Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Destini” di G. Paolo Basaglia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Piccoli funghi rossi nella mano scarna. Il vecchio li mette in bocca e inizia a masticare. Ha solo due denti, di sopra, distanti tra loro; ma le gengive callose saprebbero spezzare un osso. Seduto davanti alla capanna fatta di fango e sterco, all’ombra delle acacie spinose, guarda il giovane che gli parla di me. Non può vederlo: nelle pupille dilatate, sotto la cornea, ci sono due ombre lattiginose, come se negli umori acquosi che le mosche succhiano fossero incastrate due perle. Troppo in profondità per poterle estrarre.

Il ragazzo si rivolge a me: -Destiny ?- dice, con un gesto vago. Indossa una canottiera stinta col nome di una birra; in una mano tiene una radio, di quelle che si caricano girando una manovella, quasi la ostenta, anche se non pare che funzioni. Insieme alle taniche di plastica, che usano le donne per portare l’acqua dal pozzo, è l’unico segno di una diversa civiltà, molto lontana. L’altra mano, attaccata ad un braccio poliomielitico, è ripiegata sotto l’ascella. Mi ricorda qualcosa che non mi viene in mente: forse uno strumento per un impiego speciale, che adesso non serve.

Lui e il vecchio sono gli unici uomini nel villaggio, otto capanne in tutto, prima che la bassa sterpaglia diventi deserto. Gli altri uomini sono a caccia. Per il resto, solo donne e una piccola banda di bambini che rincorre urlando una ruota di legno, tra pochi polli spelacchiati.

Il vecchio mi prende la mano e comincia a cantare una nenia. Agita le sue così che la nostra sembra una strana, prolungata, sconclusionata stretta di mano. Ma dal mio palmo potrà riconoscere il destino che mi aspetta, tra gli altri che incontrerà.

Il tono del suo canto sale, mentre dondola il busto sempre più; il respiro si affanna dentro alla maglietta sporca e piena di buchi, e un filo di bava gli cola dal mento. Sta viaggiando da qualche parte alla ricerca di una rivelazione, con l’unico riferimento della mia mano sudata.

Forse ha superato gli ultimi arbusti, irti di spine, che al solo contatto lacerano la stoffa e graffiano le gambe, per addentrarsi nel deserto dove l’orizzonte tremola come acqua increspata e il silenzio è qualcosa di così assoluto che è quasi solido. Lo senti dappertutto, anche fra i denti.

Forse sta scendendo verso il centro della terra, insinuandosi nella crosta coriacea di questa creta rossa, come pioggia che filtri tra le radici tenaci delle acacie, che si fanno strada fra sassi e sfoglie di pelle dura di mondi passati.

Oppure è salito in alto, dove neanche il nibbio può arrivare, oltre lo strato cocente di aria pesante, in un’atmosfera rarefatta dove le cose non hanno peso e le dimensioni non contano.

Dovunque stia andando non è dato sapere, perché tiene la testa dritta e ha chiuso le palpebre sugli occhi spenti.

Dove sono custoditi i destini degli uomini io non lo so di certo. Mi chiedo cosa sia il mondo per questo vecchio. Probabilmente, quello che ha attorno è tutto ciò che conosce, e un viaggio lo misura in giorni di cammino, passo dopo passo, al fianco di un asino ossuto.

La terra io l’ho vista in televisione, ripresa dal satellite: una pallina azzurra, nell’infinito. Faceva quasi tenerezza. E so che un viaggio può portarti dove non ti aspetti di arrivare, anche in un villaggio come questo, dove c’è un uomo che sa viaggiare in un modo che non conosco. Non ancora.

Il vecchio tace di colpo. La sua mano è diventata gelida e tutto il corpo si muove come avesse i brividi. Il ragazzo si fa attento, guarda me e poi la vecchia bocca.

Allora, dalle labbra bavose, cominciano ad uscire parole veloci. Un fiotto di suoni che non trova ostacoli, nello spazio tra i denti lontani.

Il ragazzo inizia la traduzione, ma il suo inglese è fatto di pochi vocaboli che non bastano a rendere quello che il vecchio sta dicendo. In pratica, ripete quello che sente e, quando incontra una parola che conosce, la traduce. Ne viene fuori un discorso incomprensibile, dove le parole tradotte sono come segnali su un sentiero dismesso: dicono che un tempo di lì passava qualcosa, ma sono troppo distanti tra loro per ricostruirne il tracciato.

-…….good…………trip….longtrip………verygood………love……..danger…….attention………….wo- man……..boss…….womanandboss…….love……..danger……….ok……….good….love…………..red………. hand…….black……….verygood………….good….ok……together………sky……verygood…..sky…..faraway…..ok –

Il fiotto si arresta e per un attimo tutto è immobile, tranne le mosche. Guardo il ragazzo, lui volge gli occhi altrove, timidamente. Ha lo sguardo dolce, le ciglia lunghe, da gazzella. Con la mano buona stringe la radio come se potesse ricavarne una qualche sicurezza.

Il vecchio dondola lentamente, perduto chissà dove. Mi ha lasciato la mano e il mio destino è tornato dov’era, indistinguibile fra quello di tutti gli altri uomini.

Il ragazzo mi guarda e sorride. Mi viene in mente a cosa somiglia il suo braccio poliomielitico: al collo di un fenicottero, e la mano rattrappita è la testa con lo strano becco. Un fenicottero con il collo e la testa sotto l’ala. Forse dorme, ma potrebbe volare all’improvviso.

Ricambio il suo sorriso: c’è imbarazzo tra noi. Lui è a disagio per essere stato messo a parte di una cosa così intima e personale come il destino di un uomo, dell’uomo che gli sta di fronte. Io lo sono per non essere stato in grado di decifrare quello che il vecchio è andato a carpire nel posto dove il futuro è già noto.

Ma è solo un attimo, poi la banda di bambini ci passa accanto urlando e spazza via l’impaccio come fosse un velo sottile di polvere rossa.

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5 commenti »

  1. Il racconto ha la suspense di un thriller e il finale aperto è ben riuscito. Originale e poetica anche la scrittura, a tratti leggermente barocca.

  2. Grazie, è una specie di telegramma che piace anche a me.

  3. Asciutto, bel ritmo, musicale e suggestivo

  4. Ben scritto. Uno spaccato davvero realistico!

  5. Davvero una storia inusuale e scritta molto bene. Complimenti!

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