Premio Racconti nella Rete 2012 “Pezzi di vetro” di Lorena Bruno
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012«Non conosce paura,
l’uomo che salta e vince sui vetri
e spezza bottiglie e ride e sorride,
perché ferirsi non è possibile,
morire meno che mai, e poi mai».
Pezzi di vetro, F. De Gregori
A Luca e Lena piaceva dar da mangiare ai gatti nell’Area sacra di Largo Argentina. Così si conobbero due persone timide come loro.
-Piacere, mi chiamo Luca – disse lui tendendo la mano.
-Lena – disse stringendola con delicatezza.
-Lena?
-Maddalena – fece lei asciutta – ti sarebbe piaciuto chiamarti così? – fece un sorrisetto e poi arricciò il naso.
-Non saprei – le rispose guardando un punto lontano di fronte a sé. Era d’accordo, di fatto, ma troppo discreto per dirlo. Poi tornò con lo sguardo su di lei, rannicchiata vicino ad un gatto che le dava piccole testate affettuose sul dorso della mano. Notò dei graffi sulle sue braccia.
-Vieni spesso qui?
-Tutti i giorni- rispose lei.
E così, a poco a poco, anche Luca trovò il tempo di andare al Largo Argentina ogni giorno, non tanto per nutrire i gatti panciuti che sonnecchiavano tra gli scavi, ma perché era attratto dal sottile velo di lentiggini sul viso di Lena, dalla sua pelle chiara, da quei capelli biondo scuro e dai suoi occhi color miele. Non parlavano molto, il silenzio e la vicinanza reciproca bastava ad appagarli entrambi ma lei non poté fare a meno di notare che Luca veniva sempre quando sapeva di trovarla lì, a farsi accarezzare dai gatti le braccia ferite.
Col passare dei giorni il loro rapporto si arricchì di una maggiore confidenza e sempre più spesso, dopo aver passato un po’ di tempo coi gatti, andavano insieme alla libreria in piazza.
Luca era contento di vedere che a poco a poco le cicatrici sule braccia di Lena si stessero rimarginando, non ricordava di aver visto neanche uno dei gatti affondare le unghie nella sua carne.
Luca e Lena adoravano passeggiare per le aree archeologiche di Roma. Appena possibile andavano insieme tra una rovina e l’altra, curiosi di quegli edifici manchevoli, di quelle antiche strade lastricate di pietre lisce. Lei guardava le rovine e lui guardava lei, quel suo profilo minuto, coi capelli lisci come spaghetti, lunghi fino alle spalle. Un giorno, mentre Lena se ne stava col naso all’insù a fissare il timpano di un tempio, Luca non poté fare a meno di allungare un dito verso di lei, poggiarlo sotto il mento per avvicinarlo alle sue labbra. Lena, con un fremito, si fece guidare da quel gesto delicato e si lasciò baciare.
-Voglio solo stare con te – le disse scostandole dolcemente la frangetta e scoprendo la pelle chiara. E lei si perse nei suoi occhi verdi senza riuscire a dire che era così anche per lei.
**
Un giorno Lena arrivò a casa di Luca trascinando due valigie un po’ vintage e lo trovò con due gattini sulla pancia, sprofondato nel divano. Quando lui alzò la testa e vide quelle valigie ebbe un moto di felicità, volle muoversi di scatto verso Lena ma dovette prima adagiare piano i due micetti addormentati su un cuscino. Poi si precipitò a stringerla forte.
-Sono felicissimo – disse poggiando la fronte contro la sua. Lei gli rispose con un sorriso ad occhi lucidi e lo strinse a sé. Esile com’era, Luca riusciva ad avvolgerla completamente.
Non era stata una scelta facile la sua, per diversi motivi; era come se dentro di loro ci fossero spazi vuoti, zone d’ombra, abissi, giardini pieni d’erbacce, che se si fossero toccati avrebbero nociuto sia a lui che a lei. Lena aveva sempre avuto paura di questo, perché quando era stata male aveva accentuato i malesseri di Luca e quando al contrario, lui si era agitato, aveva accresciuto l’angoscia di lei.
Ci aveva messo due settimane per decidersi a tornare con lui per viverci insieme, nonostante le sue paure.
La camera di Luca era diventata la loro alcova, dove lei gli insegnò a fare del sesso un momento di comunicazione. Si era chiesta come mai Luca l’avesse sempre baciata ad occhi chiusi – chi bacia ad occhi chiusi nasconde qualcosa, aveva letto una volta, e da allora aveva sempre aperto gli occhi, lei. Si era chiesta anche perché mentre affondava il bacino in mezzo alle sue gambe nascondesse il viso nell’incavo del suo collo. A poco a poco, aveva preso il suo viso tra le mani, più e più volte, scostandolo da quella nicchia, gli aveva sussurrato “Luca, apri gli occhi, guardami” e così lo scambio di piacere era diventato anche un momento di comunione prezioso.
Tra tutte le cose di Lena, l’oggetto preferito di Luca era il suo beauty gigante e rosa, così pieno di cassettini ben fatti, che sembrava una casa di bambola. Ancor più lo avevano affascinato i profumi che emanava il contenuto ogni volta che sceglieva di aprirne uno. Un giorno però, non vi trovò né creme né unguenti, né rossetti o sacchetti di lavanda, ma piccole forbici, lame e rasoi. Sembravano vecchi, lasciati là da molto tempo. Un brivido alterò l’espressione del suo viso: i tagli che aveva notato sulle braccia di Lena non erano mai stati provocati dai gatti di Largo Argentina, ma da lei stessa.
-Ora non lo faccio più – gli aveva spiegato con una certa sicurezza nella voce – da quando ci siamo conosciuti ho smesso. E il suo corpo non mentiva, né mentiva quella pelle liscia, Luca lo sapeva, poiché aveva percorso il suo corpo quella stessa notte, era rimasto a guardarla ed accarezzarla come se stesse suonando un antico strumento dalla tastiera lunga. Le braccia, però, portavano le tracce delle antiche ferite, erano come lo specchio della sua anima, Lena fragile e triste di cui un padre egoista aveva nutrito i vuoti neri, con cui lei aveva dovuto confrontarsi tutti i giorni della sua vita. Se è vero che Lena aveva smesso di farsi del male consciamente, d’altro canto aveva continuato a nutrire rabbia nei confronti del padre, sentimento viscido e color nero di seppia, che aveva finito per farla stare male. Ogni notte Lena non faceva che mordicchiarsi la lingua e le guance in modo insistente, e a volte anche di giorno si era ritrovata a farlo, sorprendendosi lei stessa del modo subdolo che aveva trovato per farsi del male e dare sfogo quella rabbia.
«Insieme visitate la notte
che dicono è due anime e un letto
e un tetto di capanna utile
e dolce come ombrello teso
fra la terra e il cielo».
Pezzi di vetro, F. De Gregori
Mentre facevano l’amore, Luca la baciava spesso – baci profondi e voluttuosi – e lei si chiedeva sempre se lui riuscisse a sentire la sua ferita sulla lingua, che lei avvertiva dal sapore strano. Il giorno che ebbe il coraggio e la semplicità di chiederlo a Luca, lui insinuò ancora una volta la lingua tra le labbra di lei, baciandola con eguale amore, aveva imparato a guardarla negli occhi anche in quei momenti. Percepì un calore maggiore vicino alla ferita, che da quel momento prese ad accarezzare con la lingua, come baciava ogni singola cicatrice, quando percorreva il suo corpo per coccolarla.
A Luca piaceva accendere ceri in chiesa. Non importava la messa, per lui illuminare quei sottili steli bianchi era come una preghiera. Lena aveva sempre pensato che quelle candele fossero d’aiuto alle anime desiderose di vedere in viso un altro tipo di Luce, per Luca era semplicemente un modo per pensare suo padre.
Era curioso il modo in cui la figura paterna avesse segnato le loro vite: per Lena quel segno non era diverso dalle cicatrici che portava addosso, ma per Luca si era trattato di qualcos’altro.
-Mio padre era un tipo ansioso – le raccontò un giorno giocherellando con la sua mano – mi riempiva di attenzioni, si preoccupava sempre tanto per me, fino a che mi accorsi che lo faceva molto più di ogni altro padre. Non sapevo come fare per non sentirmi soffocato dalle sue cure senza ferirlo. Spesso ho pensato che se lui si comportava in quel modo doveva esserci un motivo.
Per tanto tempo ho cercato una risposta.
Alla fine le mani di entrambi erano sudate, tanto Luca le aveva stropicciate. Lena aveva poi bloccato quei suoi gesti ansiosi e aveva stretto la mano fra le sue, mentre lo guardava in viso e ascoltando attentamente le sue riflessioni. Poteva comprenderlo fino ad un certo punto, perché aveva subito una sorte del tutto opposta: aveva sempre sperimentato l’atteggiamento indifferente di suo padre, il completo disinteresse e infine il rifiuto netto del suo modo di essere; se avesse voluto farsi amare da lui avrebbe dovuto essere completamente diversa. Suo padre non ebbe mai modo di conoscere i tratti che l’accomunavano a sua figlia, perché non lasciava lo spazio per farli venire fuori. Ad ogni modo, pur non avendo mai ricevuto troppe attenzioni da lui, Lena cercò di capire Luca, aiutandosi con le espressioni del suo viso, quell’aria malinconica di chi guarda sempre altrove mal celando un vuoto.
-E allora? – chiese – Hai trovato una risposta?
-Sì, la peggiore – rispose lui dopo una breve pausa. I suoi occhi incontrarono quelli di lei, dall’espressione preoccupata.
-Ho cominciato a pensare -riprese – che il problema fossi io, e che non ci si potesse fidare di me; ho smesso di fidarmi di me stesso molti anni fa.
Le idee di Lena erano ancora più confuse di quanto non lo fossero prima, non capiva come mai lui non si fidasse di sé, lei stessa si sarebbe lasciata guidare ad occhi chiusi da lui. Capì cosa volesse dire solo al momento in cui Luca le disse delle sue paure.
-Ho sviluppato un’insofferenza, una vera e propria fobia per i piccoli oggetti, devo sempre controllare che non spariscano sotto il mio naso – cercò di spiegare – per paura di soffocare, per paura di ingoiarle…io stesso. Così controllo in modo maniacale che i tappi delle bottiglie siano al loro posto, che le linguette di alluminio non siano scivolate all’interno delle lattine, mi tengo ben lontano dai cocci di un bicchiere di vetro, il solo rumore del vetro che cade in terra mi provoca il panico; non mastico mai le gomme, né sopporto che lo faccia chi mi sta vicino, l’idea che possano finirmi in gola mi fa sospirare forte, perché mi manca l’aria.
Ora la sua mano aveva lasciato quella di Lena e stropicciava la sua fronte, i suoi occhi: parlare di quelle paure era sempre un po’ angosciante, benché fossero ormai delle abitudini quotidiane con cui aveva imparato a convivere.
Quel pomeriggio in cui Luca le disse tutto fu assalita dalla paura e un’immagine orribile le si fissò davanti agli occhi: si vide con lui, nella loro casa, mentre le scivolava un bicchiere in terra e Luca rimaneva raggelato dalla paura; atterrita, si vide ginocchia a terra a raccogliere i cocci, con foga, con l’ansia di farli sparire, senza poter sopportare una crisi di lui. Le sue mani erano svelte a racimolare anche il più piccolo pezzo di vetro, senza preoccuparsi dei polpastrelli grondanti sangue. All’improvviso afferrava un pezzo di quei vetri e cominciava a tracciarsi linee color sangue sulle braccia.
Quando Lena riuscì a riaversi da quella tetra visione erano passate due settimane. Era fuggita via da lui e dai suoi tentativi di riappacificazione. La paura che lei e Luca potessero nuocersi a vicenda non le aveva dato pace, e per questo lo aveva allontanato all’improvviso. Ma poi in lei prevalsero altri pensieri, rinunciare a Luca senza neanche aver provato a viverci insieme era come scegliere di non vivere fino in fondo anche le cose belle che lui riusciva a darle, sentiva che era troppo presto per arrendersi e non ne aveva alcuna voglia: per quanto temesse di stare peggio insieme a lui, non poteva fare a meno della sua presenza. Perché se era vero che a volte la rendeva ancora più ansiosa, lo era anche il fatto che senza di lui si sentiva terribilmente monca, incompleta, vuota. Grigia. Come senza la parte più bella di sé stessa, quella più allegra, che lui sapeva tirar fuori.
Ecco il motivo per cui Lena comparve all’improvviso a casa di Luca con le sue valigie vintage.
Solo vivendo insieme a lui Lena si rese pienamente conto di quanto Luca fosse condizionato dalle sue fobie, perché la paura di soffocare la portava con sé fino al letto.
-Devi fare la doccia prima di dormire con me – disse con dolcezza – solo per evitare che non ci siano oggetti che possano finirmi in gola.
Pausa.
-Lo so che è una cosa assurda, ma ne ho bisogno. Lo faresti per me? – aveva chiesto con la stessa dolcezza.
-Non appoggiarti al muro mentre sei pulita. E neanche ai mobili o alla finestra. Niente è pulito.
-Per te – puntualizzò Lena con semplicità.
Lui la guardò dispiaciuto.
-Sì, per me.
Ogni volta che era stata a casa di Luca, prima che si trasferisse da lui, aveva sentito che quella era la cosa che aveva desiderato più di ogni altra da giorni, era come se potesse di nuovo incastrare tra le sue tessere quella che le mancava per stare bene. Luca era quella tessera. Ma era anche fonte di angoscia.
-Perché devi sederti proprio lì? Non è pulito! Sembra quasi che tu lo faccia apposta!
Anche quando Luca non era in casa continuava a comportarsi secondo quelle regole assurde, assecondando le sue paure, per poi rendersi conto che non importava su quale mobile appoggiasse il gomito e neanche su quale sedia si sedesse: nessun oggetto di plastica avrebbe potuto rimanere appiccicato addosso a lei, i suoi occhi sarebbero bastati a rassicurarla. Ma era come se l’angoscia di Luca si fosse insinuata nella sua e la stesse alimentando a sua volta.
-Non bastavano le mie di angosce! – si era ritrovata a sputare dopo un grosso sospiro.
In certi momenti si ritrovò a fissare un paio di forbicine posate in bagno. Un misto di orrore e tentazione l’avevano travolta: ricordava bene quelle sensazioni. Aveva paura di prendere in mano le forbici per quello che avrebbe potuto fare, eppure desiderava di nuovo sentire quelle punte sottili e taglienti sulla pelle, a scoprire una linea di sangue e il dolore che avrebbe avvertito, che tante volte l’aveva fatta sentire viva. Ma poi respirava affannosamente, ricordando quali sofferenze aveva patito a causa dei suoi graffi e dello strano desiderio di disegnarsi addosso le ferite che sentiva dentro di sé, di mostrarle a tutti – che fossero ben visibili! – come una disperata richiesta d’aiuto.
Così tornava a letto da Luca per rannicchiarsi contro il suo petto e sentire che lui la stringeva forte, per averla ancora più vicina.
-Non hai bisogno di gridare, né di farti del male, io vedo le ferite che hai dentro – le diceva con la voce calma e calda, la presa salda delle sue braccia attorno a lei – Voglio averne cura. Perché amo anche questo di te, io ti amo per come sei.
Ecco un altro motivo per cui Lena rimase ancorata a lui, in quel misto agrodolce di angoscia e amore incondizionato. Ma la paura che l’uno potesse alimentare le sofferenze dell’altro non l’abbandonava mai. Si riprometteva sempre di non fare nulla che potesse accrescere le fobie di Luca, così come lui cercava di andarle incontro come poteva.
Un giorno Luca le chiese di accendere un paio di ceri “per papà”.
– Per papà? – -scattò lei incredula.
– Mio papà – puntualizzò Luca salutandola.
– Ah, ecco.
E così Lena entrò in chiesa in preda ai pensieri. Non voleva che il risentimento che provava per suo padre influenzasse il gesto semplice che lui le aveva chiesto di fare.
Prese un cero e poi un altro, la fessura di legno ingoiò le sue monete; pensò alle poche foto che aveva visto di quell’uomo e sospirò. Chiuse gli occhi per sgombrare la mente dalla rabbia e così accese le candele pensando a quel padre che, pur sbagliando, non aveva suscitato rabbia nel proprio figlio.
Lena si chiese come fosse possibile, non riusciva proprio a concepirlo. Si sedette e cominciò a pregare.
Dopo due Ave Marie un tizio venne a dirle che doveva coprirsi le spalle, dato che la maglietta le lasciava scoperte, e uscì dalla chiesa per aspettare Luca seduta sui gradini di una fontana.
Quello che la stupiva giorno dopo giorno era che Luca sembrava sempre sereno, nonostante le sue fobie. A meno che non ci fossero giorni di tensione al lavoro, o tra loro due, quando non riusciva più a controllarsi, Luca riusciva a conviverci senza angoscia. Lena cominciò a domandarsi perché ci fosse sempre un lavorio dentro di lei, un’inquietudine latente, sorda, ma costante. Avrebbe voluto liberarsi della rabbia verso suo padre, ma non ci era mai riuscita. Semmai un altro sentimento si era fatto strada nel suo stomaco, nelle parti più basse del suo sentire. L’odio.
Il risentimento. E la sincera voglia di posare le mani sulle tempie di suo padre, il desiderio di possedere un potere speciale che le permettesse di fargli sentire in quel modo tutta la sofferenza che lui le aveva inflitto. Provava un’insana voglia di rispedire tutto al mittente. Una volta per tutte.
Non aveva mai provato emozioni così negative ed astiose nei confronti di qualcuno e questo le faceva paura, aveva fatto luce su un altro lato del suo carattere, quello più oscuro, che reclamava vendetta e il diritto di essere difesa, perché non aveva mai saputo farlo, fin da bambina. Andava in cerca dei motivi per cui si era sempre sentita così poco amata, dentro di sé, ne cercava ogni traccia per poterla esaminare col bisturi della sua penna sul diario rosso, inseparabile da lei; sembrava gattonasse con gli occhi sbarrati, in giro per stanze alte, cercando di conoscerne ogni angolo. Restava in attesa che gli altri le dessero spunti per riflettere su aspetti che non aveva mai preso in considerazione, ogni cellula del suo corpo bramava di risolvere l’arcano, di capire perché fosse in un certo modo, perché suo padre l’avesse trattata così e quali sarebbero state le conseguenze del suo disastroso rapporto con lui.
Incapace di controllarsi, un giorno chiese alla madre di Luca come mai suo figlio non provasse alcun risentimento nei confronti del padre, in una pizzeria, mentre lui era fuori a fumare. La famiglia di Luca, o quel che n’era rimasto, era la sua stessa famiglia e così sua madre non lesinò la risposta:
“Perché suo padre l’amava. Il suo era amore. Se avesse potuto gli avrebbe risparmiato il più piccolo dolore e Luca lo sentiva. Avevano un rapporto simbiotico, amichevole, troppo forte. Era amore, ecco perché Luca non potrebbe mai essere arrabbiato con lui”.
Lena prese il coltello di fianco alla sua pizza e si tagliò un polso, coprendosi con la tovaglia della tavola, uno strappo e via, un colpo al cuore e uno alla pelle, un dolore l’aveva colpita dentro e ed ecco che subito l’altro lo echeggiava fuori; per un urlo soffocato dai singhiozzi c’era una ferita ben visibile. A tutti.
Corse in bagno sanguinando, portandosi le mani alla bocca, in lacrime, il suo vestitino bianco macchiato di rosso vivo. Dopo aver pianto tanto da sentirsi cascata, salice, si addormentò sul letto di Luca, dopo che lui l’ebbe riportata a casa.
-Lena.
Sentì in lontananza la voce dolce di Luca, poi riaprì gli occhi. Le bruciavano e così le ritornarono in mente i minuti trascorsi in bagno a piangere, ad emettere singhiozzi muti, nello specchio una ragazza insanguinata e tutto il suo dolore. Luca aveva spalancato la porta del bagno precipitandosi da lei, per abbracciarla forte, proibendole qualsiasi movimento. Voleva proteggerla da lei stessa. L’aveva stretta contro di lui, baciate le lacrime calde, le aveva cinto le spalle con un braccio, sorreggendola; con l’altra mano aveva messo il suo polso sotto l’acqua fredda, per un po’.
-Allora mio padre non mi ha mai amata, perché? – aveva detto tra i singhiozzi – Cosa gli ho fatto? Perché non mi vuole? Allora sono io, sono solo io!
Non si dava pace, sputava una ad una le domande che aveva dentro, come biglie taglienti. Sentiva che la differenza tra lei e Luca stava proprio nell’amore, continuavano a balenarle in testa due concetti molto semplici, suo padre lo ha sempre amato, il mio non ha fatto lo stesso con me. In fondo lo aveva sempre sentito, era questo il motivo per cui lei stessa per prima non aveva imparato ad amarsi, i gesti di suo padre le avevano restituito un’immagine di sé talmente insignificante che aveva preso a vedersi così, senza importanza, invisibile, manchevole, fatta di nessuna sostanza.
Distesa sul letto, col polso fasciato, senza forze per ciò che era riuscita a realizzare ascoltando le parole della madre di Luca. La verità era stata troppo dura da sopportare e aveva lasciato che la travolgesse e che la sfinisse fino a farla addormentare tra le braccia di Luca.
-Mi spiace.
Le disse continuando a tenerle la mano, sembrava…addolorato e colpevole.
Lena avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, che tutto quel dolore era solo una questione tra lei e suo padre, ma temeva che la sua voce sarebbe suonata rauca, tanto aveva gridato mentre piangeva.
Fece solo un cenno di negazione col capo e gli accarezzò il viso.
Luca si alzò dal letto e la invitò a fare altrettanto, per portarla lentamente davanti allo specchio lungo, dentro l’anta dell’armadio. L’abbracciò da dietro e le fece guardare ancora il suo riflesso, una ragazza pallida, con gli occhi gonfi dal pianto, tristi, il corpo pericolosamente sottile, i capelli lisci e lucidi, un polso fasciato di bianco e mille cicatrici sulle braccia.
– Spiegami soltanto perché ti lasci ridurre così. Ti stai consumando – ora poteva avvertire rabbia nelle sue parole – Puoi davvero gettare la tua vita al vento perché tuo padre è un egoista? Lo capisci che è un problema suo e non tuo?
Poi smise di parlare, perché Lena aveva di nuovo gli occhi lucidi. Si guardava allo specchio e vedeva anche lei un essere sfinito, consumato dal dolore, avvertiva quanto fosse ingiusta tutta quella sofferenza inflitta al suo corpo e alla sua mente. Desiderava ciò che non avrebbe avuto, un vuoto che né lui e nessun altro avrebbero potuto colmare.
Una mattina di sole giallo e cielo chiaro stava seduta in cucina a godersi il calore dei raggi, che sembrava curare le sue ferite, si sentiva svuotata, come se fosse appena corsa via da una città su cui piovono granate, ma si sentiva anche più leggera, più di quanto non avessero potuto su di lei digiuni e ferite. Ma avrebbe dovuto ricominciare daccapo a ricostruire la sua vita, pezzo per pezzo. Per non essere solo Lena che il padre non ama, ma per essere solo sé stessa. La vita le aveva dimostrato che Luca sapeva aiutarla a difendersi dall’autolesionismo e che lei lo avrebbe aiutato a difendersi dalla paura di nuocersi da solo per la scarsa fiducia che aveva in sé stesso. Insieme, pensò, sarebbe stato più facile: nel bene e nel male, nell’amore e nell’odio, nel vuoto e nella mancanza, non erano poi così distanti.
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Ciao Lorena, ho letto tutto- Scritto bene, l’affresco di un disagio da mettere sotto la lente della psicanalisi. Una storia di guarigione possibile di cui resta incerto l’esito perché i rapporti parentali sono intricati. Non è detto che l’amore tout-court possa salvare da solo e lo fai anche capire.
Un solo difetto: la lunghezza e la tautologia di alcune parti, potevi essere più drammatica se lasciavi l’immagine e non la descrizione. Buona fortuna!
Grazie Alice, trovo che le tue osservazioni siano terreno fertile per una mia riflessione, per questo quindi sono ancora più gradite. :))