Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Periferia sommersa” di Guido Colletti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Leggo pochissimo i giornali soprattutto quando questi intessono lodi su Milano; gli artisti sono gente strana, ed io sono un artista  che dopo cena consulta il Tuttocittà durante i TG.

I TG mi annoiano, ogni cosa mi annoia, Milano è una ciminiera di gas, tuttavia la consultazione del Tuttocittà è qualcosa di assolutamente affascinante. Consulto tanto per consultare, col solo piacere dell’immaginare fine a se stesso. Mi confronto con quei tracciati bianchi delle vie e osservo dove le zone abitate scompaiono, dove le vie diventano lunghe strisce bianche sinuose. Cerco allora di immaginare che cosa ci sia vicino a quei vialoni o a quelle viette isolate senza nulla intorno. Campagne? Capannoni? Quale emozione estetica danno le vie periferiche squallide di Milano?

Il fascino per le estreme periferie di Milano è nato dopo una fatidica sera di giugno, stiamo parlando di parecchi anni fa ormai; avevo ancora una Visa Citroën 650 color mattone, un grosso girello di ferraglie accampate, semoventi.La vecchia Visa era tutto uno scossone e un tremore, ma ha respirato e marciato per lungo tempo. Ora non c’è più, l’ho fatta sopprimere una mattina di giugno da due boia rottamatori, due avanzi di galera senza scrupoli.
In ogni caso in quelle ferraglie e in quei sedili muffosi ci sono tanti ricordi, tra cui ciò che successe quella fatidica sera di giugno, come dicevo, quando dopo aver festeggiato il compleanno di Sergio in un locale del quartiere Ripamonti, mi sono perduto alle due di notte.
Diciamo subito che i giovani milanesi non osservano nulla, sono solo interessati ai locali notturni in senso proprio, non importa dove essi siano, quale sia lo scenario metropolitano che li ospita.
La zona Ortles-Ripamonti dove mi trovavo quella sera, non era proprio il massimo, in termini di estetica, accoglienza e sicurezza pubblica.
All’andata percorrendo in macchina via Antonini all’ imbrunire, già avevo la sensazione di sentirmi smarrito nonostante le numerose automobili che mi circondavano.
Nonostante queste premesse il compleanno di Sergio si festeggiò in un ristorante e a serata conclusa mi toccò accompagnare a casa uno degli invitati, Andrea, che abitava in viale Bacchiglione, mentre noi eravamo alla fine di via Antonini, in p.za Chiaradia.
Montammo tutti e due sulle Visa alle due circa.
“Mi guidi tu? Non conosco bene ste strade”, domandai.
“Sì, vai giù per questa via, si fa prima”. La imboccai senza pensarci troppo, si chiamava “via dei Fontanili”, era una via strana, stretta e tutta curve, man mano che ci si inoltrava tutto quello che stava intorno sembrava spostarsi insieme alla macchina, cancelli, muriccioli, e capannoni dismessi incombevano, precipitavano vicino al nostro passaggio, poi si allargavano quando si curvava.
Il buio era smorzato da appena pochi lampioni, non c’era nessuno alle due della notte, sembrava che questa corsa non avesse mai fine.
Finalmente un bivio: destra o sinistra. Che fare? Andrea mi fece voltare a destra.La carreggiata si restringeva ancora di più, alla mia sinistra, c’era la piccola riva di un ruscelletto, una roggia, pochi alberi, alla mia destra una casa diroccata con la targa di “via Corrado il Salico”…”Andiamo avanti, andiamo avanti”, mi suggeriva Andrea, mentre lo sbigottimento e un terrore diffuso, solo appena accennato si diffondeva tra le ‘ferraglie’ della Visa.
Non ricordo come proseguì la strada, so soltanto che a un certo punto mi sembrava di essere inghiottito nello stomaco di una balena; feci una curva a gomito strettissima e la macchina cominciò a traballare, iniziò un tratto di carreggiata non asfaltato con dei grossi sassoni che facevano a gara con balzi felini a colpire le parti migliori del telaio della mia adorata Visa. I lampioni erano spariti…buio pesto assoluto. “Ma dove cazzo stiamo andando???”
Stavo scendendo nei bassifondi di qualche antro misterioso…Ad un tratto delle luci si proiettarono sul muro di una catapecchia e capì finalmente di ritrovare l’abitato, la via Ripamonti.
Poi imboccai subito viale Ortles, un triste squallore animato da bambole colorate e sgargianti che spuntavano nella nebbiolina, le “belle di notte” del quartiere.
Rallentai per osservarne una e mi sembrava un manichino vivente molto grottesco; continuai a guidare con una voglia strana, la voglia bizzarra di gridare a tutti: “Milano così non l’avevo mai vista!”.

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