Premio Racconti nella Rete 2012 “Settembre” di Maria Del Vecchio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Devo parlarti , cerca di venire qui appena puoi.
Mentre aspetto Daniele nell’atrio del mio antico portone, mi soffermo ad osservare, sull’uscio, una bambina col vestito rosso che saltella cantando una canzone della mia infanzia:
“La bella che dorme sul prato dei fiori , oh, che dolore, doverla svegliar!”
Sono poche e confuse le nostre parole.
E’ caduta, è morta. Marianna è morta.
Restiamo seduti a respirare silenzio mentre i nostri telefoni continuano a squillare, messaggi su messaggi. Tutti sanno. Ora è più vero.
Continuavo macabramente ad immaginarla in volo. Cristina piangeva e diceva che ci vuole coraggio a gettarsi dall’ultimo anello della torre di Pisa. Mi sembrava così stupida quella frase, odiavo sentirla, odiavo ascoltare la successione di quelle parole, mi disturbava l’ordine , mi disturbava, forse, la morte.
Il dopo è una bara bianca e un prete che si rifiuta di pronunciare la predica condannando un suicidio, condannando il dolore di un conforto inascoltato.
Dinanzi a casa sua vi sono ovunque fiori, un profumo nauseante di glicini ed un sole caldo ed insistente di Settembre illumina le urla della madre; urla che sembrano conoscere a memoria un solo nome e lo disegnano, insensatamente, come un bambino che tenendo in pugno un pastello fa linee su un foglio, premendo tanto da curvarlo, tanto da lasciare segni evidenti sul banco. Le lacrime di tutti non coprono la nenia, possono farlo solo le campane.
Ho scritto un po’ di frasi su un foglio. I miei vecchi compagni di classe le hanno lette. Siamo tutti laureati ora, anche Marianna è morta da laureata.
E’ morta, realmente, in un’altra città, non a Pisa.
È morta in una città tremante, le è crollata la Casa dello Studente sulle gambe e deve aver perso pezzi di pelle, anche. Credo che pezzettini minuscoli del suo cuore siano ancora accatastati sotto polvere e macerie.
I suoi libri, però, erano sopravvissuti. I libri, sempre, sopravvivono ai terremoti. Infatti me lo aveva detto e m’aveva chiesto di consigliarle qualcosa da leggere. Le dissi di Mario Desiati, del suo ultimo libro : Ternitti. Sono, ancora, quasi certa che l’abbia comprato. Sono sicura che quel libro le sia sopravvissuto.
Annalisa, invece, s’è schiantata in un albero.
Sola, mentre stava tornando a casa. Antonio, mio fratello, l’amava e , forse, non ha potuto, ecco, non è stato in grado di dirglielo.
Questo maledetto sole di settembre e questo nauseante odore di glicini mi perseguitano.
Amavo Settembre.
Io, sostanzialmente, per quel che ne so, sono viva.
Ho smesso solo da pochi giorni di nascondermi.
Ho smesso d’aver paura di camminare, di abbracciare mio padre, ho smesso di rifugiarmi nei letti degli altri per stare lontana dal mio.
Ho pensato, d’altro canto, che odierò Settembre e i glicini, forse, come m’è capitato di leggere in un libro.
In quelle poche frasi che scrissi, le dissi che, per me, lei è come una foglia d’ulivo che si staglia verso il cielo, profumata ed arsa. Volevo scriverlo su un muro un giorno. Mi è parso irrispettoso e non l’ho fatto, ma conservo il desiderio che ho avvertito in quel momento.
Sai cosa non riesco proprio a ricordare?
Chi c’ha scattato, quel giorno, quella foto, a Vienna.
Quella sui gradini. C’eravamo tutti. Sorridevamo, ma nessuno guardava nell’obiettivo , ricordo che rubammo un paio d’orecchini e comprammo birre per nasconderle negli zaini.
Ora non so più cosa voglio fare da grande.
Non me lo ricordo.
Devo averlo disimparato. Ho perso molte volte oggetti e li ho ritrovati, mi è capitato di ritrovarli in giorni non sospetti, proprio mentre ne stavo cercando altri. Ed il prima ed il dopo e tutto questo vento di precariato, queste viscere di miei coetanei che scorgo sulla metropolitana mentre sono seduti e guardano il vuoto, il nulla, hanno paura di salutarsi, hanno paura di toccarsi, tutto questo sentimento di funamboli girovaghi sa troppo di niente. Ha proprio il sapore del nulla. Non uno stato d’evoluzione, un bisogno di allontanarsi.
Via dalla terra, via dal Paese, dalla madre, dal padre, dalla sorella, dal fratello, dallo specchio, via, lontano.
Lontano assomiglia ad una verbo greco di cui ricordo il paradigma: lantano, mi nascondo.
Vivo nascosto.
Vivo?
Non ricordo neppure questo, qualche giorno.
Roberta fa l’estetista vive con mille euro al mese e lavora dodici ore al giorno.
E’ impossibile.
Miljana è venuta dalla Serbia, sta facendo il dottorato su una scrittrice italiana, mi ha scritto, una volta, su un fogliettino di carta, bianco, strappato, minuscolo, come si dice la parola terra nella sua lingua. Non l’ho ancora dimenticato.
Elisa vuole fare la manager, ma una volta m’ha chiesto un libro, un libro che la facesse sentire meglio, m’ha detto così: Mi dai un libro contro la depressione?
Erano passati solo quindici giorni dalla sua discussione di laurea.
Dove stanno correndo tutti?
Vanno a teatro.
Hai preso i biglietti? Avevo io la prenotazione, passiamo a ritirarli, dai lo spettacolo sta per iniziare.
Questo attore vestito bianco devo averlo già visto da qualche parte.
C’è una corda appesa al soffitto e al centro del palco una sedia. Non si vedono altri colori, né altri attori. Il monologo è pieno di periodi ipotetici non conclusi. Il protagonista è un assassino ha ucciso sua moglie, sua figlia ed una vicina di casa, però non piange e si sofferma, dopo le svariate supposizioni, ad analizzare meticolosamente i motivi che lo hanno spinto a divenire un omicida.
Di tanto in tanto si volta di spalle e urla nomi maschili.
Stacca la corda dal soffitto e sale sulla sedia emulando un aeroplano, mentre fa questo ride fragorosamente e non si rattrista per le morti della sua mano.
Improvvisamente comincia a camminare velocemente avanti ed indietro senza andare da nessuna parte modulando a toni alti e toni bassi la sua voce. Alla fine, getta la corda verso il pubblico e va via.
Preferiresti essere felice o attendere d’esserlo?
Continuo a pensare a quella bambina.
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Complimenti. Bel racconto, toccante, crudo con sentimenti veri e profondi. Mi hai suscitato ricordi accantonatii: mio padre cantava sempre quella canzoncina alle mie figlie piccole per farle addormentare.
Grazie mille, anche mio padre me la cantava quando ero piccola. E’ uno dei miei primi ricordi di sempre.
Un racconto bellisimo, intenso. Davvero complimenti!
Ti ringrazio moltissimo, Alessandra.
Anche a me è piaciuto tanto. Un grande in bocca al lupo!
Linda
Grazie, Linda. Crepi il lupo!