Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Il cavallo bianco della Disfida” di Raffaele Messinese

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

– 1 –
Estate 1974

In una fresca sera d’agosto del 1974, la testa di un ragazzetto dall’apparente età di dieci anni sbucò tra due massicci bicipiti. I due uomini, la pelle scabra di braccianti, avevano gli occhi puntati sul corteo e non gli diedero retta. Il ragazzo scorse solo per un attimo quegli occhi, luccicanti per il riverbero delle torce accese ai balconi delle palazzine del corso principale. Occhi disposti accanto a mille altri, come acini su un filare infinito. Occhi come biglie vibranti al rullo dei tamburi che improvvisamente infrange il silenzio.
Poi l’avvicinarsi dello scalpitio di zoccoli sull’asfalto. Le facce dei distratti che si rivoltano verso la strada come carte di uno stesso mazzo. La vivace brezza che scompiglia le teste assiepate e le capigliature che pare si imbroglino alle criniere dei cavalli e alle scompaginate bandiere lanciate dagli sbandieratori in alto, quasi all’inseguimento dei neri fumi delle ciminiere.
Il ragazzo, nel tentativo di spingere lo sguardo oltre la siepe di gomiti e gambe, batte i piedi con forza alla ricerca di uno spiraglio. Ed eccolo ora! Il suo capo cocciuto ha trovato un varco. Gli appare finalmente… la poderosa bianca macchina di muscoli avanza al piccolo trotto. Ha froge grandi come tane di serpenti. I ferri sotto gli zoccoli percuotono il selciato fino a far risentire profonde le camere dei tombini sotto il manto stradale. Le supponenti palazzine in pietra tranese del primo Ottocento rintronano come bauli.
Dietro l’imponente collo dell’animale il riverbero delle torce frastaglia la sagoma seduta del cavaliere. Si vedono le sue braccia luccicanti agitarsi per salutare la folla che applaude. L’Ettore Fieramosca di quest’anno è un attore esperto di spaghetti western. Le nerborute spalle sobbalzano ad arte, assecondando l’andatura dinoccolata della cavalcatura.
Il ragazzo resiste ancora in prima fila, sgomitando nella palizzata di stinchi e cosce. Ora la scia nebulosa dell’enorme animale è a pochi centimetri da lui, potrebbe quasi toccarlo con la punta delle dita, la massa d’aria in movimento quasi lo trascina con sé.
–Indietro, indietro, scimunito!- schiamazza la guardia a due centimetri dal suo orecchio e ruota il pugno sinistro come il pupazzo alla giostra del saracino. Un flash illumina d’un colpo il ragazzo, il cavallo e una porzione della folla. Un momento di stordimento in cui tutto vacilla. Il cavallo bianco, atterrito e scalpitante, fila via veloce come un treno di porcellana, rapito da una nube, come il destriero dell’Arcangelo.

– 2 –
Estate 2011

La foto, a detta di qualcuno, esiste ancora oggi, appesa alla colonna di tufo dell’Antica Osteria di Via San Giorgio.
Il ragazzo, il cavallo, la folla puoi vederli ancora lì, sbiaditi nel contrasto di neri e di grigi.
L’uomo seduto al tavolo a sfogliare un’agenda di scatto s’è alzato per osservarla da vicino. Il pollice che scivola sulla patina d’unto, l’unghia che scava il dettaglio del volto con un graffio…. non c’è dubbio, tra il volto dell’uomo e il ritratto sbiadito del ragazzo v’è una sorprendente somiglianza. Il titolare del locale, una specie di barbuto nostromo, sta tornando al tavolo con un cesto di pane. L’uomo lascia la foto e torna precipitosamente alla sua sedia. “Non gli chiederò di avere la foto, sarebbe patetico… è passato tanto di quel tempo. ”
Ora l’aria si è fatta calda dei fumi di carne rosolata. L’odore di braciole permea le pareti di tufo.
L’uomo cerca una posizione più comoda sulla sbilenca sedia di vimini. Le mani anemiche fuoriescono madide dalle maniche della giacca di lino. Gli occhi sono ora brevemente catturati dalla gigantografia della Madonna, sulla parete opposta a quella in cui ha scorto il suo volto da ragazzo, quando assisteva rapito al passaggio del corteo della Disfida. Fa il gesto istintivo di raddrizzare la sedia, come se il tavolo stesse sfuggendo per un improvviso scivolamento del pavimento.
– Cosa vi servo, dottore?
– Cosa avete? A sentire questo buon odore di braciole, mi viene ‘na voglia …
– Piatto della casa: strascinati della Sfida con ragù di braciole di puledro.
– Mmmm, bene, sì.
– Da bere… una giarretta di vino rosso?
– Sì, certo, facciamo così.
Il pane sa di bruciato e di buccia di patata.
“C’è una ragione per cui mi trovo qui? Voglio dire, una ragione sincera o pura, banale nostalgia? Dopo quarant’anni, non è troppo, o troppo poco?”
– Tutto a posto, dottore? Ancora un po’ di vino?
Il torpore dell’alcol lega la lingua come una benda intorno agli altri sensi e li ottunde. Una voce romba da dietro un muro di visioni: il muro è di quel tufo giallognolo delle cave di Santa Maria di Cafiero, tufo che sfarina facilmente e che sostiene miracolosamente i pilastri dell’intero borgo marinaresco.
– Uccido io!
La voce roca proveniente dalla saletta attigua gli provoca un soprassalto.
“Ecco spiegato quello scoppio rabbioso di voce. Certo… mi ricordo… come no? Si uccide per gioco, nella ‘maniglia a compagni’, che il nonno aveva voluto insegnarci a tutti i costi.”
E ancora il legno trasmette vibrazioni al pavimento, mentre gli uomini sbattono le carte sul sudicio legno.
-Cavallo di coppe, ah!
-Ah, cavalli! E che? La cavalleria l’hai avuta tutta tu?
-A proposito. Ci credete alla storia di Mimmo lo Scopastrade?
-Sss… quel razza di macaco…
-… lo sapete che va dicendo che ha visto uscire da un chiancone dietro la Cattedrale un enorme cavallo bianco e che dopo un momento non l’ha visto più, sprofondato nel fossato del castello?
-Altro che cavalli! quello vede solo le braciole e il vino con cui le annaffia. Mimmo… pezzo di bestia che non è altro. A lui credi? E’ ubriaco dalla mattina alla sera…
-No, stavolta sembra diverso. Ha chiamato la polizia… cose serie. Il commissario gli ha chiesto se era la prima volta che aveva quell’avvistamento. E pure alla Gazzetta ha giurato che aveva visto tutto coi propri occhi.
-Sono tutte stronzate. Cavalli bianchi che risuscitano da sotto ai chianconi. Puh!
– Mi arrasso! – dice, sbattendo con violenza un re di bastoni sul tavolo.
L’uomo esce dall’osteria e passeggia per le vie del borgo vecchio.
Nessuno per le strade. Gracchiano stazioni di radio locali. Un trio di piccioni picchietta sui lastroni bianchi tra gusci di frutta secca.
L’uomo che compra cartoline in una città dove è cresciuto o è un nostalgico o un pazzo. Quando l’uomo si siede al tavolino di formica verde di fronte alla Chiesa del Monte di Pietà, sono le due e quindici del pomeriggio. Cartoline: castello con sfondo cattedrale, colosso di bronzo, monumento equestre alla Disfida, trabucco, ecc. La città scorre tra le mani e si confonde con i ricordi.
Fanno troppo rumore i passi.
Dopo essersi chiuso alle spalle il portone dell’albergo, la città pare sprofondare in un bagliore arcano.
Giunto nella sua stanza, l’uomo si getta sul letto e crolla così, ancora vestito, tra le candide lenzuola. Neanche il tempo di chiudere il secondo occhio e già è dentro la deriva di un sogno… Il cavallo bianco di pietra corre sul molo di levante. Giunto al trabucco, nell’ombra fresca di pali e reti, sospesi sull’acqua, l’animale s’acquieta. Poi l’eco di uno sparo… l’animale s’impenna e scompare oltre la bianca barriera di scogli.

L’uomo esce dall’albergo senza cambiarsi d’abito.

La piazza della stazione non è che un cerchio con al centro un altro cerchio, la fontana con un tritone che sputacchia pigri zampilli. L’orologio bianco sulla facciata dell’edificio segna le tre meno un quarto. Il pomeriggio aleggia afoso e stanco sui tavolini del bar all’aperto. La tazzina da caffè vuota è assediata dalle mosche, che rimbalzano da quella al tavolino di plastica come grani di pepe su una piastra rovente. Un giornale aperto lasciato da qualche frettoloso viaggiatore, riempie buona parte del tavolino. Si scompagina nella vivace brezza e s’apre su un titolo che calamita lo sguardo dell’uomo: SCOMPARSO IL CAVALLO BIANCO DAL  MONUMENTO ALLA DISFIDA.
Un’ombra gli attraversa fulminea le pupille. “Ma che significa tutto questo? Provare sul serio a capirci qualcosa? Fosse anche un’inezia, un dettaglio. Legittimo, no, dopo quarant’anni? D’altronde un viaggio deve pur avere un senso”.
Lascia un paio di monete sul tavolo e si lancia in una corsa forsennata attraverso giardini pubblici, piazze e viuzze del centro storico. Ora via Cialdini gli si apre davanti in tutta la sua monumentale meraviglia.
Di lì a pochi minuti la sua corsa è già terminata. Spalanca la porta a vetri opachi dell’osteria. Non c’è nessuno a fermarlo. L’oste a quell’ora è un gargoyle dormiente, intagliato nel tufo.
La foto è sempre là. L’uomo la riconosce all’istante sul pilastro di tufo eroso. Le mani la staccano con forza dal muro. Gli occhi rossi, eccitati, la scrutano alla ricerca di un particolare essenziale, che gli sfugge da troppo tempo, ma… “Ma, che scherzo è mai questo? Dov’è finito il ragazzo… cioè, io, da ragazzo? Ma che diavolo! Chi ha cambiato la foto, chi ha potuto sostituirla?” S’avventa sull’oste addormentato. Lo strattona, lo spinge. Quello lo guarda di sbieco come vedesse per la prima volta la faccia di un matto.
– Che vuoi? Che ti piglia?
– La foto, la foto di stamattina…
– Ebbe’?
– Dov’è? Dimmi, dov’è?
– Ma che cazzo dici? E chi l’ha toccata. È quella che tieni in mano, non vedi?
– Non prendermi in giro, lurido stronzo, c’ero io da ragazzo sulla foto e c’erano anche la folla e il cavallo…
Si blocca, d’un colpo, raggelato. Il cavallo bianco di Fieramosca …. non c’è più neanche quello. Da impazzire. Avvicina l’immagine ancora di più agli occhi… niente, non c’è più traccia del ragazzo che è riuscito a infilarsi tra la folla. E pure il cavallo è scomparso.
– Ma chi sono io, allora? Che succede?
L’oste fa per prenderlo per un braccio. Ma l’uomo si divincola, lascia cadere con una smorfia di disgusto la foto sgualcita.
Corre via ora, lontano. In quelle vie di pietra, su quei marciapiedi viscidi, corre come un ossesso, via da quella città che non riconosce, che non lo riconosce.
Lo sentiva da quando s’era messo in viaggio, un viaggio che avrebbe dovuto restituirgli il senso di un’intera esistenza. Lo sentiva che una foto non può bastare.
Un’infanzia che non hai avuto, che hai solo sognato, non la ritrovi in un’osteria. Né può bastare il debole indizio di un lontano conoscente del luogo che giura e spergiura di averti visto immortalato in una foto in una vecchia osteria dalle parti della Cattedrale, e che arriva persino a scriverti una lettera per informarti della sorprendente coincidenza.
Già, sorprendente…. Ritrovarsi così a quasi 50 anni, con in mano fantasmi di memorie.
Forse ricominciare da questo è la vera avventura di una vita che, tra noia e nostalgia, non ha mai avuto ali.
Come il cavallo bianco della Disfida.

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6 commenti »

  1. Bello e scritto molto bene! La ricerca disperata di stessi attraverso una fotografia nella quale è impossibile ritrovare ciò che siamo stati.

  2. Il tempo che passa… la vita che scorre e poi fermarsi. Consapevolezza della propria memoria non condivisa da un mondo diverso.

  3. Scrittura densa di dettagli che gioca con tutti i sensi, li rimescola e li fa vibrare. Per me ciò che più caratterizza questo bellissimo racconto è lo stridente contrasto tra la giocoleria espressiva e il mancato gioco della vita che angoscia il protagonista e con lui il lettore. Fortuna che il cavallo bianco, non per niente “title character” del racconto, mostra la via. Anche se pietrificati si può spiccare il volo.

  4. Ringrazio di cuore Decimo Lucio Todde per la stringata ma netta interpretazione del racconto. Ringrazio Antonella per la sua lucida e sintetica analisi e per i complimenti, che ricambio. Un ringraziamento particolare a Daniela, che ha articolato in maniera molto personalizzata il commento, e per i suoi graditissimi e lusinghieri complimenti. Grazie davvero a tutti voi.

  5. Ricordi scolpiti e cesellati, che portano verso un finale non consolatorio, ma denso di significati.

  6. Ti ringrazio di cuore, cara Marina, per la tua nota competente, stringata e sincera. In bocca al lupo per la tua produzione letteraria.

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