Premio Racconti nella Rete 2012 “Il giorno di Vittoria” di Alessandra Ponticelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012La pioggia batteva forte, scivolava veloce sul davanzale, crepitava, trascinando con sé la spessa cortina di salsedine che il vento aveva depositato sopra i vetri. La barriera opaca, grigiastra, che separava Vittoria dal mondo togliendole la possibilità di vedere, di guardare il cielo, di seguirlo nei suoi mutamenti, nelle sue repentine variazioni di colore, si stava sciogliendo. Assisté compiaciuta al suo dissolvimento e provò un brivido di soddisfazione. Una gioia assoluta. Finalmente si era presa la sua rivincita. Osservò gli enormi nuvoloni neri spalancarsi in lampi sfolgoranti e si fermò ad ascoltare il fragore dei tuoni che, arrabbiati, brontolavano all’orizzonte. Il caldo se ne stava andando, spazzato via da un’aria fresca e fine che rigenerava lo spirito. Detestava lo scirocco, le sue folate opprimenti, gli aliti roventi che riattizzano i fuochi dei ricordi. Si scostò dalla finestra, attraversò il piccolo studio, osservò la propria immagine riflessa nella specchiera antica, dorata, che sovrastava il maggiolini a tre cassetti e prese coscienza del fatto che l’entusiasmo provato era durato un solo istante. In cuor suo sapeva che era inutile vedere quello che accadeva fuori, ciò che si muoveva al di là della dimensione nella quale si trovava adesso. La sensazione di felicità, che l’aveva assalita, altro non era che l’ennesimo inganno, uno dei tanti trompe-l’oeil costruiti ad arte dalla sua coscienza. Udì il rumore della mareggiata che si stava abbattendo sulla spiaggia, le parve di riassaporare il buon odore di salmastro, l’odore forte e aspro della burrasca e si ricordò delle tante battaglie ingaggiate con le onde sulla sua tavola da surf.
Dov’era finita la Vittoria di allora? E dove si erano nascosti il suo coraggio, la sua voglia di vivere, il desiderio irrefrenabile di sfidare la vita, di correrle accanto veloce per superarla nella sua marcia costante contro il tempo? Si diresse nel corridoio e guardò la porta del ripostiglio. Sapeva dov’erano. Qualcuno li aveva chiusi lì dentro, accatastati uno sull’altro, aggiunti ai tanti oggetti inutili, adagiandoli con cura sopra una delle sue amate tavole da surf. Vittoria…quel nome importante che aveva desiderato darle suo padre non le apparteneva più. Il suo babbo! Che uomo giusto era stato e quanto bene le aveva voluto! ” Dove sei babbo?”, pensò, mentre una lacrima le rigava il volto. Anche lui se ne era andato e per farlo aveva scelto una gelida giornata d’inverno. Gli era sempre piaciuto l’inverno. Se lo vide davanti, con i suoi pantaloni di fustagno e un ampio pullover di shetland, rientrare con in mano la borsetta da medico. Le parve di risentire la sua voce: ” Non ricordo di aver patito mai tanto freddo…Cosa fa la mia Vittoria? Sei ancora in pigiama? Corri, corri a vestirti”. Fu colta da un tremore forte, resistente. Incrociò le mani sulle spalle e si convinse ancora di più del fatto che le uniche stagioni che esistono sono quelle del cuore. Il caldo, come il gelo, attraversa il nostro corpo ovunque, in ogni momento dell’anno.
Vittoria si soffermò qualche istante a osservare la propria faccia riflessa nello specchio sbiadito, opacizzato dagli anni, e realizzò che rappresentava davvero la sua immagine. E non perché esso gliela restituiva, ma perché lui e lei erano veramente la stessa cosa. Entrambi avevano perso il loro splendore, la patina argentea e levigata che un tempo li rendeva lisci e e lucenti. Tutti e due, adesso, avevano un aspetto craquelé. Tra loro c’era comunque una differenza. La bella psiche dorata aveva, al contrario di lei, mantenuta intatta la propria identità. Si sentì sfiorare da un vento tiepido, leggero e le parve di volare.
Uno strano senso di confusione le attraversava la fronte, dandole l’impressione di trovarsi in uno stato di dormiveglia. Lievi formicolii si muovevano da una parte all’altra, percorrendo con ostinazione, come minuscoli insetti dall’andatura lenta, la sua parte di faccia tra le sopracciglia e i capelli. Avanti e indietro ripetevano, infaticabili, lo stesso percorso, non mostrando il minimo segno di stanchezza. All’improvviso udì provenire dal bagno un gorgoglìo, uno sciabordìo continuo e insistente. Spalancò la porta. Chi aveva aperto la doccia? Non lo sapeva e comunque non era importante. Avrebbe dovuto approffittarne per riprovare ancora quella sensazione inebriante che solo l’acqua può trasmettere. Il getto caldo con i suoi zampilli impetuosi, cadendo, strisciava rapido sul suo viso impietrito, sul suo seno freddo, sul ventre marmoreo, accarezzava le sue lunghe gambe statuarie, per raccogliersi in una grande pozza di schiuma bianca che lentamente defluiva, scomparendo, sotto il pavimento azzurro. Vittoria uscì e senza asciugarsi si adagiò sul letto. Adesso si sentiva meglio. Il contatto diretto con l’acqua l’aveva rinnovata, riportata indietro nel tempo, risvegliando in lei palpiti di vitalità che credeva essersi assopiti per sempre.
La piccola radio a transistor che stava sul suo comodino si accese di colpo e lei si stupì del fatto che funzionasse ancora. La voce calda e rassicurante del dj, dopo avere commentato il terribile temporale che si era abbattuto su tutta la costa, invitava gli ascoltatori a non cambiare stazione: “Amici, restate con noi … adesso una bella canzone e poi, poi una notizia straordinaria a Radio Chimera … ma non posso anticiparvela, vi chiedo solo di aspettare alcuni minuti …”. Vittoria si addormentò, sognando, cullata dalle note della sua canzone preferita, mentre, affascinata, ne seguiva le parole: “Nuove sensazioni, giovani emozioni, si esprimono purissime in noi. La veste dei fantasmi del passato cadendo lascia il quadro immacolato e s’alza un vento tiepido d’amore, di vero amore…“.
Ora si trovava in alto mare: “Vittoria, Vittoria! Ti avevo detto che non era il caso di uscire con questo tempo”. Avvertì una voce risalire con un gemito su dal fondale, vide il mare gonfiarsi, ingrossarsi, scorse un’onda gigante arrivare, travolgerla, farla scivolare giù dalla tavola, mentre il cavo elastico, allungandosi, premeva con violenza sulla sua caviglia. Provò con tutte le forze a restare a galla, a riemergere dagli enormi cavalloni che la percuotevano e la inabissavano. Udì il leash spezzarsi e capì che per lei era finita. L’acqua, la sua amata acqua, stava tentando di soffocarla, di ucciderla, spingendola con rabbia nelle profondità marine.
“E adesso finalmente la notizia …”. La voce che proveniva dalla radio aveva ripreso a parlare ma Vittoria non la sentì. “Gentili ascoltatori, ci siete? …Vi ricordate della grande campionessa di surf Vittoria Reef, scomparsa più di trent’anni fa con la sua tavola? Ecco … Da non credere …oggi … oggi il mare ha restituito il suo corpo … e … sapete qual è la cosa più sconcertante? Incredibile! Esso è perfettamente riconoscibile, praticamente intatto”.
“Amore?”, disse il giovane alla moglie, mentre si apprestavano ad uscire per una passeggiata, “mi ero dimenticato di dirti che hanno telefonato dall’agenzia … dicono che possiamo andare a visitare la villa oggi stesso. Finalmente il nipote di Vittoria Reef ha capito che quella casa non poteva restare ancora disabitata e così si è deciso a vendere”.
Il tuo racconto è denso di immagini e di sospensioni tra spazio-tempo, vita-morte. Poteva divenire pesante come un macigno, invece lo hai reso leggero e scorrevole, godibile, segno che chi lo ha scritto possiede una grande padronanza nella narrazione. Brava Alessandra.
C’è tenerezza nelle immagini che raccontano il tempo vissuto. Complimenti!
Grazie a Bettina e Decimo Lucio per i commenti favorevoli. Un saluto affettuoso a entrambi !