spiaccicata al suolo come una mela marcia,  che avevo invece la possibilità di rimanere a un metro da terra, battendo velocemente le braccia spalancate. Lo stavo facendo, stavo volando! Purtroppo la paura che mi era rimasta, quella sì, appiccicata addosso, non mi faceva godere di quel momento tante volte sognato: volare! Che meraviglia! Volare libera! Rividi in un baleno quella volta in cui ci avevo provato. Me lo ricordai benissimo, ma ero imbracata in una specie di telo che mi sorreggeva, come tante volte da bambini abbiamo visto nelle favole essere rappresentate le cicogne: stretto tra le zampe una specie di fagotto, il bebè portato a rallegrare una coppia innamorata. In atte… della cicogna, appunto, le aveva spiegato sua madre quando aveva messo in cantiere la vita di mio fratello. Quella volta io fui messa distesa proprio in un telo, sorretto da una specie di cicogna metallica, corde e catene a cui ero attaccata e come un missile aveva percorso la distanza tra due corni montuosi, quelli che chiamano le Piccole Dolomiti lucane. Velocemente, troppo velocemente. Sferzata dal vento che mi tappava il respiro, accecata da un azzurro luminoso e dalla meraviglia di quanto poco mi ci fosse voluto per toccare il cielo con un dito, quel volo dell’angelo era appena cominciato ed era già finito. Non avevo nemmeno potuto assaporare quel senso di libertà che provò Icaro, che fece impazzire Leonardo, che suggeriscono le aquile, l’emozione e il piacere, e il potere che danno le ali nell’immaginario collettivo. Insomma avrei voluto, seppure imbracata, aprire nel volo le braccia, ma era tassativamente proibito per non rallentare la corsa. Non osai disubbidire alle raccomandazioni: se avessi aperto le braccia avrei rischiato di ritrovarmi ferma e dondolante al centro del tragitto, sospesa tra le nuvole, con sotto la valle, lontanissima e piccola ma presente come una verde minaccia alla mia sopravvivenza. Non osai. Così, con le braccia ben attaccate ai fianchi, mi accontentai di bearmi del panorama fantastico sotto di me e del cielo sopra di me, io, un puntino nell’azzurro, un puntino nell’universo. Ma dov’ero? Ora ero senza imbracatura e seppure quasi rasentando il suolo, volavo, sì. Che fosse vero lo capivo dalle facce stravolte dei due affacciati alla finestra e dal grido di uno dei due: afferriamolaaa!

Toccai terra in piedi e l’unico pensiero utile fu fuggire: girare l’angolo di quel palazzo, prima una curva a destra, poi subito a sinistra a nascondermi tra quelle case. Un portone aperto ed eccomi in un lampo, su fino al primo piano come se ora fossi a casa mia. Infatti infilare le chiavi nella serratura ed entrare  diritto in una piccola stanza da letto fu tutt’uno. Un solo lettino con un copriletto a fiori, e una sedia. Non ebbi nemmeno il tempo di chiudere la porta che sentii Y, il pelato, nel corridoio parlare al telefonino “la troveremo, non temere“. Non dovevo fare rumore, pena la mia vita. Mi appiattii dietro la porta semi- aperta. Il fatto che ci fosse la luce accesa (non da me, la stanza era già illuminata quando vi ero entrata) poteva essere indizio della mia presenza? Me lo stavo chiedendo, e trattenevo il respiro a più non posso. Il mio cuore assorbì tutta l’ansia dei  momenti precedenti e di quelli  futuri, imprevedibili. All’ansia si aggiunse la paura in un mix esplosivo e mi procurò un attacco di tachicardia. Pum pum pum… un battito forte e accelerato, dal cuore arrivava in gola e quasi spingeva per uscire dal petto. Avevo chiuso gli occhi, mentre mi chiedevo se il calvo si fosse o meno accorto della mia presenza dietro la porta, e mi andavo appiattendo sempre di più tra la porta e la parete di quella stanza. Ma stranamente quella parete, alla quale mi ero incollata trattenendo il fiato, non era fredda. Emanava calore. Aprii gli occhi con coraggio: aggrovigliata stretta nelle mie calde coperte, ero al sicuro nel letto di casa mia.

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3 commenti »

  1. leggi nei primo rigo . Mi guardai intorno e mi ritrovai. …..

  2. Bellissimo

  3. “Nessuna notte è così lunga da impedire al sole di risorgere.” 🙂

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