Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “La puntura” di Paolo Clarà

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Finalmente luce. Facce nuove, fresche e pulite, al cospetto del Maestro. Pronunciavano il suo nome qualche sera fa, quando è passato di qui. Ovvio che non mi abbia notata. Giravo su me stessa, poco sopra la sua testa, inebriata dall’aroma di pino di queste travi. Da qualche tempo vivo in questa… Biblioteca? Non ne sono sicura. I libri sono pochi e quasi nessuno entra ed esce o studia. E’ un posto privato questo, tranquillo. Il dio degli insetti si è inventato l’udito per i più fastidiosi. E io, zanzara solitaria dalle antenne sensibili, seguo gli incontri che avvengono qua sotto, poggiata al soffitto di legno. Non riesco bene a capire di cosa si tratti, ma le facce di oggi sembrano interessate. Una, in particolare. Mi avvicino per guardarla meglio, schivando un ceffone dal Maestro che avrebbe un futuro come tennista. Sembra protestare quando gli sfilo di fianco, puntando poco più avanti. Il mio uomo ha i capelli adatti per trovare un appiglio. Quel corto mosso che mi permette di stargli vicina senza farmi notare. Potrò sentire bene quanto avrà da dire, appollaiata poco più in alto della fronte. E allo stesso tempo godere della sua presenza, sentire l’odore della pelle e del sangue che scorre là sotto, per una bevutina.

Che a me piaccia bere è cosa risaputa. Le altre mi guardano quando quasi soffoco tra le pieghe della pelle che pizzico. Quando mi ci infilo dentro e mi disseto con ingordigia. Vorrebbero evitarmi, perché lo sanno: dove mi tuffo io, non resta un granché. Mi gonfio soddisfatta e poi dormo serena, in attesa di una nuova abbuffata. Il mio uomo dai capelli morbidi e solidi mi offre il suo spazio. E’ ancora assorto nella scrittura, mette nero su bianco le frasi pronunciate dal capo. Anche se non ne ho la riprova, perché non so leggere. Io ascolto e vedo, anche in questo momento. Si gratta un orecchio con i polpastrelli a cui fatico a resistere, così carnosi e vicini. Ma non mi distraggo. Decido, per ora, di immaginare soltanto. Le sole dolci gocce capaci di placarmi la sete. E mentre io fantastico, lui inizia a parlare. Le antenne suggeriscono che si tratti di un discorso sul calcio. Un mio parente, poco tempo fa, mi ha spiegato che la città in cui vivo è divisa da amori calcistici opposti. Sembra che sia  peccato grave avere anche solo un’infatuazione per una squadra diversa. Il mio uomo ben pettinato e dalle dita polpose si professa “interista”. Parla di un tale che doveva essere uno dei migliori della sua squadra, nell’epoca giovanile a lui appartenente. Dal discorso capisco che anche il Maestro è “interista”. La verità: provo una sensazione di fratellanza o almeno di empatia per i due. Io che non ho fede alcuna. Io che conosco il calcio solo per via dei racconti di mia zia, innamorata di quelle braccia scoperte. Dei colli sudati. Delle cosce carnose. Il sogno erotico con cui si riempiva nelle lunghe serate estive, in riva al mare. Non si direbbe che fosse un’amatrice sensazionale come racconta, oggi è così secca e scheletrica. Ma confesso di provare una voglia matta di assaggiare anche io quella pelle lucida, umida e profumata.

Il mio uomo. Capelli fondati su radici profonde. Dita vive, abili, prensili sulla penna che è molto più piccola al confronto. Il mio uomo. Che parla di un calciatore e mi fa eccitare. L’uomo seduto che osservo con cupidigia. E’ anche lucido, in effetti. Sarà il riflesso della luce sui polsi lasciati liberi dai risvolti delle maniche. Eppure, mi sembra una di quelle pelli che il mio maestro elementare definiva: “dal giusto strato”. Né troppo morbida, né troppo dura. Né troppo secca, né troppo unta. Il giusto strato di pelle su cui premere con il mio stiletto. Vincere la vana resistenza delle membrane, infilare e succhiare. Sto iniziando a volergli bene e ancora non lo sa, una zanzara sa andare oltre. Eppure dite che siamo dirette, voi umani. Dite che ci interessa solo l’obiettivo finale. Ma guardateci da vicino. Guardate come siamo fatte veramente. Sono sicura che ancora non sapete che i nostri i peli sono così sensibili da farci produrre ormoni. E che quando il sole inizia a scaldare, sono gli ormoni che ci danno la spinta a volare e a cercare la vena in grado di scaldarci il cuore. Capita anche a voi in primavera, non siamo tanto diversi. E se qualcuno ci accusa di offrire un amore doloroso, noi rispondiamo: l’amore vero sa fare male. Quello che per oggi è un uomo, ma che sarà una donna domani o forse un cane nei giorni a venire, per noi è pieno d’amore. Il mio uomo dalla pelle brillante lo è, carne pronta per essere assaggiata. Ancora non immagina quanto profonda possa entrare in lui la mia proboscide.

Scendo dalla fronte. Percepisco chiaramente le invisibili gocce di sudore ancora sottopelle, la stanno per innaffiare. Bastano pochi colpi d’ala e passo dal sopracciglio alla guancia, sfiorandogli una palpebra che si abbassa per istinto, ma lui non mi ha sentita. Ha mosso una mano, ma non per allontanarmi o almeno non lo farà, mi fido di lui. La guancia è ispida, ci sono appigli per i miei segmenti. Poggio le zampe e i piccoli tronchi che vedo si rizzano. Come una preda che inizia a essere tesa, il suo corpo si accorge della mia presenza invasiva pronta ad agire nel movimento finale. Salto da un tronco all’altro, acrobata battagliera. Il mio stiletto sensibile inizia a pulsare, spinto dalla forza di qualcosa che sto producendo all’interno. Siamo simili, penso, e intanto scendo ancora più giù. Sono alla base del collo, poco sotto la nuca. Potrei addentrarmi nei vestiti, tuffarmi nel baratro che porta alla sua schiena umida. Ma il pericolo è altissimo, in molte prima di me hanno perso la vita per un po’ di piacere. Trattengo la voglia e sfuggo al vortice d’aria che arriva da là dentro, un movimento del collo ha creato un risucchio che potrebbe aspirarmi sotto la maglia. Ma sono abile e, senza esitare, scendo veloce sulla spalla e da qui proseguo lungo lo scivolo del braccio, fino al rettilineo conclusivo. Vedo la meta, è là in fondo, oltre le pieghe della camicia. Eccoli, i primi peli. Si ergono dal polso, protetti dall’ultimo baluardo. Il suo orologio freddo, la macchina che il mio uomo ha alzato spesso in questi minuti verso il suo viso, per osservare l’ora. Se lo facesse mentre la sto scavalcando mi beccherebbe in pieno. Mi fermo a guardarlo un’ultima volta prima di vibrare la mia stoccata. Avrebbe voglia di riposarsi, tornare a casa, distendersi e ripensare alla lezione. E magari chiudere gli occhi e darsi così in pasto alle altre creature simili a me che vivono nella sua camera. Quell’orologio. Una volta che ne avrò conquistata la cima, da lì sarà facile buttarmi a capofitto sul dorso della mano e finalmente succhiare. Prima dalla vena più gonfia e poi dalle dita. Spingo di zampe e balzo, ma il salto mi viene imperfetto. Il mio uomo fa di nuovo girare il polso, costringendomi a una virata che mi porta molto vicina al suo viso.

C’è un istante pazzesco, cristallino, in cui sono esattamente di fronte a lui. E ci fissiamo immobili entrambi, come paralizzati. Le mie ghiandole spingono il fluido da dentro, accumulo ormoni su ormoni e muco pronto a filare fuori da me non appena avrò appoggiato la mia bocca su quella pelle da favola. A questo, penso per sfuggire alla paura. E invece sono in allarme davanti ai suoi occhi. Li vedo sgranarsi, sono enormi quando sento il vento passare. Un movimento di mano, spinto dalla potenza del braccio. Gli è scesa anche una manica per lo scatto. Un turbine che mi squassa i peli, le ali, le zampe. Ma sono lesta. Il dio degli insetti ha creato mostri straordinariamente istintivi. Mi sposto come mai avrei detto, quasi elettrica, e schivo per un nulla la mano che quasi mi uccide. Ora sono leggera, ultrarapida, anche se ho perso la direzione. Sfuggo al controllo della mia rotta, fino a trovare un appoggio su cui sbando in frenata. E’ una base liscia. Una pagina senza appigli, molto scarabocchiata. Il suo quaderno salvifico. L’oggetto pieno di inchiostro in cui, forse, ripone il suo sogno – non vorrà diventare scrittore? – diventa per me il luogo da cui ricominciare.

Lo guardo sudare da qui. Guardo la rabbia che gli accalora la pelle rendendola ancora più invitante. La rabbia di avermi persa, volatilizzata. Ma non ho la forza di tornare all’attacco, perché una leva imprevedibile ribalta il mio piano d’appoggio e, in un nulla, mi schianta contro la pagina opposta, spegnendo la luce per sempre. Nemmeno il tempo di realizzare che la lezione è finita.

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3 commenti »

  1. La fine poteva essere prevedibile, ma lo stile con cui sono descritte le sensazioni di questa zanzara, ce l’ha resa inaspettata e quasi quasi ingiusta. Bel racconto, scritto davvero bene. Complimenti!

  2. Grazie, Silvia! Contento che ti ci sia quasi affezionata 🙂 Io invece la trovo fastidiosa e alla fine ho goduto nel farle subire il peso delle pagine.

  3. Comunque hai creato un personaggio simpatico e ben caratterizzato 🙂 Complimenti!

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