Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “9,8 m/s²” di Herman Winckler

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

E  così mi ritrovo ancora quassù a non so quanti metri di altezza, con questo fagotto dietro la schiena che mi opprime;  ma non è la fatica,  il peso che preme appena lo sento, sono piume d’uccello, tappi di sughero, meringhe spumose e leggere: è questo sentirmi avvolto e legato, piuttosto,  a rendermi un poco nervoso.

E da queste parti al solito c’è poco da fare, si scende veloci, si cade, ci si accontenta della sfida passiva tesa dall’aria gelata che attraverso la tuta tanto non riesce a passare.  Il sole lassù, coperto da un velo di nubi, è un disco a malapena visibile di luce anodina che non brucia e non acceca.

Guardo il paesaggio venirmi incontro. La massa indistinta del quadro iniziale è ormai diventata una cartolina dai contorni sempre più netti che tra non molto sfumerà nel primo piano di un punto  imprecisato giù in basso che mi aspetta.

Mi sorprendo a rivivere ancora intatto il ricordo della prima volta, le gambe tremanti, le voci degli altri che  infondevano coraggio e infine la spinta. Scoprii così che la terra non era nient’altro che un’enorme calamita potentissima e ingorda di corpi. Rabbrividii  quando capii che reclamava anche il mio, come se le fosse  appartenuto da sempre. E da allora non ho mai smesso di chiedermi a che giovi questa specie di gioco, se sempre si torna coi piedi per terra, mammiferi identici a prima, insoddisfatti per essere stati per qualche minuto soltanto un uccello mancato, privo di ali, capace soltanto del volo in picchiata, di precipitare.

Eppure quanto oggi accade dentro di me è un fatto così insolito che a stento riesco a descriverlo. Vedo come dissolversi l’amara coscienza di essere solo un bolide di carne, rinchiuso in una goffa livrea di tessuto sintetico mal visto e tollerato dal cielo.

Più mi avvicino al suolo più sento bruciare la smania di riuscire in un’impresa preclusa agli uomini.

Mi fingo sospeso, inerte,  immune alla forza gravità, e inizio a sognare; mi vedo imboccare una scia,  penetrare il soffio leggero di una corrente ascensionale che mi faccia riprendere quota.

La cifra che segna l’altimetro rimpicciolisce ineluttabimente e una voce dettata dalla ragione mi fa segno che è ora di smetterla di fantasticare, mi presuade che è tempo di sventolare nel cielo la vela del paracadute come una bandiera ammainata in segno di resa.

La luce dorata del sole mi investe,  la leva che  sporge dal petto emette  un bagliore accecante che sa d’ultimo avvertimento.

Ma non sento di avere paura. Devo soltanto indovinare il luogo e l’istante preciso. Ecco: scorgo  alcune sagome di alberi e il profilo distinto di una roccia che buca il manto immacolato della neve; vedo comparire minuscole alcune sparute figure di animali. Sento la terra chiamare col suo risucchio di spaventoso buco nero.

Ci sono. Il luogo perfetto per apprendere il volo deve essere questo.

Non seguirà alcuno schianto.

Del resto non è forse  quaggiù, a qualche decina di metri dal suolo, che l’aria e più densa d’uccelli?

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