Premio Racconti nella Rete 2012 “La testa nel pallone” di Nicola Barbera
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Si sa quello che si sa, e non quel che non si sa. Sembra banale, ma è questo che fa la differenza.
L’uomo sulla trentina seduto sulla spiaggia su una stuoia azzurra, con accanto un’inverosimile pila di quotidiani (dovevano essere di date diverse – pensò Giulia che lo osservava incuriosita da lontano – non era possibile che in uno stesso giorno ne stampassero così tanti), sapeva per certo di essere un cronista sportivo.
Part time, per il momento…
Beh, a essere onesti più precario che part time, nel senso che lo pagavano a ore (con un tariffario che combinava il tempo stimato di stesura dell’articolo con l’importanza dell’avvenimento da seguire) ma solo quando produceva qualcosa. Quando gli affidavano qualcosa.
Però “part time” suonava meglio, nelle presentazioni.
Soprattutto, lasciava avvolto nel mistero cosa facesse nel tempo restante: accademico, disegnatore – in effetti lo si vedeva spesso scarabocchiare strani pupazzetti su bloc notes ingialliti – fotografo, regista…
Giulia dal gazebo del bar notava tutto: la macchina fotografica semi professionale con il grande teleobiettivo, piazzata sotto un ombrellino a spicchi bianchi e gialli, al sicuro dal poco sole che ogni tanto si affacciava tra le nubi; qualche rivista di cinema che sonnecchiava, stropicciata, accanto alla torre di giornali…
Si sentì vagamente eccitata dalle sue fantasticherie.
Oltre a essere davvero un bel ragazzo – non un filo di grasso, e il petto muscoloso che non si vergognava di esibire qualche pelo virile – il misterioso bagnante lasciava intravedere una personalità variegata, forse addirittura affascinante.
Era il caso di esplorare, pensò.
D’un tratto l’uomo alzò lo sguardo e la vide mentre lo fissava.
La distanza non era brevissima – saranno stati almeno venti metri – ma in quel lunedì nuvoloso di fine settembre non c’era molta concorrenza, nel campo visivo di quella ragazza con occhiali scuri e capelli fulvi acconciati a coda di cavallo…
Bene – pensò – magari la giornata iniziata male poteva diventare interessante.
Con un sospiro lanciò uno sguardo alla montagna di carta che aveva al fianco: come avrebbe voluto essere stato lui a firmare – anche solo con le iniziali – almeno uno dei resoconti delle prime pagine… e invece doveva limitarsi a leggere e rileggere i pezzi dei cronisti famosi cercando di rubare qualche preziosismo linguistico, qualche trucco del mestiere…
Nel frattempo, incredibilmente la ragazza del bar gli si era avvicinata: “Mi scusi.” – lo abbordò – “Qui stamattina c’è solo lei e io non ho niente da fare… perché almeno non ordina qualcosa, così mi sento meno inutile?”
“Lei non può essere inutile.” – la battuta, galante nelle intenzioni, gli era venuta praticamente una chiavica. Si arrabbiò con se stesso: altro che grande giornalista!
“Le offro volentieri un aperitivo, se le va.” – aggiunse subito per rimediare, anche se sapeva che così ne avrebbero fatto le spese il pranzo o la cena.
L’ampio sorriso della ragazza lo ripagò con gli interessi: “Grazie. Mi chiamo Giulia.”
“Io Francesco.”
Due ore dopo erano ancora immersi in una fitta conversazione. Ora lui le spiegava i progetti per il futuro:
“Quello che voglio veramente fare” – disse – “è scrivere. Ma non solo articoli. Scrivere delle storie ispirate allo sport, dato che è la mia materia. Sai che c’è un editore specializzato nel pubblicare esclusivamente romanzi e racconti che hanno in qualche modo a che fare con un’attività sportiva? Che so, quello che succede a un arbitro di calcio… la vita privata di un tuffatore, o di un campione di atletica leggera… cose così. Potrei tirare fuori tante idee, di questo genere.”
“Fico. Non lo sapevo. E le storie dove le prendi?”
“Beh, immagino che dovrò inventarmele. Magari vedrò di ispirarmi anche a qualche fatto vero; ma allora dovrò cambiare nomi e circostanze, per evitare il rischio che mi facciano causa. Magari mi aiuti tu a escogitare qualcosa… mi sa che voi coi capelli rossi dovete avere una bella fantasia…”
“Oh, io disegno stoffe. Cioè, ci sto studiando. D’estate lavoro per mettere via un po’ di soldi, questa è la mia ultima settimana. Ma il resto dell’anno vado all’università. Vorrei specializzarmi in questo ramo: tessuti per vestiti, divani, tappeti. Cose così. Mi attirano.”
Si sa quel che si sa, e non quel che non si sa. Giulia e Francesco sapevano di essersi incontrati, e anche di essersi piaciuti.
Troppo poco, ancora.
Per conoscersi serve il tempo. Per capirsi, non basta mai…
Ma intanto il sole era venuto fuori, e d’improvviso il posto aveva preso ad animarsi.
Giulia disse in fretta: “Continuiamo dopo. Tu non scappare.”
E si precipitò a servire i nuovi clienti: due o tre coppie con una masnada di ragazzini quasi adolescenti; due carampane ingioiellate; un distinto cinquantenne griffato e abbronzatissimo.
“E tu non fidanzarti con quel vecchione che ha l’aria di essere pieno di soldi.” – ebbe il tempo di ribattere lui sotto voce.
Si rimise al sole, vagamente euforico.
Va beh, era presto per farsi illusioni… però lei sembrava interessata, e anche se non era esattamente una gran fica gli smuoveva senz’altro i sentimenti… e non solo quelli.
Provò a immaginare di baciarla, ma stava troppo scomodo: non puoi sognare per bene di stare con una donna, se sei seduto su una stuoia.
Ti devi almeno sdraiare…
Intanto i ragazzini – tredici o quattordici anni, alcuni già dei bellimbusti – avevano cominciato a giocare al pallone, con alti strilli e foga adolescenziale: “Passa! Tira! Salame, sono qua!”
Francesco si stese lungo lungo, ma quella testa buttata all’indietro non andava proprio; gli svuotava il cervello. Ci sarebbe voluto un cuscino: uno di quelli gonfiabili, magari… ma lui non lo aveva, non era abbastanza organizzato.
E poi il posto non era più così rilassante come al mattino: ora i ragazzi facevano un sacco di chiasso, anche perché il pallone sembrava di quelli pesanti… a giudicare dal rumore che mandava a ogni impatto, doveva anzi essere pesantissimo: un pallone di cuoio marrone ereditato dai padri, o forse dai nonni.
Ogni calcio rimbombava nello stomaco come il suono di un’autoradio sparata al massimo.
Ma lui non poteva andare via: Giulia era lì e Giulia era bellissima – stabilì – forse non proprio una gran fica ma bellissima. Ci voleva pazienza, chi non risica non rosica. E a lui di rosicare andava tanto…
Considerò la pila di giornali: ma poggiarci sopra la testa gli sembrava un sacrilegio. Sopra a Mario Sconcerti, a Gianni Mura! Impensabile, fuori questione.
Lì vicino però c’era un grosso sasso.
Almeno due chili di peso, ma liscio e arrotondato: messo per il verso giusto – in mancanza di altro – poteva anche andare bene come cuscino. Lo prese e se lo sistemò con cura sotto il collo: molto meglio, decisamente.
Rigido ma funzionale. Giusto come avrebbe voluto essere sempre lui…
Si sa quel che si sa, l’ho detto.
Francesco sapeva – nella sua mente persa nei sogni – che fare l’amore con Giulia sarebbe stata la cosa più bella che mai gli sarebbe potuta capitare.
Così bella che avrebbe voluto farla tutti i giorni; e poi tutta la vita.
Chissà com’era lei con i capelli sciolti: rossi serpenti sensuali che lo avrebbero schiaffeggiato o accarezzato, lambito o sferzato…
E la sua pelle che sembrava di seta… che meraviglia toccarla leccarla mangiarla… perdersi nel suo corpo: crescere con lei, dentro di lei.
L’oggetto di cotanto desiderio intanto si affannava nel suo lavoro estivo: sembrava proprio che la gente fino allora fosse stata lì lì ad aspettare il sole al varco, impaziente di precipitarsi in spiaggia.
Ora d’un tratto era tutto un fioccare di ordinazioni: succhi di frutta e gelati, acque toniche e caffè.
Lei serviva e sorrideva… ma ogni tanto, si concedeva un’occhiata al bel maschietto steso al sole. Chissà se pensava a lei.
Si sa solo quel che si sa, e il resto lo si ignora. Del tutto.
Vai una mattina al mare giusto perché non hai un cazzo da fare e i giornali è meglio leggerli all’aria aperta, anche se sai che su di essi ti farai il sangue marcio… e lì ci incontri una persona che all’inizio non ti sembrava ma ti piace tanto tanto…
Tanto, che non la vorresti mollare più.
Chi te lo doveva dire? Era dietro l’angolo, semplicemente. E non sai mai cosa c’è dietro l’angolo.
La partita al pallone si andava esagitando sempre più.
Ora i ragazzi strepitavano di azioni fallose, di calci di rigore ignorati dall’arbitro.
La pesante sfera di cuoio sfrecciava per ogni dove, bolide siderale in pieno viaggio interstellare… errante asteroide in grado di sprofondare continenti, di sfracellare mondi interi…
Francesco però non se ne curava.
In altri momenti avrebbe urlato; a costo di farsi odiare, avrebbe afferrato il pallone e lo avrebbe volentieri trafitto col suo coltello da sub.
Ma adesso aveva altro a cui pensare. Come sarebbero state le sue tette? Sode sode e coi capezzoli puntuti e aguzzi, o più morbide col grande alone intorno? Comunque una meraviglia, ci avrebbe scommesso! Si agitò un po’ sulla stuoia, inevitabilmente.
Un noto cronista sportivo, forse anche scrittore, e una famosa designer di tessuti: mica male come coppia, pensava Giulia.
Un ponte fra sport e moda… una manna per le riviste illustrate, per i settimanali di gossip.
E poi quel corpo maschio e asciutto… si sentì bagnata solo a guardarlo da lontano.
E farci un figlio? Una caterva di figli? Sembrava uno che sarebbe potuto essere un compagno gentile, un padre attento… Cazzo, si stava innamorando?
Perché non lo lasciavano tranquillo, quegli idioti di ragazzini? Giusto a due passi di distanza, a fare tutto quel casino… magari con una pallonata gli rompevano la macchina fotografica, e lui che non sembrava badare a niente…
Si sa quel che si sa, non quel che non si sa.
Cosa ci aspetta tra dieci anni? Cosa, tra dieci secondi? La vita è una cosa fragile.
Basta niente per annullarla del tutto o per toglierle ogni appeal: ma da giovani non ci si pensa, tutto sembra esserci da sempre e non dovere finire mai.
Il tempo è solo un giro di orologio fino al prossimo appuntamento; la preparazione prima del tuffo, del salto dove l’acqua è più blu.
Il tempo assomiglia all’eternità… almeno, per quello che si sa.
Si sa solo quel che si sa, in effetti. Il resto è mistero. E quando lo sveli, nulla può tornare come prima.
Forse ci sono universi paralleli, ma nel nostro quello che è fatto non si può disfare… e se sognavamo qualcosa di diverso, peggio per noi.
Santi e miracoli esclusi, ovviamente.
Francesco era perso nella sua immaginazione: si vedeva fra qualche anno, con i capelli magari un po’ brizzolati, a passeggio con la sua magnifica Giulia e un paio di cuccioletti.
Il maschietto rosso di pelo come lei, la bimba castana e con gli occhi azzurri.
Avrebbero guardato insieme le partite di calcio – anche la piccolina – e sarebbero stati orgogliosi di leggere su libri e giornali il nome del loro papà.
Ancora innamorato perso della mamma, sicuramente.
Il pesante pallone sfrecciava ormai privo di freni inibitori. Nella passione del gioco, i bambini/adulti che gli correvano dietro facevano fatica a dosare le proprie forze, le energie impresse. E già un tiro violento abbatteva un ombrellone, sbrecciava un muretto…
Francesco sistemò meglio la testa sulla sua pietra-cuscino.
Immaginava le labbra di Giulia contro le sue, la lingua pronta a saettare avida dentro la bocca… quasi si sentì male al pensiero; si contorse ancora sulla stuoia.
Giulia lo sbirciava di tanto in tanto di soppiatto. E le sembrava inquieto, agitato. Era lei la causa di quel turbamento? Se era così, non le dispiaceva affatto…
Il pallone volò, alto verso il cielo.
Un rimpallo maligno, forza di cannonata infranta contro una risoluta opposizione.
Si impennò in verticale, in un’orgogliosa sfida alla gravità. Visto da sotto, sembrava destinato alle stelle: saliva saliva e non scendeva più…
Si sa quel che si sa, e non quel che non si sa.
Dove sarebbe finito il pallone? Avrebbe davvero preso la via dell’orbita, rotondo erede di Laika e Gagarin, o alla fine sarebbe piombato giù facendo scempio delle miserie terrestri, aprendo al suolo grandi crateri?
Forse un computer, inserendo tutti i dati: forza dell’impatto iniziale, angolo di deviazione, peso del bolide, altezza raggiunta… forse un computer avrebbe potuto dire con quale violenza sarebbe atterrato, se non fosse invece decollato definitivamente verso lo spazio siderale.
E in quali esatte coordinate GPS?
Certo da qualche parte lì sulla spiaggia: quello che sale deve scendere, prima o poi…
Si sa quel che si sa; e nulla – proprio nulla – di quel che non si sa.
Se esistevano universi paralleli, in novantanove su cento il pallone sarebbe stato indirizzato dritto dritto sulla fronte di Francesco, sulla sua testa appoggiata con fiducia su un duro cuscino.
In novantanove su cento, l’impatto gli avrebbe spezzato di netto l’osso del collo.
Ma forse quello era il centesimo universo. O almeno, nulla ci vieta di pensarlo.
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complimenti! mi è piaciuto molto…
Carino. Molto. Originale e piacevole. Complimenti e in bocca al lupo!
Un racconto molto simpatico e originale. Si legge molto bene. Ben scritto! complimenti
Un racconto che mostra quanto possa essere imprevedibile una giornata qualunque. Bravo!
Grazie davvero a tutte voi. In effetti ho cercato di costruire una storia nella quale la tensione salisse via via fino quasi a diventare insopportabile… se la lettura risulta comunque piacevole, ne sono contento.