Premio Racconti nella Rete 2012 “Il fatto non sussiste” di Antimo Pappadia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Assoluzione piena in appello per l’imputato Arnoldo Sabatini. I fatti, a differenza di quanto aveva sancito il tribunale nel processo fatto per direttissima, sono insussistenti! La vicenda però, è tutt’altro che conclusa. Ad asserirlo è il giovane e grintoso avvocato difensore: Giuliano Storchi. Il Dottor Storchi, infatti, punta il dito dritto contro gli accusatori, annunciando richieste di risarcimento da capogiro; soldi che saranno utilizzati -come dice- per “curare” i danni morali, psicologici e sociali subiti dal suo cliente.
–Cosa intende per curare?- Chiede la più intrepida delle giornaliste sull’orlo della porta del Tribunale.
-Non esiste somma di denaro che possa rivelarsi comparabile al danno ricevuto dal mio cliente. Qualunque sia l’ammontare del risarcimento, servirà solo ed unicamente a curare le irreversibili ferite morali, sociali e psicologiche a lui inferte. Arnoldo Sabatini, è una persona di animo nobile sul quale, non solo grava il peso della sua sfortunata condizione di disabilità psichica, ma da due anni a questa parte, anche le conseguenze di questa drammatica vicenda giudiziaria.-
E mentre l’avvocato Storchi, con la sua lingua tagliente continuava a spiegare ai Media la vicenda di cui si era reso protagonista vincente, Arnoldo all’uscita del Palazzo di Giustizia scrutava con lo sguardo la folla, nella speranza di vedere il suo unico amico, Nicola. Quest’ultimo gli aveva promesso che sarebbe giunto in Tribunale entro mezzogiorno, per accompagnarlo finalmente a casa. Fino a quel momento aveva sempre mantenuto i suoi impegni, pertanto anche se ormai era quasi l’una, Arnoldo non aveva dubbi, il suo carissimo amico sarebbe arrivato presto. Nicola come mestiere faceva l’idraulico; era dipendente di una piccola azienda, ma talvolta si prestava anche a svolgere lavori occasionali fisicamente impegnativi. Vestiva in modo un po’ trasandato, sorrideva spesso ed era sempre molto disponibile, insomma, un gran lavoratore, una persona semplice. Forse fin troppo!
–Arnoldo ama i bambini, ma non come quei maligni vogliono far credere– aveva detto alla Polizia, il giorno in cui arrestarono il suo amico. Il concetto fu espresso con la semplicità e la naturalezza di chi riesce a cogliere l’essenza delle cose, pur senza conoscere i fatti nei minimi dettagli. La sua testimonianza però, non fu considerata.
Erano circa le dieci di mattina del 2 giugno 2007, esattamente due anni prima della scarcerazione, quando Arnoldo girovagava nel parco del Frostolo, come era solito fare durante i giorni di riposo. Già, perché il disabile psichico aveva un lavoro fisso. Era assunto con un contratto a tempo indeterminato da una cooperativa sociale di tipo B. Si occupava, con dedizione e senso di responsabilità, della potatura di piante nelle aree del territorio comunale. Anche se spesso mangiava alla mensa della CARITAS, sapeva anche cucinare; viveva da solo in un monolocale lasciatogli in eredità da suo padre. Arnoldo era un “tipo strano”. Parlava spesso da solo e ogni tanto faceva delle cose stravaganti, come rincorrere un’auto o toccare ripetutamente e senza motivo un oggetto. E poi aveva quella strana consuetudine di fermarsi a fissare i bambini mentre giocavano, un atteggiamento che aveva già da tempo insospettito (e non poco) i frequentatori del parco. Arnoldo però, al di là delle stranezze, governava la propria vita in modo dignitoso, era simpatico a tutti e soprattutto non aveva mai fatto del male a nessuno.
–Aiuto, aiuto– urlò a squarciagola la bimba che un attimo prima era su un’altalena proprio al centro del parco Frostolo.
–Fermatelo, fermatelo– gridò un signore piuttosto anziano, allontanandosi dai giochi per bimbi e trascinando con sé la sua nipotina.
La bimba terrorizzata era inspiegabilmente stretta tra le braccia di Arnoldo. Si dimenava, scalciava si disperava, ma l’uomo non la lasciò andare subito, anzi, continuò a stringerla a sé per un bel po’, prima di appoggiarla goffamente in terra.
In pochi secondi il quarantunenne Arnoldo Sabatini, disabile psichico residente a Riggiola, fu immobilizzato e brutalmente pestato. Qualche minuto dopo arrivò la Polizia e, come accade spesso in questi casi, il solerte sopraggiungere delle forze dell’ordine risultò essere più utile a proteggere il potenziale mostro dai cittadini “perbene”, piuttosto che questi ultimi dal potenziale orco. Nessuno, proprio nessuno si indignò del fatto che, dopo essere stato ferocemente picchiato, nei pochi metri che lo separavano dalla macchina della Polizia, si beccò sputi, insulti e una pietra in pieno volto.
L’etichetta di pedofilo fu immediata! Gli appellativi furono, impietosi e variopinti. Così, “l’ultimo mostro” quello di Riggiola, fu messo velocemente al sicuro. Tutti i frequentatori del parco, nei giorni a venire, dormirono sonni più tranquilli. Nelle successive settimane, i residenti e i frequentatori vissero il piccolo polmone verde di Riggiola, come un luogo senza più pericoli. La cittadina ritornò ad essere quella che era in passato, un’isola felice in un mondo maledetto.
Il processo (come prevede il procedimento penale in caso di arresto in flagranza) fu fatto per direttissima. La corte condannò in primo grado Arnoldo Sabatini a dieci anni di reclusione.
La sentenza col rito abbreviato fu di fatto determinata dalle dichiarazioni di due testimoni chiave: Ugo Mantovani e Vanessa Martinelli.
Ugo Mantovani lavorava come impiegato di concetto nel comune di Riggiola. Era separato e aveva due figli. Sempre in aperta battaglia legale con la sua ex moglie per l’affidamento dei bambini e per una controversia sugli alimenti, si era da poco trasferito a casa di sua mamma.
Vanessa Martinelli era vedova ed era una maestra in pensione. Aveva due figli adulti i quali non godevano di ottima reputazione, ma in compenso lei era molto stimata in paese. Catechista per vocazione, la si poteva incontrare tutte le domeniche alla messa delle 11.00. Inoltre, due volte alla settimana faceva doposcuola gratuito ad un gruppetto di bambini extracomunitari, ovviamente solo se questi erano rigorosamente cattolici.
Ugo Mantovani aveva così asserito sotto giuramento: –Non so esattamente come quella povera creatura si fosse improvvisamente trovata tra le braccia di quel bruto, ma la bambina emetteva delle urla disperate e, solo a ripensare cosa sarebbe potuto accadere se non fossi intervenuto, mi viene la pelle d’oca.
Alla domanda: <<Lei cosa ha visto esattamente?>> l’impiegato comunale rispose: –La teneva stretta a sé e con la sua mano destra le palpava un gluteo. La bimba cominciò ad urlare e fu allora che quest’uomo tentò di zittirla chiudendole la bocca con l’altra mano, cioè con la sinistra. E’ stato in quel momento che grazie al cielo, ho avuto il coraggio e la determinazione di avventarmi su di lui-. Disse il testimone, tenendo sempre puntato l’indice destro contro l’imputato seduto di fronte.
Vanessa Martinelli sempre sotto giuramento asserì: –Ho visto una scena veramente disperata. Che Dio abbia pietà di questo povero uomo,-disse col naso un po’ arricciato come se avvertisse un cattivo odore –ma i suoi gesti erano tanto raccapriccianti, quanto inequivocabili-
Alla domanda :-Cosa ha visto di tanto raccapricciante?- la donna rispose velocemente: –Le stava toccando il sederino– detto questo la testimone oculare scoppiò in un incontenibile e disperato pianto.
Dopo la deposizione di questi irreprensibili cittadini, il caso fu considerato subito chiuso. Chiuso per sempre! Non per Nicola però! L’idraulico bonaccione non riusciva a raccapezzarsi. Non sapeva cosa fare, ma la certezza che si trattasse di un clamoroso errore giudiziario lo perseguitava. Era diventata una sorta di ossessione che lo spingeva a raccontare il fatto a tutte le persone con cui aveva a che fare. Tra queste c’era pure l’avvocato Storchi (il quale si era rivolto all’impresa in cui lavorava Nicola, per sistemare l’impianto idraulico del suo nuovo studio).
–Avvocato, i lavori sono terminati, la fattura gliela faccio avere tramite fax dal mio capo– disse
–Ho dei testimoni che ribalteranno il processo– rispose l’avvocato-
–Non ho capito Dotto’ la fattura è compito dell’impiegata, io lavoro e basta–
–Mi riferivo al tuo amico, rovescerò il verdetto, farò uscire “il tipo” in ventiquattro ore e lo faremo risarcire. Prenderà un sacco di soldi, tanti che quel matto si potrà pagare tutte le brasiliane che vorrà dal prossimo mese fino alla sua morte. E poi, ho deciso di fare una buona azione: il mio sarà un impegno professionale a pro bono –
-Vi potete spiegare meglio dotto’-
–In poche parole, mi faccio carico volontariamente di tutte le spese. Se perdiamo ci rimetto io-
In realtà, l’avvocato era assolutamente certo di vincere! Precedentemente al suo gesto pseudo filantropico, si era ben informato su come erano effettivamente andate le cose. Infatti, risultò relativamente semplice convincere ben otto testimoni oculari a raccontare senza remore ciò che avevano visto realmente.
I fatti si erano così svolti: quella mattina del 2 di giugno, una bambina di nome Marcella, stufa di giocare su di un’altalena chiese ad Arnoldo di aiutarla a scendere. Quest’ultimo si avvicinò, la sollevò da sotto le braccia facendole sfilare delicatamente gli arti inferiori dal dondolo. Improvvisamente un signore esclamò con tono crescente : –oh, oh, oh, ma che fa quello li, OHH–
A quel punto, un ingiustificato allarmismo generale dettato dal pregiudizio di alcuni presenti (spiccava in particolare il nome di Ugo Mantovani) si diffuse tra genitori e nonni presenti; l’ansia, di riflesso, contagiò anche Marcella che si spaventò e cominciò a gridare disperatamente cercando di divincolarsi. Arnoldo, per timore che cadesse, prima la strinse a sé e poi l’appoggiò delicatamente in terra, proteggendole la schiena con la mano destra. Infine, vedendola tremare di paura, accennò ad una carezza sul viso utilizzando la mano sinistra. Tutti questi gesti, naturalmente, furono accompagnati da una certa goffaggine nei movimenti, peculiarità però che da sempre aveva caratterizzato il disabile psichico.
–Arnoldo, Arnoldo, sono qui, sono arrivato– gridò un tipo sbracciandosi dalla strada del Tribunale nella sua inconfondibile e malridotta utilitaria! L’orologio della chiesa indicava le 13.10. Nicola era decisamente in ritardo, ma come il disabile aveva previsto, anche questa volta era riuscito a mantener fede alla sua promessa.
Il dramma si era concluso, l’incubo era terminato. Quello era un giorno di festa. E, come accade nei più classici degli incantesimi, Mister Hyde era ritornato nelle vesti di Dottor Jekyll. Il mostro di Riggiola, il pedofilo maledetto, picchiato umiliato e poi tenuto in prigione per due anni, oggi si è trasformato in una povera vittima sociale. Tutti i media nell’ultima settimana non facevano altro che parlare di Arnoldo Sabatini e della sua tremenda vicenda giudiziaria. Nicola, che i giornali detestava anche solo sfogliarli, per l’occasione, aveva perfino comprato due quotidiani diversi, anche se, fino a quel momento, non aveva ancora avuto il tempo di guardarne neppure i titoli.
Arnoldo aprì lo sportello dell’utilitaria e si sedette senza dire una parola.
–Mettiti la cintura!- Gli disse. Ma il disabile non batté ciglio. Allora Nicola allungò un braccio e ci pensò lui ad inserirla nella linguetta di sicurezza.
-Ti accompagno a casa, ti lavi, ti cambi gli abiti e poi andiamo a mangiare, ok?-
Arnoldo accennò ad un sorriso e annuì!
Nicola tirò un sospiro di sollievo!
–Nel frattempo che ti fai la doccia, leggerò il giornale e dopo andiamo a mangiare in un posticino molto carino e ci beviamo una “grande” birra , ti piace l’idea?– Gli disse Nicola, contento di aver in qualche modo persuaso l’amico.
Arnoldo non mostrò particolare entusiasmo e spinse la testa in avanti effettuando un movimento che somigliava molto più ad un segno di sottomissione piuttosto che ad un gesto di accondiscendenza; comunque i due amici si diressero verso casa.
Giunti nell’appartamento, il disabile si spogliò subito e Nicola non potette fare a meno di notare che sul torace del suo amico si evidenziavano cicatrici da taglio e alcune bruciature di sigarette che in passato non aveva mai visto. Ma non osò chiedere!
E mentre il neo-assolto Arnoldo Sabatini, dopo due anni di galera, si fece la sua prima doccia da uomo libero, o meglio da vittima sociale, Nicola sfogliò finalmente uno dei due quotidiani locali precedentemente acquistati. Le notizie relative “al caso Arnoldo” si sprecavano, e non poteva di certo essere diversamente. Incredibile a dirsi ma tutti, proprio tutti, col senno del poi asserivano che in cuor loro “avevano sempre fatto “il tifo” per il povero disabile. Non sembrava vero, ma c’era scritto perfino che in molti “dietro le quinte” avevano sempre “lavorato” affinché la verità venisse a galla, un impegno che aveva finalmente visto i suoi frutti.
Il pezzo più inquietante che catturò l’attenzione di Nicola però, fu quello che riportava i dati del CENSIS, e cioè che il 90% degli atti di pedofilia vengono consumati tra le mura domestiche da parenti prossimi (papà, zii ecc), l’8% nei luoghi di frequentazione dei bambini (scuola, parrocchia ecc.) e solo il 2% da estranei.
-Vado a fumare una paglia fuori al balcone– Borbottò Nicola dopo aver chiuso il giornale con una certa irruenza. E, intanto che guardava il fumo di sigaretta uscire dalla bocca, godendo di quel piacere che solo un fumatore è in grado di provare, pensava: –Poverino….. ma meno male che questa brutta storia si è conclusa. Ora prenderà un bel po’ di soldi e la sua sofferenza sarà in qualche modo ripagata…..Già, ma chi lo aiuterà ad amministrare tutti quei soldi?
Qualcosa però, interruppe impetuosamente la catena dei suoi pensieri. Era la voce alta e stridula dalla vicina di casa di Arnoldo che dalla cucina confinante del suo monolocale diceva ai suoi due figli gemelli:
–Da oggi in poi, voi non potete più andare dal vostro amichetto Giuseppe, senza che io vi accompagni, perché è uscito dal carcere quel “mostro” del nostro vicino-
-Perché è stato in prigione mamma?- Domandò il più vivace dei gemelli
-Quel bruto è stato rinchiuso perché due anni fa ha picchiato selvaggiamente una bambina nel parco Frostolo. Non vorrete mica che una di queste volte meni pure voi?-
No mamma, no!- Risposero in coro i due gemelli con voce spaventata.
*Nonostante la storia sia stata ispirata ad un episodio veramente accaduto, fatti, nomi, luoghi e persone sono solo il frutto della fantasia dell’autore.
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Una storia vermante toccante…..Purtroppo è sempre facile prendersela con i più deboli e non si capisce che i veri “mostri” siamo noi.
Niente di più vero! I pregiudizi ci portano a condannare senza dare agli altri la possibilità di difendersi.
Quanti innocenti incolpati e quanti colpevoli mai puniti ancora ci saranno?
Una narrazione coinvolgente, con personaggi di autentica umanità, per un problema reale e di allarmante frequenza.
L’autore fin dall’inizio fa intuire la fine e quindi manca l’ansia di andare avanti nella lettura. La struttura è più giornalistica che letteraria. C’è confusione nel racconto e si sente che ” non è sentito, non fa parte del proprio vissuto”.
Quello che dice Stefano è vero ma solo in parte. Infatti sarebbe da bocciare se il racconto stesse partecipando ad un concorso di gialli, ma invece nella narrrativa esistono tanti esperimenti di scrittura e tante modalità di narrare e quello che utilizza Pappadia è uno dei tanti…Infatti nel leggere questo racconto, io ho avuto la sensazione che l’autore non facesse nulla per lasciar intendere un finale a sorpresa, anzi mi sembra fatto apposta direttamente per far focalizzare al lettore l’attenzione sui fatti che scorrono in modo tale da far provare emozioni, sensazioni e comprendere i paradossi della nostra società. Infine posso dire che nonostante non ritenga questo lavoro esorbitante, credo che il tema sia piuttosto originale e il racconto scritto anche molto bene.
Hai ragione Pietro…
coinvolgente lettura e purtroppo triste realta’. complimenti Antimo .
Lo stile è giornalistico, molto oggettivo. Probabilmente è una scelta voluta, per non scadere nella facile trappola del sentimentalismo.
Scrivere in modo apparentemente “freddo”, paradossalmente, fa risaltare ancora di più l’ingiustizia e la drammaticità dei fatti.
Non si può fare a meno di pensare che la realtà a volte non è quella che si vede, che si percepisce e che l’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo. Il cannibale mondo dei mass media poi è messo alla sbarra senza pietà.
Purtroppo il pregiudizio per il ” diverso”, poi, è quanto peggio abbia devastato l’umanità. E purtroppo continua a farlo, nonostante le ipocrite dichiarazione “politicamente corrette” Mai abbassare la guardia!
Ottimo spunto di riflessione per una storia perfettamente calata nella società contemporanea.
Un sentito ringraziamento a tutti coloro i quali hanno dedicato una manciata di minuti per leggere questo breve racconto che, nonostante non sia (tra quelli che ho scritto) il mio preferito, ha comunque un significato unico: è stato ispirato da una storia veramente accaduta di cui io mi sono impegnato personalmente a renderla il più possibile pubblica.
Colgo l’occasione, inoltre per ricordare ai gentili lettori che, è sempre meglio avere un colpevole in libertà che un innocente in galera.
Grazie ancora e in bocca al lupo a tutti