Premio Racconti nella Rete 2012 “Lui” di Sissi Bellinghieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Ero triste, annoiata, divorata dalla monotonia.
Tutte le mattine mi svegliavo per andare al lavoro e mi sembrava di vivere la stessa scena del giorno prima, avevo visto un film dove un uomo era incastrato in una vita dove si svegliava ogni mattina e riviveva il giorno precedente, cercando in tutti i modi di cambiare le cose ma senza il benché minimo risultato. Ecco, mi sentivo esattamente come lui.
La mia storia con Claudio, dopo 5 anni ormai era quasi giunta al capolinea, lo sentivo, sapevo che da un momento all’altro avremmo preso le nostre strade, dividendoci. Era solo questione di coraggio, di chi per primo avrebbe ammesso la realtà.
I nostri baci, che dovevano essere appassionati scambi d’amore tra due ventenni erano diventati ormai lievi sfioramenti di labbra e non mi procuravano più nessuna emozione.
A Rovato (il paese dove ho vissuto i miei primi 25 anni) eravamo soliti incontrarci tutti al Circolo, l’unico locale aperto la sera, punto di ritrovo per tutti i ragazzi della nostra età (quando stavamo ancora tutti insieme in un’unica compagnia), qualche vecchietto che giocava a carte e padri di famiglia che scappavano dalle mogli con la scusa di vedere una partita di calcio con gli amici e bere birra.
Il Circolo ha fatto da sfondo alle nostre grigie domeniche pomeriggio invernali, ai nostri sabati sera, alle nostre prime ubriacature, ai nostri baci rubati, a qualche litigata ed a qualche cazzotto.
Quella sera ero al Circolo con Elisa, una delle mie migliori amiche.
Faceva freddo, il cielo era nero come la pece e non si vedeva l’orizzonte, solo qualche piccolissima stella qua e là.
Io ed Elisa bevevamo thè e fumavamo Marlboro.
Ad un certo punto dal fondo della sala arriva un ragazzo con aria disperata, in una mano una birra e nell’altra il cellulare. Guardava delle foto. Io lo guardavo incuriosita, sembrava completamente perso nei suoi pensieri. Probabilmente, sentendosi osservato, mi si è avvicinato e ha iniziato a parlarmi dei suoi gatti, facendomi vedere le loro foto sul cellulare, dicendomi che erano gli unici esseri viventi che gli volevano veramente bene e che non l’avrebbero mai tradito. Parlava, parlava, parlava, era a dir poco logorroico, e io non sapevo neanche il suo nome.
Ovviamente, dopo un monologo durato circa tre quanti d’ora, mi ha chiesto di uscire.
Non avevo minimamente interesse ad un uscire con un ragazzo pelato come mio padre, vestito come una zingaro e logorroico come pochi.
Ho cercato di defilarmi elegantemente e, prendendo Elisa sotto braccio, le ho sussurrato nell’orecchio: ”Se la prossima volta vedi che mi si avvicina inventati una scusa e portami via!”.
Ovviamente sapevo che lei lo avrebbe fatto.
Il problema è stato che la volta dopo al Circolo Elisa non c’era, ma Lui era lì, solo, di nuovo con una bottiglia di birra in una mano e il cellulare nell’altra.
Non ha perso un attimo e appena mi ha vista entrare è venuto subito verso di me.
Ha riiniziato a raccontarmi del suo gatto “Cannella” e di quanto fosse importante per Lui, a me, ovviamente, non interessava per niente, era sabato sera e avevo solo voglia di divertirmi con i miei amici.
Io e i miei amici eravamo seduti tutti intorno ad un tavolo, stavamo decidendo dove andare quando, tra una vodka e l’altra, mi sono girata e loro non c’erano più. Erano andati via senza di me. Ovviamente non potevo credere mi avessero lasciata lì da sola, probabilmente mi avevano chiesto di andare con loro ma io, tra l’alcool e Lui che mi continuava a stordire con le sue parole, non me n’ero accorta o forse me n’ero accorta ma non gli avevo risposto. Non potevo credere che i miei amici mi avessero abbandonata.
Lui continuava a parlarmi, e finalmente avevo capito il perché di tanta irrequietezza: mi stava raccontando che si era appena lasciato dopo 10 anni con la sua fidanzata, che aveva tradito innumerevoli volte.
Improvvisamente ho sentito mio il suo senso di vuoto e la sua tristezza, dopotutto anch’io mi ero appena lasciata con il mio ex fidanzato e non ero un granché in forma.
Ho capito che avevamo qualcosa da poter condividere.
Non so com’è successo poi, so solo che mi sono ritrovata nella taverna di casa sua con due suoi amici, 5 bottiglie di Morellino di Scansano e un bel po’ di marijuana.
Mi ricordo solo che ad un certo punto ero sdraiata nuda per terra sul tappeto di lana, mi bruciava la schiena, poi le ginocchia, poi di nuovo le spalle, c’era Lui sopra di me, spingeva, mi voleva.
Mi sono svegliata la mattina dopo in una cameretta piccolissima, gli occhi gonfi, la testa che mi scoppiava, il mascara colato faceva pensare mi avessero presa a pugni. La luce mi dava fastidio, la gola era asciutta, le labbra secche.
Lui era seduto dietro la spalliera del letto, avvolto da una nube di fumo, suonava la chitarra e cantava a basse voce.
Non mi era mai successo che un ragazzo al risveglio suonasse la chitarra, guardandomi sorridendo.
Mi sono alzata, le gambe erano deboli, barcollavo leggermente, l’ho salutato e me ne sono andata.
Sono arrivata a casa a mezzogiorno, i miei, che erano ormai abituati ai miei orari folli, si apprestavano a riunirsi intorno al tavolo per il pranzo domenicale, io mi apprestavo ad andare a dormire, il mio pranzo era un pacchetto di cracker per cercare di non vomitare tutto l’alcool che avevo bevuto la sera prima.
Credo di essermi svegliata intorno alle sette di sera, più o meno verso ora cena.
Ci ho messo qualche minuto a capire cos’era successo la sera prima e subito l’ho dovuto raccontare a mia sorella, come se raccontarlo a qualcuno potesse far tornare indietro il tempo e cancellare tutto.
L’ho chiamata.
“Elsa, ieri sera sono andata a letto con Lui”.
”Che schifo!”, è stato il suo commento.
Ho sempre adorato la sua capacità di essere sinteticamente tagliente, lei lo conosceva e non le piaceva per niente, in realtà non piaceva neanche a me.
Era quello che pensavo anch’io, nel giro di qualche ora tutto il paese avrebbe saputo della mia notte, paese piccolo, la gente mormora, e mormora assai.
Il giorno dopo sono andata al lavoro, di Lui fortunatamente neanche l’ombra.
Dopo quattro giorni, giovedì, mi squilla il telefono.
“Pronto”
“Ciao, sono Io, disturbo?”
“Sì”, avrei voluto dire, ma non ne ho avuto il coraggio. Mi ha detto che la sera sarebbe andato ad un festa privata vicino al mio ufficio e mi ha chiesto se volevo andare con Lui.
Non ne ero entusiasta ma al contempo non avevo niente di più divertente da fare quindi ho accettato.
Il locale era un negozio di biciclette in un centro commerciale nel cuore di Bergamo, per un’autorizzazione speciale una sera alla settimana poteva restare aperto oltre l’orario di chiusura per un aperitivo con gli amici.
Mountain bike, skateboard e skateboard elettrici dappertutto.
Vino e ganja a fare compagnia.
Lui era felice, fumava, beveva, ogni tanto mi dava un bacio sulla guancia o mi lanciava un sorriso.
Era un posto diverso dai soliti che ero abituata a frequentare, era strano, ma mi piaceva.
Ad un certo punto, in uno slancio di euforia, prendo uno skateboard elettrico e, non faccio in tempo a salirci sopra, che cado e mi lusso una caviglia.
Lui mi prende in braccio e mi porta subito al pronto soccorso.
Passiamo in sala d’attesa la nostra seconda notte insieme.
Mi fanno le lastre, mi ingessano il piede e mi augurano buona fortuna.
Arrivo a casa alle 6 del mattino, apro la porta e vedo che mio papà si è appena alzato per andare al lavoro, ci incrociamo in corridoio, gli dico che gli avrei spiegato tutto il giorno dopo. In casa c’è già odore di caffè, mia mamma sta preparando la colazione.
Pochi minuti e sono sotto le coperte.
Mi sveglia il cellulare che squilla e non smette, una vibrazione insistente sotto al cuscino, rispondo.
“Pronto”
“Buongiorno! Come stai?” era Lui.
“Bene, grazie! Volevo ringraziarti per ieri per avermi portata in ospedale ed avermi fatto compagnia per tutta la notte..”
“Dovere, non ti preoccupare! Cosa fai oggi?”
“Con una gamba ingessata non posso guidare quindi penso che starò a casa”
“Che ne dici di venire a fare un giro? Ti passo a prendere io!”
Non avevo molta voglia di uscire di nuovo con Lui, ero stanca e un po’ scombussolata per quello che era successo, ma l’alternativa era stare a casa ad ascoltare le paturnie di mia mamma.
“Ok! Tra quanto passi?”
“Mezz’ora e sono da te! A dopo”
Dopo circa un’ora emmezza era sotto casa mia, dovevo capirlo da subito che la puntualità non era il suo forte.
Nella sua macchina, una Volvo station wagon, faceva un caldo pazzesco e c’era un odore fortissimo di marijuana ed Arbre Magique alla vaniglia.
Da lì a breve avrei scoperto che la marijuana era la sua valeriana.
Senza non poteva vivere, non poteva pensare, non poteva divertirsi, non poteva concentrarsi.
Senza diventava irrequieto, agitato, al limite dell’aggressivo.
Io avevo fumato solo un paio di canne in tutta la vita e non mi era piaciuto, la marijuana agiva da catalizzatore per la mia ansia e mi sembrava sempre di impazzire, per cui mi ero giurata che non avei più provato, ma non avevo minimamente intenzione di fargli la morale.
Se lo faceva stare bene, poteva fumarsi tutta la marijuana che voleva.
Siamo stati un po’ in giro, poi siamo andati a casa sua, i suoi non c’erano mai perché erano entrambi dirigenti di multinazionali oberati di lavoro, abbiamo fatto l’amore, abbiamo passato insieme il pomeriggio, e la sera, e la notte.
Da quel giorno non ci siamo più divisi. Abbiamo vissuto un anno in simbiosi.
Dove c’era Lui, c’ero io, dove c’ero io, c’era Lui.
Era pazzo, ma io lo adoravo.
Adoravo la musica che ascoltava, vederlo suonare la chitarra, sentirlo parlare dei suoi studi universitari in sociologia, mi piacevano tutti i film che guardava e che avevano sempre qualcosa da insegnarmi, il suo modo di cucinare, il suo amore per gli animali, per gli sport, per la mountain bike soprattutto, il suo essere sopra le righe, fuori dagli schemi, unico e speciale.
Abbiamo dormito per un anno nel letto ad una piazza della sua cameretta, per non cadere ci aggrappavamo per tutta la notte l’uno all’altro. Conoscevo ogni centimetro della sua pelle, ogni centimetro della sua mente.
Nel frattempo la gamba era guarita, mi ero licenziata, ed eravamo sempre in viaggio.
Col camper in Toscana dal suo sponsor della mountain bike, dai miei per Capodanno, ad Agosto un mese intero in campeggio in tenda in Sicilia e in autunno a Barcellona a mangiare Tapas e Pata Negra. Ogni tanto a trovare i miei nonni, sempre in giro in moto per i laghi, non ci fermavamo mai.
Avevamo un diario, scrivevamo una pagina io e una pagina Lui, se c’erano delle cose che non riuscivamo a dirci a voce le mettevamo su carta, e li ci rispondevamo. E poi era pieno di foto, e di scontrini dei posti dove eravamo stati, e di biglietti di regali, di frasi d’amore, di promesse.
Poi, ad un certo punto, dopo un anno di bagordi, io ho avuto la necessità di ricominciare a lavorare perché i risparmi stavano terminando.
E’ stato l’inizio della fine. Non potevo lavorare da nessuna parte perché Lui andava su tutte le furie. Avevo passato un paio di colloqui in un importante studio legale di Milano, era il mio primo giorno di lavoro, mi ha voluto accompagnare a tutti i costi. Cinque minuti prima che salissi per andare in ufficio, felice per la nuova esperienza che stavo andando a fare e soddisfatta per aver sbaragliato la concorrenza, Lui si è messo a piangere. Mi ha pregato di non lasciarlo da solo, mi ha detto che sicuramente in quell’ufficio ci sarebbero stati uomini in giacca e cravatta molto più affascinanti di Lui e che Lui avrebbe sofferto solo al pensiero di sapermi lontana con loro, mi ha supplicata di non andare. Io lo amavo, e non riuscivo a vederlo soffrire in quel modo, ho chiamato lo studio e ho detto che quel giorno non mi sarei presentata perché mi si era forata una ruota della macchina e stavo aspettando il carro attrezzi e ci avrebbe messo molto tempo. Ho mentito per Lui e ho perso il lavoro.
Non potevo andare al centro commerciale con mia sorella perché al centro commerciale secondo Lui ci vanno gli uomini per fare i “marpioni”, non potevo andare in giro da sola con mia sorella perché secondo Lui ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto a infastidirci, non potevo andare in vacanza da sola con le mie amiche, non potevo andare a fare un aperitivo da sola con le mie amiche. Non potevo fare più nulla, la sua gelosia folle mi stava logorando e stava logorando il nostro rapporto.
Era di nuovo giovedì sera e come tutti i giovedì il suo amico della bicicletteria teneva aperto per l’aperitivo, non avevo voglia di andare, ero stanca e stufa.
Lui però ho insistito e non ho potuto far altro che accompagnarlo.
Appena entrati in discoteca avevamo già l’aria di due persone che con difficoltà riuscivano a rivolgersi la parola, Lui però era più felice di me, aiutato da alcool e marijuana, come sempre.
E’ bastato un solo sguardo con il buttafuori per mandarlo su tutte le furie, il povero bellimbusto mi stava solo dicendo che il bar era chiuso e non potevo prendere da bere, ma per Lui era già tradimento.
Ha iniziato ad insultarmi, a strattonarmi, ad urlarmi addosso. Non ce la facevo più, non avevo altra soluzione che chiedere al malcapitato di aiutarmi, e, facendo il suo lavoro, l’ha afferrato per le braccia e l’ha buttato fuori.
Lui però conosceva il proprietario della discoteca ed è bastato il tempo di una telefonata per farlo rientrare.
Ho cercato di nascondermi nella folla per evitare le sue grida, ma mi seguiva come un’ombra, strillando come un pazzo. Avevo deciso che l’unica soluzione era andarmene, mi sono diretta verso l’uscita della discoteca quando, sul fondo della sala, ho visto un ragazzo bellissimo con due bottiglie di vino in mano, e in quel momento mi sono ricordata di avere sete, tanta sede.
Gli sono andata incontro come fosse un’oasi nel deserto, mi guardava dritto negli occhi, mi sono avvicinata e gli ho sussurrato nell’orecchio: “Mi offriresti da bere?”
“Certo”, mi ha risposto dolcemente.
Ha stappato una bottiglia di vino, ha riempito due calici, uno l’ha rivolto verso di me, abbiamo brindato, e per tutto il tempo ci siamo guardati fissi negli occhi. Era bello come un Dio, era l’uomo che avevo sempre sperato di incontrare.
Sono passati pochi minuti e Lui ci ha trovati, ci ha visto bere insieme e, preso dall’ennesimo raptus di gelosia, rivolgendosi verso quel ragazzo che avevo appena conosciuto gli ha detto testuali parole: “Vedo che hai già avuto modo di conoscere quella stronza della mia ragazza!”
Il ragazzo mi ha guardata, ci ha salutati e se n’è andato.
Ero convinta che non l’avrei mai più rivisto.
Lui mi ha voltato le spalle ed è andato a farsi l’ennesima fumata, io mi sono seduta da sola su un divanetto sul fondo della sala, fumavo una sigaretta e mi domandavo cosa sarebbe stato del mio futuro.
Ad un certo punto una pacca sulla gamba, mi giro e vedo quel ragazzo che mi sorride e se ne va.
Non faccio in tempo a dire nulla, ma mi accorgo che dalla gamba mi sta cadendo un biglietto, lo apro velocemente e vedo che c’è scritto il suo numero di telefono, terrorizzata dall’idea che Lui avesse visto tutto, lo prendo e lo nascondo negli stivali.
Quella sera di ritorno dalla discoteca Lui ha cercato di suicidarsi buttandosi dalla portiera della mia macchina in corsa mentre io ero alla guida.
E’ stata l’ultima volta che siamo tornati a casa insieme.
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Qualche ripetizione di troppo, (tieni presente che è solo un mio modesto parere), ma scorrevolissimo e piacevole, a tratti divertente. Si legge tutto d’un fiato.
In bocca al lupo per il Concorso!
Paola Cavallari (“In viaggio”)
OOps! Mi sono accorta solo adesso che il racconto si riferiva al 2012… scusate!!!