Premio Racconti nella Rete “L’uomo che amava il tempo” di Sergio Brunozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Avrebbe voluto poter controllare il tempo a suo piacimento. Un giorno, un giornalista, sapendo di questo suo desiderio gli pose la domanda: perché vuoi poter controllare il tempo? ‘Semplice perché vorrei ridurlo nei periodi del dolore, della depressione, della malinconia, dell’ascolto inutile di parole prive di senso, di parole vane e della fine di un amore.’ Dopo brevi momenti di silenzio, dedicati probabilmente alla riflessione, aggiunse: ‘ mentre vorrei poterlo dilatare nei momenti felici, di spensieratezza, del gioco, della lettura, dell’ascolto della musica tutta, dell’innamoramento, dell’unione con l’essere scelto per condividere l’intera vita.’ Ma hai trascurato il tempo del lavoro! Perché? La domanda lo colse impreparato, lì per lì sembrò non essere in grado di rispondere. Pensò e poi disse: ‘vorrei dilatarlo se amassi il mio lavoro, non trascurando l’assunto che il lavoro non deve soddisfare la mia vanità e che deve essere un mezzo non solo per vivere, ma anche per portare un qualche beneficio al prossimo. Non credi?’ Certo che sì! Ma quanto vorresti lavorare? ‘quel tanto per la sopravvivenza, lo sviluppo dei miei figli (istruzione ed educazione civica, sociale e ambientale). Certo farò del tutto, combatterò con tutte le mie forze per non farne dei tossicodipendenti del consumismo sfrenato. Molte volte mi sono chiesto perché accumulare troppi beni materiali? Poi un giorno ho trovato la risposta in un vecchio detto napoletano “ricordati, disse un povero ad un ricco sfondato che lo guardava con commiserazione, l’ultimo vestito che indosserai non avrà tasche”. Ma quanta saggezza! Bravo, sei proprio bravo! E lui rispose ‘A proposito di saggezza, vorrei dilatare il tempo per accumulare e poter trasmettere agli altri la saggezza accumulata’ . Dopo essersi salutati, il giornalista andò in redazione e scrisse il testo dell’intervista. Ma non finì qui.
Alla sera, ma che alla sera, erano le tre di notte. Mentre rientrava in casa quatto quatto, evitando di svegliare i familiari, s’introdusse lentamente nel letto accanto alla moglie che dormiva profondamente: raramente, anzi quasi mai, lo attendeva per un saluto. Ogni volta seccato dal mancato saluto, stentava a prendere sonno. Non parliamo poi dei figli. Con il passare degli anni erano divenuti degli sconosciuti . Soltanto notizie, a volte frammentarie, trapelavano dagli sbuffi della moglie. Anch’essa aveva un lavoro, ma di giorno: era una manager di successo nel campo della moda. Spesso troppo indaffarata al punto di trascurare i propri figli: le vittime di una situazione che certo non avevano scelto. Ma avevano trovato un loro equilibrio sostenendosi vicendevolmente con amore e rispetto. Un bel giorno, durante un lungo colloquio che aveva come oggetto i loro genitori, giunsero alla conclusione che i loro genitori stavano facendo della loro vita una ricerca continua del successo per soddisfare la loro insaziabile vanità. A nulla erano valsi i regali dei genitori (auto, feste, vacanze ai Caraibi, vestiti costosi, case al mare e in montagna e tanto altro). I figli sconsolati aveva avuto però la fortuna di avere sotto i propri occhi quello che non sarebbero stati mai nella loro vita. Entrambi si laurearono in Politica economica e sociale e divennero i capisaldi di un movimento d’avanguardia di giovani con l’utopistico (l’aggettivo dispregiativo veniva dato dai bacchettoni della politica e dell’imprenditoria) obiettivo di riformare la società spingendola all’abbandono dell’avere verso una società del ben-essere, in omaggio alla saggezza di Erich Fromm. Propagandarono il concetto della ‘decrescita’ perché si realizzassero le condizioni per uno sviluppo sostenibile che guardi non solo al presente, ma anche al futuro delle future generazioni, in cui vengono previlegiati non soltanto ed esclusivamente gli aspetti economici, ma soprattutto quelli ambientali, sociali, istituzionali con l’obiettivo di allargare e non allungare la vita facendola vivere in un ambiente sano e privo di pericoli che soltanto oggi scopriamo e che timidamente stiamo percependo. I giovani del movimento che si dichiaravano ovviamente apolitici, fecero delle parole di Bernard Charbonneau il loro motto.
“Se l’integralismo della crescita che oggi guida il mondo continuerà su questa strada, giustificherà un integralismo naturista che vede l’industria come il Male.”
![]()
Il racconto è una espressione di saggezza che stimola e sollecita alcune riflessioni sulla gestione del tempo.
Dedicare più tempo al lavoro o alla vita privata?; dedicare più tempo all’amore fisico o a quello spirituale ?; dedicare più tempo all’assistenza e dedizione agli altri o pensare, prima di tutto, a se stessi ?; dare priorità alle necessità dei figli o a quelle della propria ambizione? .
Come sempre la saggezza napoletana ci viene in aiuto ricordandoci che nudi siamo venuti al mondo e nudi lo lasciamo. Tutto il resto è materialismo.
E’ pertanto saggio mantenere un perfetto equilibrio nella gestione del nostro tempo.
Seguo il Brunozzi, Sergio, nella sua maturità espressiva letteraria e lo vedo crescere nel discorso filosofico, nei suoi scritti trovi sempre un recondito significato che ti induce a riflettere……..riflettere !
Guglielmo Trabucco
Racconto ricco di riflessioni e di citazioni colte. Trovo molto bello il titolo e incisivo, reale e intelligente il detto napoletano:”Ricordati, l’ultimo vestito che indosserai non avrà tascheI
Bravo Sergio!