Premio Racconti nella Rete 2012 “Distanza articolata” di Fabiana Colangelo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Assenza
Non riesco a riempire la tua assenza di niente e quel che posso è solo pensare, fantasticare. Ma anche nell’immaginazione di una me più lontana nel tempo e nello spazio, mi penso a pensarti, mentre faccio qualcosa, in un posto non qualunque, ma bello, perché sono sicura che non mi porterò a soffrire in luoghi bui e desolanti. Creerò per il mio dolore uno spazio dignitoso, questo mi resta da fare.
Guardo avanti, perché è più facile. Il passato mi fa male: ci sei tu, ci siamo noi, i ricordi più vivi del mio vivere ora. A volte mento un istante e credo che non tutto è perso, ma è vero benissimo che siamo riusciti a finire e che non potremmo ricominciare se non diventando due qualunque, incapaci di vivere la distanza e l’abbandono. Questo io penso, cercando di sentire quello che senti, credendoci e confondendomi, come già accadeva quando i tuoi gesti di attenzione, le tue premure, più che un amico e non proprio un amore, mi tenevano in bilico tra l’amarti e il volerti bene.
Ma ti amavo.
Non te lo dicevo, ma non te lo nascondevo. Tu ne eri orgoglioso ed io anche. Sapevo di darti più di quanto chiedevi, ma volevi anche quello che non domandavi ed io non ti privavo di alcuna attenzione.
Non ero cieca perché quando si ama non lo si è mai. L’amore rende lucidi fino alla follia ed io ho aperto così bene gli occhi su di te a tal punto che non potrei amarti che per ciò che sei.
Da te avevo tutto, in un vincolo di reciproca gratitudine, affinità, risate, abbracci, dispetti e piccole torture, banco di prova della reale consistenza del nostro rapporto. Non avrei mai pensato che andasse in frantumi.
Negli scontri hai vinto sempre, perché avevi più paura e per questo eri sempre preparato alla fuga. Niente ti coglieva impreparato, qualche volta solo le mie, di fughe, ti lasciavano spiazzato. All’inizio succedeva così: tu tornavi a prendermi, sapevi come fare, ed io c’ero. Poi ci siamo abituati. Io fuggivo sempre meno, tu inseguivi sempre un po’ più tardi, finché non hai ritenuto più necessario tornare, dando per scontato che non sarei andata via per sempre. Forse hai ragione. Forse non torno da te perché tu non torni da me, ma sono qui ad aspettare qualcosa e a ritenere questa vita che scorre in tua assenza, nient’altro che un’attesa prima che tutto ricominci. Così posso vivere: devo lasciarmi un futuro con te per vivere senza di te.
Mi sono arresa da poco alla mia ostinazione di pensarti come unica gioia e unico dolore possibile, ma ti chiudo qui dentro il corpo e la mente, come un pensiero immobile che fa da arredo a tutti gli altri. Ti lascio a stagionare. Ho scelto di non dimenticare e poiché è impossibile riavere noi come eravamo, preferisco non avere niente più. Ogni forma nuova del nostro rapporto sarebbe una ferita per alleviarne un’altra.
Abbiamo lasciato che finisse tutto. Non ci siamo aggrappati neanche a quello che dobbiamo l’uno all’altro. Potevamo salvare il salvabile. Potevamo giustificare il presente restando aggrappati al passato, ma non scendo a patti con te.
Ritratto
Quel poco che so ancora di te e della tua vita mi ferisce, mi delude. Sei ancora lo stesso, anche senza di me. Io no. Mi serve segnare il confine tra me e te e me soltanto. Ci sono cose che non posso più fare e fatico a vedere volti che sono anche tuoi, ma per sentire un po’ meno la distanza mi riapproprio qualche volta della gente che abbiamo in comune.
Ci sono giorni che provo per te solo rabbia e antipatia. Vorrei schiaffeggiarti, umiliarti, ferirti come non saprei più fare poiché ho perso un po’ la memoria di chi sei, confusa da un “te” che mi arriva da lontano e che non riconosco, se non dovendomene fare un’idea ferina ed io non riesco ancora ad accettarti come un nemico.
Quando mi incontri hai la faccia superba di chi ha vinto. Te l’ho vista raramente. Quasi tutto il tuo passato ti fa sentire sconfitto, ma a me sai di avermi in pugno, non importa se ti sto lontana o vicina. Più dura il silenzio, più tutto è ancora qui, vivo.
Mi hai torturata da lontano, ancora. Non hai perso un’occasione per non soffrire della mia assenza, cerchi di salvarti senza impegno. Hai sempre avuta pronta un’alternativa. Non ti fidi della vita, non ti fidi di nessuno e non ti fidi di te, per cui ti prepari sempre a lasciare il campo appena occupato. Ti prepari a non possedere. Ti dai da fare ad allargare i tuoi confini umani, per paura della solitudine, ma non sei felice con nessuno. Ti accontenti di tutti e di tutti polemizzi perché nessuno ti basta, ma tutto ti è di troppo, costretto come sei tra le tue gabbie ed i tuoi voli. Le tue gabbie si chiamano insicurezza, confronto, paura. Non sai come liberartene se non negandole. La paura ti porterà ad andare sul sicuro. Sei stato bellissimo per me, fintanto che ti ho creduto sul punto di “fiorire”, ma ora so che i tuoi semi restano semi. Hai paura di diventare adulto. Non hai il coraggio di lasciare andare il fanciullo e proteggere l’uomo che devi diventare. Non sarai mai abbastanza alto per cogliere i tuoi frutti più maturi.
Prospettive
I ricordi non si trattengono a lungo. Non resistono all’andare della vita. Anche la memoria e l’immaginazione hanno bisogno di quel tanto di realtà su cui edificarsi, altrimenti di vuoto in vuoto si vanno sgretolando e le cose di tutti i giorni ne prendono il posto. Forse avrei dovuto tenere un diario dei nostri giorni, ma c’era troppo da vivere per poterne scrivere. Ed ora man mano che la memoria di noi va scomparendo, prendono forma lo spazio e il tempo senza di te.
Parlo delle ceneri dopo il fuoco. Una cenere come ogni altra cenere. Anche questa volta non sarai che un dolore superato, qualcuno a cui pensare, di tanto in tanto, come tappa, scansione, di parte della mia vita che prosegue ora senza meta, senza volere. Gli eventi hanno perso il senso che gli attribuisco da sempre se sono arrivata a te e senza di te vado avanti. Ora non sono che “cose che capitano” senza direzione. Tutto va come vuole andare.
Noi
Il tempo con te è stato carne, mente, spirito. Il mio sguardo ti ha disegnato in ogni dettaglio, non c’è particolare di te che mi sfugge. Amo le tue posture. Sembrano finte, impostate, forse lo sono. Tu reciti naturalmente e con l’esercizio sei diventato naturale nelle tue finzioni. Non sai se sei o se fingi. Sappiamo questo di te, io e te soltanto.
Quando ti ascoltavo diventavo due. Una che ti ascoltava come se ti credesse e l’altra che ti traduceva per smentirti. La tua sincerità era sempre sotto qualcosa che la oscurava ed io dovevo procedere a svelarne le fattezze, i camuffamenti che di volta in volta inventavi per impedirti di amarmi e per impedirmi di crederci. Non mi fidavo delle tue parole, eri troppo intento a non cedere.
Mi hai abituata ai tuoi modi e a quella tortura amabile che mi riservavi e di cui in fondo gioivo. Avevo paura quando ti comportavi normalmente. Ti sentivo lontano quando non facevi dispetti. Sbagliavi con me e poi riparavi. Io sapevo già e aspettavo che tu lo facessi. Qualche volta insistevo a non perdonarti, ti facevo stare in ansia, ti torturavo un po’ anch’io, ma non riuscivo a goderne. Tu sei più sadico. Io mi punivo nel mentre che punivo te e faticavo a non mostrarti i miei sensi di colpa quando finalmente cedevo. Noi ci perdonavamo così, senza ammettere responsabilità, rimanendo ognuno nella propria posizione, che era di stare comunque vicino all’altro.
Abbiamo sopportato di tutto per non perderci il che dimostra che non abbiamo evitato nulla affinché non accadesse. Mi portavi nei tuoi labirinti in cui ero brava ad orientarmi e tu ti stupivi di questo, mi adoravi per questo. Poi ho imboccato l’uscita e siamo finiti.
Amputazione
La tensione costante è diventata con il tempo la nostra intesa o, meglio, un modo di arginarla, di contenerla. Non eri preparato ed io ti concedevo il tempo di abituarti. Ma sei stato sopraffatto dalla mia devozione, sei stato vinto dal tuo orgoglio e questo ha vinto sull’amore che ho per te. Mi sono mutilata di te. All’inizio sentivo poco la distanza e non c’era ancora dolore. Proprio come succede di un arto che viene improvvisamente a mancare. Si dice che dopo l’amputazione l’arto ti sembra di averlo ancora. Solo quando tutti i sensi si sono abituati all’assenza, alla carenza, allora è evidente la mancanza e il dolore si ravvisa, fa la sua comparsa, nasce.
Saturazione
Nevica da qualche ora. Le strade si stanno coprendo, le automobili vanno scomparendo, restano solo quelle che procedono lente, colte dal biancore già sulla via dell’andata o del ritorno. Tra poco tutto si farà bianco e silenzio, come ora noi. La neve coprirà suoni e rumori, coprirà la modernità delle strade, dei lampioni e dei negozi. Sotto la sua coltre tutto sembra antico, una foto in bianco e nero di cui non si può dire con precisione di che anno é. Se volessimo ingannarci potremmo farlo. La neve che scende copre anche gli anni, i secoli ed io penso a te incastrato da qualche parte, impossibilitato a venir via da te stesso.
Memoria
Persone e situazioni ti occorrono per consolarti. E’ così per tutti, ma per te di più, che riesci a prendere una forma solo alla presenza di qualcun altro. Da solo impazzisci, siete in troppi. Non sai stare fra te e i tanti che ti stanno dentro. Gli altri ti chiamano all’appello e tu rispondi. So che sei ovunque e con chiunque una parte di te.
Insieme a me c’eri tutto e, anche se in mille pezzi, ti sentivi completo. Tu eri tutti i frantumi di uno specchio rotto, del quale intuivo il volto originale completo. Mi guidavano l’intuito e l’amore, due modi di conoscere che ho affinato standoti accanto.
Mi manchi. Ho registrato tutte le tue espressioni, quelle non se ne vanno dalla memoria. Perdo cose di noi due insieme e salvo tutto quello che ti riguarda. Anche la mia memoria ti ama ancora, non ti perde, se ne frega di noi due, non può niente ormai, lo sa, ma a te ci tiene e ogni tanto deve andarti a rivedere. Tu che parli, tu che guidi, tu che bevi, tu che fumi, tu che accendi la tv, tu che ti incammini dall’orizzonte della terra verso di me. Ti ho trovato in qualunque modo, perché tu non mi aspettavi mai con riguardo, forse solo con un po’ di impazienza, se non altro per sfuggire alla tua solitudine. Non ti davi da fare ad accogliermi più di quanto fosse legittimo, ma non mi hai fatto mai sentire un ospite qualunque. Ti sfuggiva ed io lo catturavo il sollievo di vedermi e mi hai fatto innamorare di tutti i tuoi umori.
Tentativi
Esco con qualcuno. Mi tento, mi provo, cerco di essere me con te. Mi sforzo di non essere tua.
Alcune volte ho goduto nel pensare che sei incapace a comportarti, grezzo, rudimentale, ignorante. E’ consuetudine per certi uomini usare gentilezze che tu non hai mai osato. Cerco di rimpicciolirti come posso, di ridurti alla norma, ma non mi sfugge che sono offesa ed ogni tentativo di banalizzarti muore appena nato.
Per non dimenticare, non posso mentire. Io mi aggrappo alla verità per ricordarmi da cosa mi salva, tu alla bugia per la stessa ragione.
Non vivrai per sempre così. Questa è la mia speranza, questa la mia attesa, ma sono già preparata al nulla. Non mi aspetto niente. La vita è diventata semplice dopo di te, si è consumata tutta nel nostro tempo.
Io torno a una solitudine letteraria, ti suppliscono i libri scritti da grandi nomi. Leggo, penso e poi scrivo di te, torno a te tra le parole che ingoio e quelle che vomito e ti racconto tutto quanto mi è sprofondato dentro aprendo il vuoto con cui convivo.
Qualche volta, quando devo, faccio la strada che facevo per venire da te e cerco di non darci peso. La mente si affanna a trovare un altro pensiero a quello che sarebbe inevitabile, ti concede solo un attimo per poi dire a se stessa che quella strada mi è servita altre volte prima di te e ancora dopo.
Spoglio le cose del legame che hanno con te. Mi abituerò, so che è possibile e tutto quanto ci ha toccato smetterà di esistere come ricordo e tornerà ad essere nient’altro che se stesso.
Questa cosa imperdonabile che fa il tempo di restituirci alla vita attraverso l’oblio del vissuto, non si può chiamare guarigione. Ci si sente meglio dopo un po’, è sempre vero, ma resta il vuoto. Lì dove prima c’era il dolore, la sofferenza, la mancanza, perché ancora si avvertiva fresco l’essere stati qualcosa di più, ora resta un’assenza di sensazioni e di ricordi. Non si può chiamare vita quella che ne ha cancellata una parte. Io ti ho reciso e non l’ho fatta franca perché ora amo questa mia ferita che mi tiene costantemente sveglia sulla realtà. Tutto ciò che è vero e reale mi fa venir fame di sé. Tu, noi, come sogno, stiamo sullo sfondo e siamo scenografia di tutto quello che d’ora in poi accadrà nelle nostre vite.
Ostinazione
Oggi fai cose che per me non sei. Abbatti il tuo ritratto, quello che mi hai disegnato qui dentro, in un posto che è poco chiamarlo anima e scontato chiamarlo cuore.
Mi sfuggi, te ne vai dove sarà impossibile per me tornare sui miei passi e venire a riprenderci. Non mi concedi di perdonarti, non mi lasci alcuna speranza di aver ragione e fai quello che devi per smentirmi. Ti lascio fare, non so più se ti aspetto o no. Mi convinco, ma sempre meno, che la tua ostinazione sarà la tua afflizione. Con il tempo ti abituerai a quel che hai ed eviterai il rimpianto ed il rimorso, abusando della tua memoria e ricordandomi appena tra coloro che in fondo ti hanno abbandonato. Così fai. Non ti ho concesso di fare di noi quel che ti era necessario e mi hai permesso di andarmene.
Distanza
Poi la noia ti divorerà. Ti affliggerai per le tue rinunce. Vivrai per mancanza d’altro. Fingerai di volere quel che hai finché ti accorgerai che è tutto e che non ti basta. Ma di questo porterai addosso solo la sensazione a cui non darai né corpo, né voce, per paura di scoprire che ciò che hai perso è sempre stato tuo, anche se non ti appartiene più.
Ma noi siamo stati e di questo ora il silenzio e la lontananza sono garanti e testimoni. Non hai scampo. Dentro questa distanza continuiamo a stare insieme.
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