Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “La montagna stregata” di Francesca Lombardi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Osvaldo si era svegliato al primo raggio di sole entrato in camera. Lentamente si era tirato su dal letto e aveva gettato uno sguardo fuori dalla finestra. Era andato in bagno, non c’era cosa migliore per svegliarsi di lavarsi il viso con acqua fredda. Aprì il rubinetto, una scrosciante acqua ghiaccia prese a scorrere, si insaponò la faccia, poi si sciacquò. L’acqua gelida lo fece rabbrividire, si asciugò il viso e tornò in camera, scostò la tenda e guardò ancora la montagna. Da quando ad Alpachs era arrivata quella base di ricerca, la montagna era cambiata. Prima era un piacere vederla in tutto il suo splendore, si stagliava sul panorama facendo da padrona, bella in tutta la sua meraviglia naturale, era un piacere anche visitarla. La montagna dei desideri, questo era il suo nome prima della nascita della base, era il ritrovo degli innamorati che si coccolavano sotto i raggi della luna, un abbraccio della natura che la montagna generosamente offriva a tutti. Di giorno era abitata dagli escursionisti, i camminatori abituali, le famiglie la popolavano la domenica con i loro pic – nic. La montagna riservava sempre sorprese, chi vi aveva trovato un cane abbandonato, diventato un amico inseparabile, chi un fidanzato, chi una miniera d’oro. La montagna aveva avuto la sua miniera d’oro che aveva dato lavoro alla cittadina intera. Ma quella base aveva messo fine a tutto, nonostante un’aperta ribellione da parte dei cittadini, la base aveva messo radici in una comunità ostile. Si diceva che fosse stato il Sindaco a volerla, aveva chiuso la miniera dopo la terribile esplosione che aveva ucciso diversi minatori. Secondo fonti vicine al primo cittadino, la miniera era stata fatta esplodere apposta per trovare un pretesto per chiuderla. La base di ricerca avrebbe cambiato Alpachs, l’avrebbe posta sotto una luce diversa. Non più una comunità montana, ma una cittadina evoluta che spendeva nella scienza. La miniera d’oro era il passato, la base di ricerca il futuro. Ma Alpachs non la voleva, soprattutto dopo gli strani fenomeni che si erano verificati. Osvaldo ripensava alle disavventure della montagna mentre la guardava. La base era stata costruita in un anno, aveva richiesto alberi in sacrificio, ettari di terreno rubati alla montagna, era come se l’avessero sfiancata. Per circa un anno, un incessante viavai di ruspe, trattori, gru, operai avevano lavorato fino a scarnirne i fianchi. Il lato ovest era stato modellato a misura d’uomo. La zona era stata interamente recintata, i divieti di accesso segnalati da grandi cartelli in giallo sorti come funghi. E da allora non era nato più un fungo, un fiore, una pianta di qualunque tipo in quella zona un tempo boscosa. Osvaldo e tanti altri facevano fatica a riconoscerla, alcuni avevano fatto dei poster con la montagna prima e dopo la base e li avevano attaccati in ogni dove. Il bar nella piazza principale aveva ricoperto una parete intera con una gigantografia della montagna, una forma di protesta per attirare l’attenzione. E qualcuno ne aveva spedito una copia al Sindaco per ricordargli la sua responsabilità, rimproverandogli di aver rovinato la montagna oltre che la vita ai suoi abitanti che non si riconoscevano in questo scempio. Il Sindaco per tutta risposta l’aveva fatta incorniciare in una sala bandita a chiunque. Osvaldo scuoteva la testa mentre guardava il panorama, poi udì lo squillo del telefono. Prese il ricevitore e rispose:”Pronto?”, “ciao Osvaldo, come stai?”, chiese Gianni. Osvaldo aggrottò le ciglia, sospirò e disse:”Bene, mi sono appena alzato e tu?”. “Bene, stamani vado in giro a consegnare legname, vieni con me?”. “Faccio colazione e fra mezz’ora andiamo insieme”, rispose Osvaldo. “D’accordo passo a prenderti fra mezz’ora, a dopo”, disse Gianni. Riattaccò e andò a farsi un caffè. Gli piaceva portare legname con il suo amico. Da quando era in pensione, si annoiava, le giornate gli sembravano lunghe e grigie. Gianni era come un sole abbagliante che gliele rischiarava. Osvaldo era stato un manovale del Comune, attivo da quando era un ragazzino. Lavorava da sempre e non si era mai lamentato. Da quando aveva perso la moglie, aveva pensato solo a lavorare. Niente più donne, a parte qualche volta in cui si era concesso un po’ per bisogno, un po’ per solitudine. Un vedovo giovane appetibile ma non disponibile. Così si era rinchiuso in casa, usciva solo per lavoro e per le feste di paese. Come tutti era stato assorbito e reso partecipe della vicenda della montagna dei desideri. Aveva protestato anche personalmente con il Sindaco che conosceva bene, ma non era servito a nulla. Gianni era il suo migliore amico dai tempi dell’infanzia. Quando andavano in giro per trasportare legname, per Osvaldo era come tornare bambini e ricordare i vecchi tempi. I tempi in cui Alpachs era ancora più verde, più piccola e protetta da una montagna immensa. Dopo mezz’ora Gianni suonò il clacson, Osvaldo uscì e salì sul furgone. Non appena fu sopra, Gianni cominciò a parlargli ininterrottamente della montagna e degli avvenimenti negli ultimi giorni. Osvaldo alzò gli occhi al cielo. Gli eventi e gli avvenimenti che la montagna regalava erano stati tanti da quando c’era la base. La luce elettrica andava e veniva in continuazione, si piombava nel buio totale all’improvviso per poi tornare alla luce. Una nebbia fitta e densa scendeva sempre più spesso su Alpachs, perfino in estate. Il bosco mandava bagliori di luce bianca e gialla, di notte era inquietante trovarcisi. Tobia un ragazzo di 19 anni, era stato ricoverato in ospedale per lo shock in seguito ad un’escursione notturna nel bosco. Aveva portato il suo cane a passeggiare come d’abitudine, la curiosità di avvicinarsi alla base era tanta, il suo ficcanasare era stato punito. Una luce bianca continua a tratti psichedelica lo aveva travolto, lampi, bagliori avevano illuminato ogni metro della montagna. Tobia era stato accecato da tanta luce ed era svenuto. Era stato ritrovato il giorno dopo dai suoi genitori e dai suoi amici che sapevano della sua passeggiata nel bosco. Tobia era stato in coma per giorni, rigido come un sasso, non ricordava niente al suo risveglio, né se ne ricordò i giorni successivi, la memoria gli era tornata dopo settimane. Nei giorni post trauma, aveva bevuto molta acqua, diceva di avere una sete incredibile e di sentirsi prosciugato. Il suo cane Archibald era sparito. Sembrava essersi disintegrato in quella notte silvana. Da allora ogni cittadino si era munito di binocolo, videocamere, cellulari e ogni sorta di diavoleria tecnologica per spiare i segreti della montagna. C’era apprensione e paura ad andare per i monti. L’esperienza di Tobia aveva impressionato e la sparizione di Archibald aveva destato  angoscia. Nonostante le telecamere, le videocamere e macchine fotografiche di alto livello, non si era riusciti a scoprire granché. Osvaldo aveva guardato per notti intere lo strano fenomeno delle luci. Non aveva fatto foto, preferiva osservare. L’attenta osservazione permetteva di fissare nella mente immagini indelebili come le fotografie. Qualcuno aveva inviato i suoi filmati al Sindaco e a qualche tv locale per attirare l’attenzione, ma la notte bianca, come la definivano i suoi abitanti andava avanti. Una notte particolarmente insonne Osvaldo aveva ripreso a guardare la montagna, una strana luce rosa illuminava il cielo di Alpachs. “Non è possibile!”, sbottò l’uomo, quella notte era nervoso, non riusciva a dormire e quella luce sinistra urtava il suo sistema nervoso. Osvaldo prese a brontolare e ad inveire con la montagna. Perché non si era opposta a quell’aggressione umana scientifica?! Nei racconti dei suoi nonni e di suo padre, si narrava la forza della montagna, la sua indomita china che aveva  scacciato arrivisti uomini d’affari che volevano renderla un’unica miniera, imprenditori che volevano costruirvi catene intere d’alberghi. Ma lei si era ribellata con frane, scosse, dense nuvole cariche di pioggia che aveva scaricato sui suoi fianchi allagando ogni traliccio, recinto o muro che si era tentato di costruirvi. Allora perché non aveva lottato contro quegli usurpatori?! Dove era la sua grinta? Osvaldo scuoteva la testa, con Gianni aveva dato vita al movimento “Libera la montagna”, Alpachs intera aveva aderito, e le proteste si erano susseguite per settimane. Niente da fare, la base era nata e la montagna era stata occupata. Ma perché Osvaldo quella notte non si dava pace? Eppure di tempo ne era passato da quando la base era stata costruita. Andò in cucina e si versò dell’acqua. Bevve con impeto, poi si versò ancora acqua, una volta riempito il secondo bicchiere inspiegabilmente l’acqua prese a bollire prepotentemente, mentre un attonito Osvaldo guardava quell’incredibile fenomeno. Continuò a bollire per minuti intensi poi cessò, Osvaldo buttò via l’acqua, tornò a letto e finalmente si addormentò. L’indomani uscì presto di casa e partì alla volta della montagna, da quel giorno si persero le sue tracce.

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1 commento »

  1. Mi ricorda un pò Buzzati

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