Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Al bivio” di Maria Teresa Landi e Luciana Tola

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

 

Ore 4 : 45

 

Avete presente quelle valigie di grossa tela scura con gli angoli  rinforzati in cuoio? Oggi non si vedono quasi più, soppiantate da borsoni e troller di svariata foggia e colore, ma allora sì, se ne vedevano tante, pesantissime e ingombranti. Dopo quelle di cartone legate da un grosso spago, erano le tipiche valigie dei viaggiatori di seconda classe, come i meridionali che dal profondo sud  risalivano dopo le feste, portandosi dietro ogni ben di Dio, dai tarallucci alla pastiera fino ai salamini e alle forme di pecorino tanto più saporito quanto più puzzolente. Tornavano al nord, al lavoro, con le buone cose del paesello natio, sapori e profumi di casa, per affogare a tavola un po’ di nostalgia. Mi davano noia, lo confesso, così pigiati nei vagoni dei treni a lunga percorrenza come il mio, il diretto Genova – Torino.

Quella mattina di trent’anni fa lo aspettavo appunto sotto la pensilina della stazione di Viareggio, tipico esempio dell’era fascista, solida, squadrata, deserta nel buio di una cruda alba invernale. Battevo i piedi in terra per scaldarli e avevo un diavolo per capello. Bella forza: alle cinque del mattino, col sonno che appesantisce gli occhi e il freddo umido che ti penetra nelle ossa… Mi stringevo addosso il pesante shearling maledicendo in cuor mio le ferrovie italiane dove il ritardo è la regola. Insomma.

 

 

Ore 5

 

Voce metallica dell’altoparlante: “E’ in arrivo sul terzo binario…” Il treno aggredisce la stazione; sferragliare di rotaie, sbuffate e cigolii. Salto su finalmente col giornale del giorno prima sotto il braccio da leggere durante il tragitto.

Avanzo lungo il corridoio traballante, mentre il treno si rimette in moto. Ecco la seconda classe: scompartimenti dalle porte rigorosamente chiuse, tende spesse ben tirate per occultarne l’interno, segno che gli occupanti non vogliono essere disturbati. Vengono da lontano, ore e ore di viaggio… Hanno mangiato, abbandonando migliaia di briciole in ogni dove, poi si sono tolti le scarpe lasciandosi andare al sonno, ammassati l’uno contro l’altro, incuranti del puzzo che sfugge dai calzini. Puah, che tanfo! Non ce la faccio proprio a invadere quell’intimità faticosa e respirare l’aria viziata che stagna là dentro. Vado avanti. Porta aperta, finalmente, un posto libero vicino al finestrino, che fortuna! Mi faccio largo tra le gambe degli altri viaggiatori, raggiungo il mio posto, cerco uno spazio sulla reticella per il giaccone, ci rinuncio, mi siedo: di meglio non si può. Mi guardo intorno. Una famigliola davanti a me: madre pettoruta con in braccio una bimbetta addormentata e i piedi gonfi fuori dalle scarpe; padre baffuto, molto siculo, che dardeggia sguardi a destra e a manca, con chi ce l’ha non so, perché il figlio più grande gioca zitto e buono con le figurine dei calciatori che tira fuori dalle bustine e incolla coscienziosamente sull’album che tiene sulle ginocchia. Alla mia destra un giovanotto magro e occhialuto immerso nella lettura. Nell’angolo vicino alla porta un tizio addormentato. Tutti zitti, perfetto. Mi rilasso, abbandonandomi al dondolio delle rotaie che macinano chilometri con una cantilena monotona in sottofondo: tutum, tutum…

 

 

Ore 6

 

Stridio di freni. Apro gli occhi, stupita di quanto sia labile e misterioso il confine tra veglia e sogno, quando, passato lo smarrimento totale, si torna restii alla realtà del mondo. Una stazione dietro l’altra, lo scompartimento si sta svuotando. L’occhialuto non c’è più e la famigliola raccoglie armi e bagagli. “La Spezia, stazione di La Spezia!!” Sono arrivati, beati loro! Provo un vago disagio all’idea di rimanere sola con quello sconosciuto appiccicato alla porta, ma pazienza. Il sonno se n’è andato e la luce del mattino irrompe nell’abitacolo, rimandando i contorni nitidi di un paesaggio mordi e fuggi. Tra una galleria e l’altra s’intravede l’azzurro lucente e tranquillo del mare, che meraviglia! Resterei incollata ai vetri fino a Genova. Mi concentro sul lavoro che mi aspetta laggiù, ma qualcosa m’infastidisce: proprio sulla mia testa è piazzata una valigia di tela scura con gli angoli di cuoio, piuttosto grande, che sporge dalla reticella. Me la sento incombere sul capo, sensazione di disagio irrazionale, ma tant’è. Infastidita, sfoglio il quotidiano: politica interna, estera, le solite baruffe tra politici, crisi economica tanto per cambiare, sport per carità, cronaca locale. Mi colpisce la foto di un uomo a fianco di un articolo di nera: la moglie sparita, il marito volatilizzato, sangue dappertutto nella casa, una villetta alla periferia di Viareggio. Un litigio furibondo con tanto di urla, richieste di aiuto e infine silenzio. Ai poliziotti chiamati sul posto, i vicini di casa hanno riferito di aver visto l’uomo allontanarsi ‘in tutta fretta’con una valigia all’apparenza pesante, grossa, di tela con gli angoli rinforzati in cuoio. Curioso, proprio come quella sulla mia testa. Ce ne sono chissà quante uguali, che vuol dire? Niente, però il tarlo del sospetto comincia a lavorare. E lei? Tagliata a pezzi, pare, poi infilata in valigia. Macabro! L’auto è rimasta parcheggiata sotto casa; l’assassino può aver lasciato la città in autobus o magari in treno.

L’occhio mi corre al compagno di viaggio che nel frattempo ha cambiato posizione, scoprendo il viso. Un brivido… somiglia in modo impressionante al tizio della foto! Certo l’immagine è sgranata, ma gli zigomi sporgenti, i capelli lunghi sul collo, la pelata davanti potrebbero essere i suoi… Non è detto però. E se fosse, che potrei fare? Affrontarlo, così su due piedi? Fossi matta! Avrei voglia di urlare…, ma è un attimo: mi sento stupida, che vado a pensare? Mi nascondo dietro il giornale. Fuori dal finestrino mare e montagne corrono via, risucchiati nel vento. Tutum, tutum… Genova si avvicina e quasi quasi mi rilasso, ma succede qualcosa e risiamo daccapo o peggio. Dalla valigia una goccia nerastra cola sulla spalla destra dello shearling. La tocco, è appiccicosa: sangue, non c’è dubbio! Realizzo: è lui, sono sola con l’assassino! Nebbia che offusca il cervello, gelida, inesorabile. Chiudo gli occhi, respiro profondo. Niente, non devo fare niente, non deve capire… Uscirò con la scusa della toilette, avvertirò il controllore… Calma, devo stare calma.  Non ci riesco mica tanto, invece: mi sposto appena per evitare altre gocce, guardo in su, lui se ne accorge, si agita, borbotta qualcosa di carne scongelata, regali, che diavolo ne so! Tira fuori dalla tasca un fazzoletto, si alza, mi si avvicina… schizzo su come una molla. Mi guarda: oddio, ha capito tutto, sa che io so… Paura allo stato puro, una lama nel petto. “Scusi tanto, non volevo, si è macchiato il cappotto…” “Non fa nulla, non si preoccupi,” farfuglio, il cervello in fiamme per trovare una via di fuga. “Vado in bagno, forse lavandola subito la macchia andrà via…” Non ci credo, ma è lo stesso, voglio solo uscire di qui. Lui rimane fermo a guardarmi, come valutando il da farsi. Sento che è arrivata la mia ora.

 

 

Ore 7

Potrebbe finire così…

Stazione di Sestri Levante. “Biglietto, prego!” L’assassino mostra il suo, poi afferra svelto la valigia ed esce. Scende di corsa, inciampa, la valigia piomba a terra, si apre e involucri di cellophane sanguinolenti si spargono intorno. Orrore, la testa! “Signorina…” insiste il controllore. Lo guardo imbambolata, distolta di  colpo da quella specie di sogno capovolto e obbedisco come un automa. Il treno si avvia lentamente, ma sulla banchina non vedo più traccia dell’uomo, né della sua valigia: che discorso è? Non può essere un sogno, ho la prova qui, sulla mia spalla… Controllo, ma il sorriso di sfida muore all’istante in una smorfia d’incredulità: anche la macchia non esiste, sparita nel nulla.

 

 

… oppure così…

 

Guadagno l’uscita cercando di darmi un contegno e appena fuori parto velocissima a caccia del controllore. Corro, apro e chiudo porte scorrevoli tra un vagone e l’altro. Mi guardo indietro: che mi stia seguendo? Sono all’ultima carrozza, ma del controllore neanche l’ombra: come i vigili, che quando li vuoi non ci sono mai. Riparto in senso inverso sotto lo sguardo meravigliato dei viaggiatori: dove corre questa matta? Ma il treno rallenta, imbocca la stazione di Sestri Levante, si ferma. Troppo tardi!  Il tizio col valigione si appresta a scendere. Apre il portello, mette un piede sul primo gradino, inciampa, tenta di afferrarsi alla maniglia, cade. La valigia precipita a terra con un gran botto, si apre, sparpaglia  il contenuto sulla pensilina: i miseri resti di un coniglio, un capretto, bestie varie schizzano di sangue una signora che si accinge a salire e comincia a strepitare… Incredula, scoppio a ridere e rido, rido, senza riuscire a fermarmi, mentre l’assassino un po’ ammaccato si rialza guardandosi intorno sconsolato.

 

Che finale preferisci, lettore? La vita è tutto un bivio e non sempre si può scegliere. Qui sì, approfittane!

 

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2 commenti »

  1. Simpatico. Quello che mi stupisce di più è come si fa a scrivere a quattro mani? 🙂

  2. Io voto per il finale A : simpatico.

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