Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Regalo di Natale” di Claudia Nati

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Eravamo tutti pronti per partire e festeggiare il Natale nella casa paterna, con papà, Elsa, (la sua seconda moglie e la nostra seconda mamma), con i miei fratelli, i cognati, i cuginetti che si rincontravano dopo tanto; il karaoke con le stonature come succedeva tutti gli anni.

Sapevo che sarebbe stato un Natale diverso; papà non stava bene, ed io non volevo partire perché non avrei avuto il coraggio di vederlo soffrire per poi non rivederlo più. Non ero pronta neanche io per soffrire, mi sentivo vigliacca e speravo fino in fondo che arrivasse una telefonata che annunciasse il suo estremo saluto.

E così la mattina della partenza, verso le 6, la telefonata “liberatoria” arrivò con una crudezza e un vuoto che tuttora al pensarci, mi vergogno di come sia potuta scappare e di come abbia potuto lasciarlo da solo; avrei potuto farlo ridere come mi riusciva sempre; avrei potuto meravigliarlo come, nonostante i miei cinquanta anni, sapevo ancora fare e lui scuoteva la testa e commentava con un “… pori sordi nostri! …”       Era il suo detto, voleva dire in gergo romanesco “poveri soldi nostri”, cioè: investimento sbagliato. E mi guardava con quegli occhi vispi che il tempo, i dolori e la malattia gli avevano spento; non aveva più voglia di ridere, … lui, che ci aveva insegnato da sempre il lato comico della vita.

Partimmo lo stesso; Elsa aveva bisogno di noi e anche tra fratelli dovevamo essere uniti, come diceva sempre Fabio (il maggiore di noi 3), “ tutti per uno, uno per tutti”, come i Moschettieri.

A novembre, in previsione delle feste natalizie, papà aveva già ordinato i biscotti che ci facevano impazzire: quelli con più cioccolata a Silvia, (è sempre stata coccolata di più), quelli con la scatola di metallo a noi. Ci siamo cresciuti per anni; ogni scatola che possiedo in casa scandisce un anno passato; anche questo Natale era già lì in bella mostra; un pugno nello stomaco.

Ci siamo detti che papà non aveva fatto in tempo a darci il regalo, non se lo sarebbe mai perdonato e allora decidemmo di regalarci 100 euro ciascuno; la cifra che ci avrebbe sicuramente regalato; mi avrebbe guardato imponendomi di usarli per me, solo per me, era vietato pagare le bollette, vietato utilizzarli per la spesa, vietato pagare qualche ticket, era consentito usarli solo per me, per qualcosa che mi sarebbe piaciuto, un profumo, un capo d’abbigliamento, una cosa mia, solo mia, tutta mia.

Il Natale bene o male passò; a me sembrò il “Natale in casa Cupiello”. Elsa rosicchiata dall’Alzheimer non si accorse che la sera della vigilia, mentre tutti eravamo a preparare il cenone e il rito dei regali da scartare, papà adagiato sul letto, nella camera a fianco, piano piano si raffreddava … E non si accorse neanche quando all’indomani, nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere, gli regalammo l’ultimo saluto; lo accompagnammo nel suo quartiere che lo aveva visto nascere; che gli aveva donato tante gioie ma che gli aveva riservato anche un’adolescenza travagliata e immotivata. (Sarà per questo che da piccoli era stato molto attento ai nostri problemi; ricordo sul suo comodino un libro dal titolo: “Il difficile mestiere del genitore”, e un altro “Essere un buon padre”).

Tornammo a casa con quel vuoto che conosce chiunque abbia subìto la perdita di un caro … a prescindere dall’età!  … Papà non c’è più, non riceverò più le telefonate sfottò di quando mi cercava in casa e puntualmente, non trovandomi, lasciava il messaggio in segreteria telefonica … Era diventato un appuntamento: entravo in casa, guardavo il segnale lampeggiante e pigiavo: -“Aho, ma nun ce state mai dentro casa, va bè se risentimo … Ciao … sé, sé, ciao!”

Dovevo farmene una ragione: siamo stati bene per tanti anni; con alti e bassi; gioie e dolori, litigate feroci e tante risate … dovevo, come avevo fatto tanti anni prima con mamma, riporre anche lui nel cassetto del cuore e ogni tanto aprirlo, annusare il suo ricordo, una sniffatina, e richiuderlo per la vita di tutti i giorni.

Quella mattina, mio figlio che frequentava l’Accademia di Belle Arti, mi chiese dei soldi per acquistare il materiale scolastico; gli sarebbero bastati 100 euro; non ne avevo altri e quindi alzando gli occhi al cielo, quasi a chiedere scusa e giustificazioni, sfilai i “suoi” soldi dal portafoglio e glieli detti. Non m’interessava; ho sempre pensato che quando si è in famiglia non esistono i soldi miei, quelli tuoi e i suoi; quando servono e ci sono, diventano un po’ i soldi di tutti. Per me, per il mio regalo ci sarebbe stata un’altra occasione.

Uscii di casa in bicicletta come facevo tutti i giorni per recarmi al lavoro ma dovevo prima fare un salto in banca per qualche commissione (Viareggio, la città dove abito, mi permette di muovermi in libertà, di ottimizzare i tempi in modo che la giornata sia piena ma non delirante). Attraversai la strada a piedi, quando, in terra ben arrotolate, scorsi una banconota da 50 euro.

La raccolsi con un allegro sorriso, legai la bici al palo ed entrai. Ci passai una buona mezz’ora, tra la fila e le mie commissioni; uscii dalla banca e di nuovo, incredibile, nello stesso punto ma questa volta ben piegata in due, raccolsi un’altra banconota da 50 euro. Avevo in mano 100 euro! Non credetti ai miei occhi che mi si riempirono di lacrime, guardai in alto nel cielo quasi a voler trovare i suoi occhi e ascoltare la sua voce prepotentemente determinata: ” non mi volevi dare retta, eh? Neanche questa volta! Ti avevo avvertito: sono solo per te!”.

Aveva ragione, era il suo ultimo regalo, dovevo conservare quei soldi e usarli bene.

L’indomani, leggendo il giornale, un articolo catturò l’ attenzione di mio marito: era un invito esteso alla cittadinanza a partecipare all’asta di quadri che artisti locali e non, avevano donato per raccogliere fondi da destinare a scopi benefici.

Decidemmo di andare, non avevamo mai partecipato ad un’asta e il motivo era più che nobile; fra tanti quadri rimasi colpita da uno in particolare; aveva una cornice molto spessa e nera, raffigurava tre volti in maschera su uno sfondo rosato. Mi hanno sempre affascinato le maschere, in casa ne ho una parete piena; le maschere sono il nostro velo, la nostra corazza, ci difendono e proteggono dalla vulnerabilità delle emozioni e delle frustrazioni; ne usiamo tante durante la vita; un po’ come la pelle del camaleonte.

Me lo aggiudicai per … 100 euro !!! ; non fu difficile … quello era il prezzo base e neanche un acquirente con cui ingaggiare “una lotta all’ultimo sangue” a favore della ricerca. Ero raggiante, ma ancora di più quando portai a casa il quadro e lo scartai.

Guardandolo attentamente rimasi a bocca aperta … papà, non ci crederesti mai, ma uno dei tre volti è uguale a te e mi fissa con occhi dolci e prepotentemente determinati.

Un caldo brivido mi abbraccia ogni volta che lo guardo.

Un bacio

 

Loading

3 commenti »

  1. un racconto che commuove…

  2. Un racconto bellissimo, tenero e scritto molto bene. Complimenti!

  3. In poche righe l’autrice ci ha detto tutto di questa famiglia piena di problemi, ma alla fine lancia un messaggio di speranza: anche con poco il nostro cuore può trovare la forza di andare avanti. Mi è piaciuto. E’ un racconto che invoglia alla sua lettura e che l’autrice è riuscita a chiudere con eleganza.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.