Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Italia…oggi” di Franco Mieli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Il primo stressante giorno di lavoro della settimana volgeva quasi al termine. Amelia comiciò a rimettere le penne e l’agenda nel cassetto. Lasciò però aperto il computer; prima di uscire voleva dare un’ultima occhiata alla posta elettronica, per controllare se l’ufficio fornitori di Milano aveva risposto alla sua richiesta di una nuova colonnina per la fornitura di bibite. Dopo undici anni di quel lavoro, Amelia conosceva a menadito tutte le procedure aziendali; niente aveva segreti per lei. Il lavoro quotidiano, divenuto routine, da un pò di tempo le era venuto a noia. Tuttavia l’impegno e la dedizione costante di quegli anni avevano fatto in modo di farle raggiungere una discreta posizione nell’azienda, con uno stipendio più che soddisfacente. Si sentiva perciò pronta per qualcosa di diverso, di più gratificante. durante il tragitto in auto per tornare a casa ci pensava spesso. E di tempo ne aveva per pensare. Con i risparmi di quegli anni aveva comprato, con l’aiuto di un oneroso mutuo, una villetta in un paesino fuori Roma. Lo scotto da pagare era un’ora di viaggio all’andata e un’ora al ritorno. ma alla fine, pensava, ne era valsa la pena. Durante i fine settimana e nei lunghi pomeriggi estivi godeva appieno i vantaggi dell’abitare fuori porta. aveva scoperto di avere anche il pollice verde, riuscendo a coltivare egregiamente un piccolo giardino, ammirato e invidiato dalle vicine. Si apprestava ad andare in bagno, dopo aver spento il computer, quando il telefono squillò. A quell’ora…La chiamata era interna, quindi rispose: il direttore delle risorse umane, Giulietti, la pregava di recarsi un attimo nel suo ufficio. Il sorriso con il quale Amelia entrò nella sua stanza, si spense appena lo vide, con una busta in mano:

“Signora Amelia, sono spiacente, ma l’azienda ha deciso da domani stesso di non avvalersi più della sua pur preziosa collaborazione. Purtroppo i tempi sono quelli che sono.”

Come in trance, con la testa confusa, riuscì, non seppe come, ad arrivare alla sua automobile. Aprì la busta e ne lesse il contenuto attraverso il velo delle lacrime. L’azienda le comunicava che, in seguito alle recenti contrazioni degli ordini e delle vendite, la sua posizione era divenuta ridondante. Ridondante. In altra occasione le sarebbe venuto da ridere sull’uso di quel termine.

“Imbecilli -sibilò- e ora che faccio?”

Le venne in mente il mutuo da pagare, ancora duecentosessantaquattro rate, ancora ventiquattro anni; poi, il finanziamento per l’acquisto dell’automobile: quarantotto mesi a tasso zero; così l’aveva invogliata il venditore della concessionaria; erano altri trecento euro al mese.

“E ora che faccio?” si ripeteva mentre guidava verso casa, con la rabbia che progressivamente subentrava allo smarrimento iniziale. A cinquantanni era difficile trovare un altro lavoro. Giulietti: era stato sicuramente lui che aveva fatto il suo nome quando l’azienda aveva deciso di ridurre il personale. In quegli anni le aveva fatto molte proposte, in maniera più o meno velata. Lei aveva risposto sempre picche; e ora si era vendicato. Entrò in casa e si buttò sul letto vestita. Tanto, l’indomani non avrebbe avuto nulla da fare.

Quando la vide uscire dalla stanza con le spalle curve e la testa china, Giulietti si distese con un largo sorriso e annuì soddisfatto. Finalmente l’aveva domata, quella stronza. Così avrebbe imparato a fare la sostenuta. I primi tempi, ne era stato quasi innamorato; poi i continui e reiterati rifiuti avevano trasformato quell’infatuazione in ossessione. Così, quando si presentò quella ghiotta occasione della riduzione di personale, aveva subito fatto il suo nome alla proprietà dell’azienda, ottenendone il licenziamento. Avrebbe fatto passare un pò di tempo, l’avrebbe fatta cuocere nel suo brodo, poi…

Era trascorso quasi un mese da quell’infausto lunedì. Amelia si sedette sul divano, rassettandosi la vestaglia, che ormai indossava per quasi tutto il giorno. Che fatica pulire la casa da cima a fondo. Adesso capiva Svetlana, i suoi mal di schiena, le sue lamentele quando le chiedeva di svolgere qualche lavoro pesante, come lavare e stendere le tende. Poveretta, le tremavano le mani quando le diede la liquidazione, spegandole perchè non poteva più tenerla a lavorare per lei. Così erano già in due a perdere il lavoro. Già, il lavoro. Aveva consegnato il suo curriculum a ditte, uffici, negozi di abbigliamento. La risposta era sempre quella: troppo vecchia, troppo specializzata, non avevano bisogno di persone come lei. Lo specchio del salone le rimandò l’immagine di una donna ancora bella, bionda; gli occhioni azzurri, non più evidenziati dal trucco una volta impeccabile, qualche capello bianco che faceva capolino. Da quanto tempo non andava più da Adriano, il suo parrucchiere? I soldi cominciavano a scarseggiare. Era già stata in banca la settimana scorsa, per vendere una parte dei suoi risparmi. Quanto sarebbero durati ancora? Cominciava a concretizzarsi l’idea di vendere la casa e tornare a Roma, dai suoi genitori. Ma l’orgoglio ancora la tratteneva dall’effettuare un simile passo. Si avviò verso la camera da letto per vestirsi e andare a pranzo proprio da loro, come faceva già da una decina di giorni, quando il telefono di casa squillò.

“Dovrò decidermi a disdire l’abbonamento” pensò, “tanto mi basta il cellulare.”

“Pronto? Amelia?”

Il suono di quella voce la irrigidì, facendola inspirare profondamente.

“Che vuoi?” rispose gelida.

“Sapere come stai, Amelia. Sono preoccupato per te. Hai trovato qualcosa?”

“Sai bene che non ho trovato nulla.”

“Senti, lo sai che non è stata colpa mia. Ma io conosco molte persone, posso aiutarti se vuoi. perchè non ceniamo insieme stasera? Possiamo venirci incontro, no?”

A quelle parole Amelia non rispose subito. Rimase in silenzio per una decina di secondi, stringendo ancora più gli occhi e mordendosi le labbra.

“Domani, Giulietti, domani sera. Oggi ho un pò da fare, non posso. Perchè non vieni a casa mia? Staremo più tranquilli. Tanto sai dov’è, no? Sei venuto un sacco di volte a spiare dove abito. Credi che non ti abbia mai visto? Comunque sono diventata una brava cuoca in queste settimane. Vedrai che non te ne pentirai.”

Poteva quasi vedere attraverso la cornetta l’espressione dapprima incredula, poi trionfante di Giulietti.

“Per me va benissimo, Amelia; non comprare il vino. Lo porto io.”

Alle otto di sera il citofono squillò puntuale. Amelia andò ad aprire. Indossava il tailleur con camicetta bianca, giacca e gonna corta sopra il ginocchio. Sapeva quanto sbavasse il Giulietti quando lei veniva in ufficio vestita così.

“Ciao, come stai bene” fu il suo commento mentre la baciava sulla guancia, inondandola con gli effluvi di un costoso quanto disgustoso dopobarba.

“Mettiti seduto, la cena è già pronta.”

Mentre Amelia era in cucina, Giulietti osservò la sala da pranzo e il salotto. Aveva buon gusto la cara Amelia, guarda che mobili. Non li aveva certamente comprati da Ikea. Quante volte aveva sognato di entrare in quella casa. E ora…era fatta!

“Eccoci qui” disse Amelia portando un vassoio, “brodetto di pesce alla romagnola; so che ne vai matto.”

“Vado matto anche per altre cose, se è per questo” ammiccò il Giulietti.

Divorò con gusto il succulento piatto, accompagnandolo con il vino che aveva portato. Per quanto Amelia si vantasse di essere una brava cuoca, pensava Giulietti, il brodetto gli sembrava leggermente amaro. Evidentemente aveva esagerato con qualche spezia, compromettendo la riuscita del piatto. Doveva ancora migliorare come cuoca, ma ci avrebbe pensato lui ad educarla. ne avrebbe avuto di tempo a disposizione.

Quando ebbero finito, Amelia disse:

“Mettiti comodo sul divano, vado a fare il caffè e ti raggiungo.”

Mentre aspettava lo assalì una sensazione di ansia, di irrequietezza, accompagnata da una fastidiosa sudorazione.

“Mi sto emozionando come un liceale al primo appuntamento. Calmo. Stai calmo!”

Invece di calmarsi peggiorò e proprio mentre Amelia entrava nel salone con il vassoio del caffè, un crampo al polpaccio lo fece irriggidire e urlare di dolore.

“Non mi sento bene, Amelia, sono un pò agitato.”

“Cerca di stare tranquillo, sdraiati sul divano.”

Ma proprio mentre assumeva la posizione supina, una nuova, più dolorosa contrazione lo colpì alla schiena e gli fece inarcare il corpo in maniera innaturale. Ora sudava copiosamente e si sentiva addosso come una febbre che lo bruciava.

“Chiama un dottore, Amelia. Non riesco più a muovermi” la pregò con voce flebile.

Ma Amelia non si muoveva. Se ne stava lì, in piedi davanti a lui e lo guardava.

“Fai qualcosa, per giove.”

Stava per aggiungere altro, ma una fortissima contrazione della mascella gli impedì di parlare ancora. Si sentiva la lingua gonfia, come un corpo estraneo nella bocca.

“Stricnina, Giulietti; nel brodetto ci ho messo la stricnina. E ne ho messa tanta, bastardo; perciò creperai. Eri talmente preso da quello che avresti fatto dopo, che l’hai mangiato ugualmente, anche se era un pò amaro. Vai all’inferno, adesso. Vedi se lì ti riesce di licenziare qualcun altro.”

L’ultima immagine impressa nelle pupille di Giulietti fu quella di Amelia, in piedi di fronte a lui, finalmente sorridente.

 

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