Premio Racconti nella Rete 2012 “Eurosky” di Riccardo Divanna
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Io la sera non esco mai di casa. Quando mi riesce di tornarci, a casa, dopo una giornata di lavoro punta e clicca, ho un buco nella pancia e uno nella testa. A volte sono così stanco che non ho neanche la forza di prepararmi la cena, apro una scatoletta di tonno e un pacchetto di crackers e me li faccio bastare. Altre volte neppure quello: tolgo solamente le scarpe, mi concentro sull’odore di fritto che mi porto addosso dal pranzo e mi addormento. In effetti sono sei mesi che non esco se non per andare a lavoro o a fare la spesa. Più o meno da quando Giove è entrato in Sagittario e Paolo Fox ha deciso di lanciare l’allarme dalla televisione nazionale. Sembra che sia un fatto gravissimo, una cosa enorme. A me dell’oroscopo non me importa nulla, non mi rattoppa la pancia e neanche la testa, nemmeno quando è tutto rose e fiori. Ma la mia ragazza ci bada parecchio, per questo mi ha mollato. Ha ascoltato Paolo Fox, ha spento la sigaretta nella tazza del mate e mi ha mollato. “Meglio un taglio netto ora che le cose non vanno poi tanto male”, mi ha detto, “perché comunque con un oroscopo così si finisce sicuramente uno schifo io e te”. Pazienza, meglio non prendersela. Ho stretto gli occhi a fessura e ho risposto che andava bene pure per me. Allora lei ha messo su una faccia da Catherine Barkley, mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha rifilato un supplemento di spiegazioni, informandomi solennemente che c’è persino gente si impicca perché ha troppa paura della morte. Mi spiace per loro, sinceramente. Io, per me, ho quasi sempre fame e sonno, e la cosa più naturale da fare per risolvere il problema mi sembra quella di mangiare e dormire. Ho un buco nello stomaco, ve l’ho già spiegato, e cerco di riempirlo come posso.
Wurstel, salse esotiche, pancetta, wurstel scaduti, uno spicchio di taleggio coperto di muffa, una busta di insalata abbandonata dai vecchi inquilini, una lattina di cocacola allo cherry: il fondo del frigorifero restituisce solo putrescenze, miasmi e disperazione.
“Stasera si esce, ci mangiamo anche un panino sulla Togliatti. Tanto lì dentro non ci trovi niente”. La minaccia arriva da un naso camuso-parlante che sbuca dallo stipite della porta. Appartiene a Manfredi: allo stesso tempo il mio migliore amico immaginario e il mio reale coinquilino. Viviamo insieme da più di quattro anni, io e Manfredi, ma il nostro rapporto normalmente non va oltre la condivisione del dentifricio. Non che manchi rispetto e reciproca stima tra noi, no di certo, è solo che il povero stronzo esce dalla sua stanza esclusivamente se la linea ADSL viene meno -circostanza che gli impedisce di giocare a League Of Legend on line-, o se si convince che, dopo 28 giorni di onanismo sfrenato, è arrivato il momento di accoppiarsi con una donna. E’ in questi momenti che si lava i capelli, si infila le mutande e le sneakers e cerca di ristabilire un contatto umano con l’unico essere vivente che tiene a tiro: me.
Io la sera non esco mai di casa, ho un buco nella pancia e uno nella testa ed è pure per questo che non bevo gin tonic. Eppure a Manfredi non so dire di no. O meglio, io gli dico pure di no, che non ho alcuna intenzione di uscire, ma lui pare non capire, sorride sotto quei suoi baffetti da cantautore triste, apre la porta e aspetta che varchi la soglia come si fa di solito con i cani. Gli avevo chiesto almeno di escludere tutti quei locali dove non servono succhi di frutta al mirtillo, ma mi ha risposto che il concentrato di mirtillo lo bevono solo le donne in menopausa, quelle in quei giorni, o quelle con problemi di circolazione, al massimo. Insomma, “mica sei una lesbica, no? Stasera ti bevi una birra e non rompi i coglioni”, urla mentre siamo in coda alla cassa di una antica fabbrica d’amianto dismessa. “Anzi, fai una cosa… paga te. Io vado a cercare un tavolino libero, che se hai il posto le femmine si fermano sicuro”.
Mi viene da pensare alle femmine di uccelli migratori: uno stango e una sosta, una palude e un’altra sosta, e così via fino a destinazione. Mai una che si fermi per sempre, passano tutte, ovipare o mammifere che siano.
“Un gin tonic e un mirtillo, per favore”
“Come si fa il “mirtillo”? che roba ci va dentro?”
“Una gin tonic e una birra, grazie”. Tanto poi non la bevo, la tengo lì per dare l’impressione del beone e tenere lontano le femmine di gru cenerina.
“15 euro”, salmodia meccanicamente la barista che non alza mai la testa, e io penso che si vergogni dei suoi denti, oppure che sia un uomo che si traveste da donna per poter chiedere cifre esorbitanti agli avventori, perché si sa che un maschio sano non darebbe mai 15 euro per una birra e un gin tonic a un barista del suo stesso sesso. Magari non ha nulla di strano, forse ha solo un brufolo in piena faccia e si nasconde come può. Mi basta attraversare tutta la sala ingombra di copri e qualche essere umano per calarmi nei suoi panni. Troppe parti anatomiche in movimento, troppi occhi, troppa eccitazione e sudore, al posto suo farei lo stesso. Per un attimo penso anche di sedermi al tavolo e infilare la testa sotto al giaccone che Manfredi ha sparso sul tavolino per marcare il territorio. Ci penso e quasi lo faccio, mi siedo e mi piego sul marmo e penso agli struzzi. Mi domando se le femmine di struzzo migrino pure loro, o se siano solo infedeli come il restante 90% degli animali. Dicono che tra gli uccelli ci sia il numero maggiore di specie monogame, ma non è vero. E’ una percentuale bassissima, e pure quelli che definiscono monogami lo sono quasi sempre per una sola stagione riproduttiva. Una barzelletta per etologi, insomma. E allora non penso più agli struzzi, voglio strisciare sotto il giaccone come un lombrico, che mi pare di colpo un animale più serio.
“Cazzo fai? Non fare il matto, adesso. Ci stanno due.
“Due che?
“Due che ci guardano.
“Dove?
“Là, appoggiati al muro. Non voltarti…
“Ma uno è un maschio…
“Ma l’altra è femmina…
“Dici?
Mi sa che sono stupido. Faccio domande idiote e Manfredi mi odia. Ma ho un buco nella testa e i pensieri mi scappano fuori e non posso farci nulla. “Mi pare bruttissima…
“Tu sei bruttissimo, quella è una principessa. E io stasera mi ci accoppio. O mi accoppio o muoio, stasera. Ma mi accoppio di sicuro. Eccoli. Fai finta di essere normale..
“Ce l’avreste una sigaretta?
“No.
“Certo che ce l’abbiamo.
“Ci sediamo qui con voi, allora.
Manfredi è felice, è quasi certo che non morirà. Non in serata almeno. E’ sicuro di farcela. D’altronde una ragazza non ti chiede una sigaretta e poi si siede al tuo tavolo se non vuole accoppiarsi. Questo lo so, anche io guardo le sit-com americane, soprattutto mentre mangio.
E anche se molto brutta e completamente vestita di nero pure questo strano esemplare di donna è sicuramente alla ricerca di un maschio capace di appagare i suoi istinti sessuali. Sono tutte uguali, ma a me questa fa più paura delle altre. Sembra la copia sbiadita e androgina di Jules, di Jules e Jim, e il tipo che si tira dietro pare morto.
Manfredi non ci bada, sente l’odore del sangue e si prepara a predare. Si liscia le sopracciglia con l’indice e il medio della mano destra e parte all’attacco. O forse è l’odore del sesso che riconosce ma fa lo stesso, non c’è differenza. E’ un’attacco dialettico in piena regola: parla senza aver alcun argomento, senza lasciar mai cadere la conversazione, nemmeno per un istante. Sputa fuori parole e pezzetti minuscoli di patatine e va avanti per ore, giorni, settimane. Gli si secca la lingua e la saliva gli si rapprende agli angoli della bocca in grumi bianchi e schifosia ma non molla. Si fa l’amore o si muore, quindi vale tutto, anche l’approccio per sfinimento. L’amico della dama nera invece non dice nulla, sta seduto al suo posto e basta, composto come una governante svizzera. Forse si droga e non gliene frega niente di andare per locali. Magari è stato trascinato lì a forza dall’amica perché da due settimane le lancette del suo orologio biologico si sono piantate sull’ora della maternità e non ha uno straccio d’uomo, povera bestia. Dovrei essere solidale con un compagno di sventure ma io ho il mio buco nella testa e ho fame da tutta la vita. Si era parlato di panini imbottiti e ho scoperto che era solo una sporca bugia, uno specchietto per allodole fesse. I salatini non bastano, sono un pasto troppo misero per sforzarsi a guardare oltre le apparenze. Io vedo solo uno spaventapasseri malmesso, un nerd pugliese arrapato e una cornacchia in piena stagione degli amori.
Non esco mai di casa la sera e non do confidenza agli estranei, specie alle femmine. Eppure ora sono in un bar e il mio ginocchio sfiora quello di una ragazza che beve birra dal mio bicchiere senza chiedere il permesso. Tira giù sorsate piene e sorride al mio coinquilino. Lui dice Tolkien, Hobbit, Mandela, Oxford, gioco, ruolo e lei pare divertita. E’ certo di aggiungere una tacca alla cintura delle medie. Ma quando afferma che tra tutte le possibili combinazioni della lingua inglese “The cellar dor” è sicuramente la migliore lei si abbandona defintivamente al riso e gli sputa in faccia un po’ di birra. L’amico tossico prende un fazzolettino di carta dal porta tovaglioli e lo passa a Manfredi. Seguono attimi di silenzio tesissimi. Manfredi vorrebbe morire subito, ma gli tocca aspettare almeno mezzanotte.
E’ il mio turno. Sento che la campana sta per suonare anche per me.
“Lo sai che hai un buco in testa? appena sopra la tempia”, fa lei allungando una mano per scompligliarmi i capelli. “Cos’è? Una vertigine?”
“Ho anche un buco nella pancia.
“Ho capito, fai il matto. Sempre meglio del tuo amico, qui. Almeno te sei carino e parli poco”.
“Come ti chiami? Io mi chaimo Frida.
“Io mi chiamo Mimì.
“No, davvero, come ti chiami?
“Mi chiamo Mimì.
“Sul serio?
“Sul serio.
“E’ un nome di merda. Non puoi dire che ti chiami Massimo quando ti presenti?
“No. Sarebbe una bugia
“Sei messo male, mi pare. Comunque noi ora ce ne andiamo”, annuncia raccogliendo dalla sedia le spoglie mortali del compare. “Te fatti cambiare nome, almeno”.
“Cosa cazzo ci siamo venuti a fare in questo posto di merda, eh?” ringhia Manfredi mentre la strana coppia torna a mescolarsi alla folla. “E’ pieno di stronze che vengono a scroccare. E pure brutte. Un puttanaio di terz’ordine, ecco dove siamo finiti. Pieno di frosci, pure”.
Se la prende troppo, lui. Io no. Io non volevo nemmeno uscire di casa. Ma va bene lo stesso. Potrei essere uno splendido luogo di transito per animali migratori, io. Tipo una palude, o una pozzanghera. Ma con un buco nella testa e uno nella pancia ho altro a cui pensare.
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Adoro. Questo. Racconto. Potrei dire un sacco di cose sullo stile che mi ricorda questo e quello, ma ho sonno e non riesco a concentrarmi e ho dimenticato quasi tutti i libri che ho letto. Comunque lo. Adoro.
Grazie Antonella. Sono molto contento del fatto che ti sia piaciuto!
anch’io l’ho letto tutto d’un fiato: stile veloce, diretto….mi ha fatto venire fame. Comunque complimenti. Mi piace molto.
Bel racconto, ben scritto. Inquietudine, solitudine, mancanza di comunicazione, un certo analfabetismo emotivo, direi che c’è tutto questo, riportato con uno stile asciutto privo di giudizi. Complimenti.
Grazie mille a tutti. E’ bella questa cosa che la gente legge quello che scrivo. Io con i vostri commenti ho già ottenuto tutto quello che desideravo da questo concorso. Grazie.
Mi è piaciuto tantissimo. Vorrei leggerne ancora,
Complimenti!
Ho riso moltissimo! Scrivi bene, hai senso dell’umorismo e sopratutto ora vado a cercare ‘sto disastro del sagittario che è da una vita che ho smesso di considerare Paolo Fox, ma mi sto preoccupando!
Battute a parte, complimenti, ha davvero un bel ritmo e si legge tutto d’un fiato.
Veronica,grazie. Vorrei scriverne altri.
Lorena, sono felice che ti sia piaciuto. Grazie per le belle parole. si legge tutto d’un fiato perché l’ho scritto tutto d’un fiato. durante una pausa in ufficio.
Un flusso di coscienza. Triste. Ma bellissimo!
Linda, grazie anche a te.
Ho notato che i commenti sono tutti femminili. Mi domando se siano slo le donne a leggere, in assoluto, o se abbia scritto un racconto che piace solo al gentil sesso. Questa cosa mi incuriosisce molto.