Premio Racconti nella Rete 2012 “La rosa bianca” di Paolo Borgognone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Petrushka cercò di stringersi ancor più nel suo corto giubbino, in quella gelida notte. Avrebbe tanto voluto poter indossare un caldo cappotto, ma Madame non voleva. Diceva che un soprabito lungo avrebbe coperto quello che invece doveva essere generosamente mostrato. La ragazza tentava di scaldarsi un poco camminando avanti e indietro sul marciapiede, e intanto si chiedeva come avesse fatto a finire in quella situazione.
Aveva lasciato il suo freddo Paese dell’est con tante speranze, a soli 21 anni. Avevano pensato a tutto “loro”: le avevano fatto passare le frontiere, l’avevano portata nella grande metropoli, le avevano trovato una camera nella casa di Madame, si erano offerti di aiutarla a cercare un lavoro. Le avevano perfino fatto fare alcuni colloqui con sedicenti professionisti che dicevano di volerla assumere come segretaria. Poi, a un certo punto, “loro” avevano cominciato a fare strani discorsi. Le dicevano che doveva pur sdebitarsi con Madame che la ospitava, e visto che non aveva ancora un lavoro regolare, doveva trovare una soluzione alternativa. Quando finalmente aveva capito dove “loro” volevano andare a parare, si era seccamente rifiutata. Per qualche giorno l’avevano lasciata in pace. Poi una sera le avevano dato un pc portatile, lo avevano acceso, e sul monitor era apparso un video nel quale la madre, che era rimasta nel suo Paese, appariva terrorizzata, con una pistola puntata alla tempia. Cercò di resistere, ma poi fu costretta a cedere: l’immagine della mamma minacciata la perseguitava giorno e notte.
Così una sera la vestirono con abiti succinti e l’accompagnarono in quel viale della zona industriale, lasciandola in un angolo malamente rischiarato da un lampione. Poi se ne andarono, ma lei sapeva che in realtà erano rimasti lì a controllarla. Aveva dovuto anche rinunciare al suo nome: lei si chiamava Maria, come milioni di altre donne nel mondo. Invece Madame le aveva affibbiato Petrushka, perché secondo lei era più consono a una donna dell’est. Un nome falso, come tutto era falso in quella vita che lei odiava e non avrebbe mai voluto vivere. Nel formulare questo pensiero, con rabbia, la giovane colpì con un pugno il palo che sorreggeva il lampione. Fu allora che la vide. Avvolta sommariamente in un cellophane, e attaccata al metallo con un semplice nastro adesivo, c’era una rosa bianca. Cosa ci faceva una rosa proprio lì? Si chiese Petrushka. Chi ce l’aveva messa? E soprattutto, a chi era destinata? Mentre la ragazza si poneva queste domande, un cliente le suonò il clacson e lei non ci pensò più. Ma quando, poco prima dell’alba, vide che “loro” la stavano venendo a prendere, allungò la mano verso il fiore, ormai quasi appassito, e lo ripose nella sua borsetta.
La sera dopo, tornando al suo solito posto, Petrushka non poteva fare a meno di chiedersi se avrebbe trovato un’altra rosa.
– Ma no, è impossibile – diceva tra sé – chi vuoi che regali una rosa, oltre tutto bianca, a una come me? –
Eppure dentro di sé ci sperava, e quando arrivò al lampione non riuscì a trattenere un sorriso, vedendo il fiore che biancheggiava alla fioca luce sullo sfondo nero del palo. Appena “loro” se ne furono andati, lei allungò la mano e afferrò la sua rosa. Ormai era sicura che era per lei, anche se non riusciva a spiegarsi perché, né da parte di chi. Ma ogni sera, per diversi giorni, lei arrivava al suo angolo quasi correndo, dopo essere scesa dall’auto, per impossessarsi del fiore e stringerlo al petto per un istante, prima di nasconderlo nella borsa.
Una sera, però, accadde quello che, in fondo, aveva sempre temuto. La rosa non c’era.
– Forse è passato qualcuno che l’ha strappata via – pensò, guardandosi intorno e cercando sull’asfalto qualche traccia del fiore o del cellophane. Ma non c’era nulla. A metà sera, un’utilitaria le si accostò. – Un altro cliente – sospirò lei. E invece nessuno si sporse dal finestrino per parlare con lei e farle le solite, sordide domande. Si aprì l’altro vetro, quello del passeggero, e una mano le porse la rosa bianca. La ragazza si chinò per prenderla, e nello stesso tempo cercò di vedere il volto del suo misterioso ammiratore. Ma lui rimase nell’ombra, fuori dal raggio di luce del lampione. Lei trovò il coraggio di parlargli.
– Allora sei tu? –
Nell’oscurità, la giovane intuì che l’uomo aveva annuito, chinando il capo un paio di volte. Sempre attento a non farsi vedere, sempre senza parlare. Ma lei si sentiva fiduciosa: quell’uomo, chiunque fosse, era stato il primo, dopo tanto tempo, a farle un gesto gentile.
E quel silenzioso omaggio floreale si ripeteva sera dopo sera, quasi come un rituale immutabile. Finché una volta, ormai a notte alta, quando lei non lo aspettava quasi più, il suo ignoto ammiratore arrivò come al solito, aprì il finestrino, ma invece di porgerle la rosa, allungò la mano, con la palma rivolta verso l’alto. Petrushka esitò un solo istante, poi infilò la sua nell’abitacolo e strinse quella dell’uomo. Prima dolcemente, poi sempre più forte, fino a quando lo sconosciuto non allentò la sua stretta, ritirò lentamente la mano e poi la porse di nuovo, ma tenendo per il gambo la rosa bianca. Quel muto dialogo fatto di strette di mano, rose e domande di lei che restavano senza risposta proseguì per parecchio tempo.
Una sera, quando ormai la primavera era alle porte, l’uomo arrivò prima del solito. Si fermò come sempre, Petrushka si avvicinò, ma il finestrino rimase chiuso. La ragazza stava per allontanarsi, delusa, quando lentamente la portiera del passeggero si aprì. Non un gesto, non una parola. Solo quello sportello aperto, come un tacito invito a salire. Alla mente della giovane si affacciarono, come in un incubo, i volti crudeli di Madame e dei suoi scagnozzi e quello straziante della madre che implorava aiuto. Quella piccola auto rappresentava una porta aperta sull’ignoto, ma nello stesso tempo era anche, forse, l’unica via che conducesse alla libertà. E se fosse fuggita, che ne sarebbe stato della mamma? E se “loro” l’avessero ritrovata? Mentre lei rifletteva, dilaniata dai dubbi, lo sportello si richiuse piano e l’utilitaria si allontanò lentamente. Petrushka non riuscì a trattenere le lacrime. Ma quando smise di piangere, vide che sull’asfalto era rimasta una rosa bianca. Lei corse a prenderla, per stringerla al suo cuore. Non era arrabbiato. Sarebbe tornato, le avrebbe dato un’altra possibilità. Forse.
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uno spaccato della realtà… e una speranza infine… si apre nella crudeltà della vita…
Mi sembra di vedere una di quelle ragazze che incontro ogni giorno sotto casa mia…bellissime ragazze dagli occhi tristi e molte di loro non hanno scelto di stare lì.
Racconto brevissimo che affronta un tema che la nostra società tenta di fuggire. Il racconto non chiarisce perché l’uomo regala la rosa e quindi rende difficile ogni ulteriore analisi.
Secondo me l’autore di proposito non ha voluto svelare il motivo della rosa regalata, ad ognuno di noi la propria interpretazione
E’ sempre emozionante leggere i tuoi Scritti, Paolo. Grazie per avermi dato l’opportunità di apprezzarti anche come Scrittore oltre che come Giornalista professionista e noto musicologo nazionale, sei decisamente un’artista eclettico. In bocca al lupo e a presto
Antimo Pappadia
bravo Paolo gia’ te lo dissi leggendo questo tuo scritto,tema attualissimo purtroppo ,ma molto vero. complimenti.