Premio Racconti nella Rete 2012 “Frammenti di vita” di Barbara Mastronardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Assorta, Valentina guardava il mare dal terrazzo dell’albergo dove stava passando le vacanze con Samantha, detta Sam, la sua meravigliosa e dolce bimba, tanto simile a lei.
Avevano nuotato, riso, scherzato, si erano cambiate un centinaio di volte il vestito, e ora lei la stava aspettando mentre si pettinava, per l’ennesima volta, prima di andare a cena.
Erano uguali, lei e Samantha.
Attaccabrighe, testone e legate alla propria bella immagine.
Si guardavano di sfuggita in ogni specchio capitasse loro a tiro.
Lo stesso carattere forte, ma anche troppo, troppo sensibile.
La stessa potente voglia di star sole che spesso le portava a godere in modo totalmente appagante della reciproca compagnia, senza bisogno di nessun’altro.
Proprio per questi tratti così simili, spesso litigavano, e poi facevano pace in un mare di bacetti.
Forse questa ricerca di solitudine era un male.
Questo non sentire l’esigenza della compagnia degli altri, in questa loro isola felice, era sbagliato.
Forse avrebbe dovuto rimediare.
Valentina ne era conscia, ma quanto se ne rendeva conto, tanto non riusciva a forzare se stessa e la propria natura.
D’altra parte, i tratti solitari e chiusi del suo adorato nonno ligure erano un’eredità tangibile e incancellabile.
Fin da ragazzina aveva preferito stare in compagnia di una persona sola, piuttosto che di tante.
Adorava le conversazioni a due. Le trovava intime e appaganti.
Si sentiva a disagio tra la folla, e la sua estrema timidezza la faceva spesso apparire altezzosa e algida, e non sempre riusciva a palesare il contrario.
Il primo giorno di università aveva fatto il giro dell’isolato quattro volte, prima di decidersi a entrare nella grande aula magna, che le incuteva terrore.
Per fortuna, però, quando si trovava a sostenere gli esami, la sua lingua si scioglieva, ma ci riusciva soltanto facendo finta che non ci fosse nessuno tranne la persona che aveva davanti.
Allora vinceva questa sua ritrosia, teneva a bada il panico, e parlava come in trance.
In quei momenti le sua mani erano gelide, e il viso caldissimo, come se tutto il sangue affluisse per lo sforzo che stava sostenendo.
Alla fine si sentiva svuotata.
E tutto questo le succedeva ogni volta che era costretta a rapportarsi forzatamente con qualcuno.
Nonostante questa sua personalità così chiusa, una sua caratteristica, un qualcosa che aveva sempre desiderato fin dall’infanzia … era innamorasi.
Palpitare, fondersi con anima e cuore con la persona amata, era il suo sogno proibito.
Divorava senza fine romanzi d’amore.
Li leggeva d’un fiato, magari fino a tarda notte, lasciando andare la sua fantasia a briglia sciolta, immaginando naturalmente di essere la protagonista della storia.
Valentina era innamorata dell’amore.
Adorava il mare.
Lo scenario che aveva davanti le faceva scaturire dentro un entusiasmo singolare, quasi infantile, inconfondibile.
E ogni volta, davanti al mare, era come se fosse la prima.
Sì, non c’era dubbio: Valentina, dentro, era la stessa quattordicenne di un tempo, forse un po’ buffa, forse un po’ impacciata, ma curiosa di quel mondo affascinante e sconosciuto che si apriva davanti ai suoi occhi, bramosa di scoprire, di gustare quello che un tempo, ma ormai questo lo aveva capito, le sembrava dolce, e invece era amaro.
Il sapore dell’amore.
Come per magia il tempo andò a ritroso.
Si ritrovò a Santorini.
La magica isola greca dalla sabbia scura, dove, stretta fra le braccia forti del suo “zingaro” del cuore, dagli occhi blu, che tanto aveva significato per la sua vita, anche quella volta scrutava cielo e mare, di cui non si vedeva il confine.
Alessandro.
Sentì come per incanto il profumo dei fiori .
Come se fosse ancora lì con lui.
Era apparso nella sua vita per caso, quando lei era giovanissima.
E quando aveva visto per la prima volta la sua figura imponente, il cuore le era balzato nel petto.
Doveva essere suo.
E lei aveva fatto fuoco e fiamme per averlo.
Con la determinazione che sempre aveva caratterizzato le sue azioni, aveva sfidato chiunque si fosse posto sulla sua strada, ostacolando il suo amore.
Le difficoltà erano tante e poi tante.
Lui aveva molti più anni, navigato quanto basta, corteggiatissimo e imprendibile.
Alla fine ci era riuscita.
Si erano sposati, dopo traversie di ogni tipo, in un vero castello.
Come nelle fiabe.
Per tanto, tanto tempo aveva camminato insieme a lei, e il loro amore era stato premiato con la nascita della loro bionda meraviglia.
Samantha.
Anche lui era un solitario, e per un lunghissimo periodo si erano bastati a vicenda.
Quando era nata la loro bambina tutto sembrava assolutamente perfetto.
Chissà perché, a un certo punto la magia si era dissolta
Le difficoltà tanto terrene della vita li avevano inesorabilmente divisi.
A poco a poco.
Lui era diventato quasi arido, e insofferente, e ciò che prima sembrava un idillio perenne si era tramutato piano piano in un’interminabile sequela di litigi sgradevoli e squallidi.
Valentina, dalla sua, cercava di fare del suo meglio, ma spesso anche lei, suo malgrado, si rendeva conto di non essere più la stessa.
Nonostante la nascita di Sam, a lungo desiderata, un giorno dopo l’altro la vita insieme era diventata insopportabile.
Inesorabilmente, passo dopo passo , Alessandro, preso da mille pensieri, aveva lasciato che il suo amore si dissolvesse.
Valentina, impotente, aveva assistito allo sgretolarsi del suo sogno.
Ripensò a quei tempi felici, in cui aveva diviso i pensieri e le sensazioni con quella persona tanto amata.
Le venne in mente quella volta magica: il viaggio in Toscana e la visita alla Certosa di Firenze.
Sam doveva ancora nascere.
Loro due da soli.
Adoravano la reciproca compagnia.
Anche dopo la nascita di Sam.
Valentina avrebbe voluto, da quando aveva avuto l’età della ragione, salvare e proteggere tutti gli animali del mondo, soprattutto i gatti.
Era convinta di essere stata una di loro, in un’altra vita.
Adorava il loro ancheggiare sinuoso, elegante.
Tradizione voleva, all’epoca, che i micetti non desiderati venissero abbandonati proprio alla Certosa, nella speranza che i monaci in qualche modo li nutrissero.
Mentre gironzolava sotto il sole cocente, affascinata dalla bellezza di quel luogo incantato, piacevolmente intorpidita dalla luce abbagliante e dal calore quasi tangibile , un flebile miagolio aveva attirato la sua attenzione.
E sotto i cespugli.. eccoli.
Quattro deliziosi batuffoli di pelo , uno nero e tre pezzati , che la guardavano incuriositi, con i loro piccoli occhi fosforescenti di un color azzurro cupo.
Amore a prima vista.
Un orgia di coccole.
Si abbarbicavano alla sua mano, deliziosi , alla ricerca spasmodica della mamma, grati delle sue attenzioni e assolutamente, dolcemente, indifesi e spauriti.
Alessandro sopraggiunse e fotografò intenerito i suoi giochi fanciulleschi.
Ad un certo punto qualcosa di magico si creò nel loro scambio di sguardi.
E lui disse le parole magiche “.. E va bene, portateli dietro.”
Senza ragionare, trascinato dalla voglia di farla felice.
Valentina avrebbe voluto che il viaggio non finisse mai.
I piccini, grati del latte tiepido, procurato in un bar, si trastullavano fra le braccia di Valentina giocando fra di loro.
Anche se poi i problemi al ritorno sarebbero apparsi, in quel momento non le importava.
Non importava a nessuno dei due, presi come erano a rendere reciprocamente felice l’altro, senza pensare a se stessi.
Naturalmente, poi, una volta arrivati a destinazione, la realtà prese il sopravvento.
A casa avevano già le loro due gattine che li aspettavano.
Val fu costretta a separarsi dai micini e li portò, non senza una trafittura, da una vecchia signora loro conoscente … e andarono a star bene.
Ancora adesso, rammentava quanto e quanto profondamente avesse adorato Alessandro, sapendo benissimo che lui era un tipo quadrato, e poco incline ai colpi di testa, e agendo d’impulso le aveva dimostrato amore puro.
Al di là della realtà.
Non sapeva bene quale ragione l’avesse spinta a pensare a quell’episodio.
Forse perché era stato un momento perfetto, quasi irripetibile nella sua magica intensità.
Poi l’attimo per eccellenza, struggente e incancellabile.
Rammentò la gioia sovrumana di quando avevano avuto nelle braccia la loro piccolina, nata quando ormai non ci speravano più.
Alessandro, tronfio e orgoglioso la scarrozzava nella carrozzina per i corridoi dell’ospedale, finché un’infermiera lo aveva redarguito e ricacciato con una sgridata nella camera di lei.
Sorrise al pensiero dolce, e tanto lontano.
Ripensò alla prima minuscola pelliccia bianca che Alessandro le aveva comprato per Sam, alla cesta di vimini dove dormiva, al mare di peluche che tuttora riempiva la sua camera.
E una lacrima le rigò la guancia.
Quando lui se ne era andato il mondo le era cascato addosso.
Le restava la solitudine, visto che amici a casa loro ne entravano pochi e in maniera sporadica e, una volta andato lui, era rimasta sola con Samantha.
Unica eccezione, il suo migliore amico, Giulio.
Presenza costante nella sua vita.
Lo conosceva da sempre, fin da ragazzini.
C’era stato per lei in ogni occasione.
Al suo matrimonio, alla nascita di Sam, al suo divorzio.
Presenza cara, ma un po’ ovvia.
L’unica vera ragione per cui era stata capace di non farsi schiacciare da quella sofferenza così profonda era il sorriso malandrino della sua pulcina.
Lei, Sam, e le due gattine tanto dolci e malandrine pure loro, formavano questa strana famiglia piena di amore.
Dove Valentina cercava sempre di tenere il dolore fuori dalla porta.
Alessandro vedeva regolarmente Sam.
E ogni volta a Valentina si stringeva il cuore.
Ogni volta che la macchina si allontanava, lei si chiudeva in casa come per proteggersi da questa realtà così crudele.
Riempì la casa di mille colori, cambiò l’arredamento classico e forse un po’ rigido che tanto piaceva a lui, che lei per amore a suo tempo aveva accettato.
Comprò divani e tappeti variopinti, tanti tanti cuscini morbidi morbidi, e fece sparire, dalle mura della casa, ma non dal suo cuore, ogni traccia di lui.
Dipinse però, sempre, con allegria e dolcezza, la figura del padre alla sua piccolina.
Valentina non era stata capace, o forse non aveva voluto, rifarsi una vita sentimentale, vuoi perché la bimba era piccola e richiedeva tutta la sua attenzione, vuoi perché aveva molta ritrosia ad avvicinare a Samantha un’altra figura maschile.
La vita era scorsa veloce, a volte pesante, a volte leggera come una piuma.
E tutto si era riflesso nei grandi occhi sgranati della sua bambina, azzurri come il cielo d’Irlanda.
La risata argentina di Sam interruppe, per fortuna, le divagazioni tanto tristi della sua mente.
E pensò che era inutile e doloroso rinvangare.
I ricordi vennero spazzati via come d’incanto, e mamma e figlia scesero tutte agghindate prima a cena in albergo, e poi fecero una lunga passeggiata per le vie piene di luci e di vita del paese.
Stavano proprio bene insieme.
Ogni cosa era una scoperta meravigliosa.
Un paio d’ore più tardi, mentre era sdraiata al buio, vicino a Samantha che dormiva beata con la chioma bionda sparsa sul cuscino, arrivarono dalla finestra aperta, smorzate, le note di una canzone a lei cara.
Quella canzone.
Nulla come la musica era capace di trasportare Valentina indietro nel tempo.
Sei mesi prima, dopo un lungo, lunghissimo periodo di buio totale, un sottile filo di speranza di ricominciare a vivere si era insinuato in lei.
Attraverso due occhi neri e profondi.
Gli occhi di Marco.
Magicamente, dopo tanti anni di solitudine, di pensieri bui, per la prima volta, di nuovo, il cuore si era risvegliato.
Mai, Valentina, delusa dalla vita, avrebbe pensato che ricominciasse quella strana cosa che ti porta le farfalle nello stomaco.
Che ti fa diventare rossa se solo ci pensi.
Che ti fa camminare per strada come su una nuvola.
Mai lo avrebbe creduto lontanamente possibile.
Per nulla al mondo.
E i pensieri, come sempre, si accavallarono nuovamente veloci nella sua mente.
Accidenti a quella sua mania di perdersi sempre nelle sue chimere.
Nelle lunghe notti solitarie non smetteva mai di elucubrare.
Ma sì … non ci aveva mai pensato.
Le venne in mente in quel momento.
Quegli occhi, sornioni, che la canzone aveva evocato, erano tanto simili a quelli di Mattia.
Lo aveva conosciuto in treno, quando a diciassette anni era scappata di casa, stufa dei genitori che la pressavano perché lasciasse il suo grande amore, e in treno, come per incanto, aveva raccontato tutto a quel ragazzo appena conosciuto, dal sorriso dolce.
Lui l’aveva capita, consolata, aveva asciugato le sue lacrime.
Da allora, da quando si erano lasciati alla stazione con un abbraccio, non l’aveva più rivisto.
Era rimasto nel suo cuore.
L’immagine di Mattia si dissolse e cominciò lieve, ma sempre più pressante, il sottile nostalgico ricordo del calore delle braccia di Marco.
Tornò indietro nel tempo.
Tornò al momento in cui lo aveva visto per la prima volta.
Era una fredda serata di dicembre, di quelle che Valentina, schiva e timida, adorava.
Le pareva che la sua casa fosse un rifugio sicuro, e si sentiva giustificata dal brutto tempo se non andava in giro a folleggiare e se ne stava tranquilla, a casa, al calduccio, con una delle micie in grembo e un bel libro da leggere.
Immancabile come sempre la musica.
Per Valentina la musica era vita.
Adorava perdersi nei suoi pensieri al suono dello swing o alle note vive dei gospels, o ancora alla musica intramontabile dei Beatles.
Quella sera, però, niente libro e niente musica.
Era obbligata a uscire, volente o nolente, per questioni di lavoro.
Samantha dormiva dai nonni.
Valentina doveva presenziare a un party della sua azienda.
A prescindere da questo, chissà perché, si sentiva bellissima.
Ed entusiasta di uscire.
Proprio quella sera.
Si era truccata con cura.
Senza fretta, aveva messo in evidenza con ombreggiature i grandi occhi espressivi, simili alla tonalità delle foglie in autunno, le guance pallide erano illuminate da un tocco di rosa pallido e la bocca turgida e carnosa era di un color pesca lieve.
Si era rilassata con un bagno caldo e profumato, e aveva aperto l’armadio, per scegliere con cura l’abito da indossare.
I ricci color oro antico erano stati domati dalla parrucchiera come piacevano a lei.
Il tailleur nero metteva in evidenza la sua linea snella e sensuale che, per un miracolo del cielo, vista la sua pigrizia e indolenza, rimaneva sempre appetibile nonostante l’età avanzasse.
Una nuvola del suo profumo preferito, che non cambiava da più di vent’anni, la faceva sentire bene con se stessa.
Si doveva sbrigare se non voleva arrivare per ultima.
Le entrate a effetto la terrorizzavano sempre.
Diede un’ultima occhiata allo specchio, atteggiò le labbra a cuore, strana abitudine che aveva mentre lo faceva, e quello che vide la soddisfò.
Chiuse la porta, tornando sui suoi passi per controllare di averlo fatto, – rituale irrinunciabile vista la sua proverbiale distrazione – e volò giù per le scale sinuosa sulle sue scarpe dal tacco altissimo, particolare assolutamente necessario.
Lui saliva, con il viso incorniciato dal cappuccio della felpa, fradicio, visto che fuori diluviava.
A quanto pareva, considerati i due ragazzi che lo seguivano portando un mobile, stava traslocando proprio lì, al piano di sotto.
Caspita.
Mica male, pensò Valentina.
Il suo fisico era asciutto, snello e slanciato, il viso era maschio, imperioso.
Valentina aveva sempre avuto un debole per i begli uomini.
Per i begli uomini intelligenti.
E lui, chissà perché, senza avergli neanche parlato, le sembrò tale.
La cosa stupefacente .. erano gli occhi.
Caldi, sensuali, circondati da ciglia assurdamente lunghe per un uomo.
La bocca era carnosa, il naso importante, i lineamenti decisi e imperiosi.
In una parola: uomo.
Dalla punta dei capelli alla punta dei piedi.
Merce rara di questi tempi. Pensò sorniona.
Valentina, dopo la separazione, aveva incontrato solo rari esseri pavidi, impauriti dalla sua volontà di ferro e dal suo piglio maschile di affrontare la vita, e incapaci di comprendere questa sua voglia di indipendenza.
Del resto aveva dovuto per forza diventare così.
Le circostanze della sua esistenza erano state tali, che si era dovuta arrangiare sempre in ogni frangente, e questo l’aveva resa avvezza e pronta alle difficoltà.
Quando salendo le scale lo aveva incontrato, i loro occhi si erano fusi in un abbraccio virtuale.
Una scossa elettrica l’aveva attraversata.
Si erano incrociati di corsa, perché lei era in ritardo – come sempre e comunque, da qualunque parte andasse – e lui era pieno di pacchi, pacchettini, ma le sorrise avvolgendola letteralmente con lo sguardo.
Si fissarono per una frazione di secondo.
Uno sguardo che diceva tante tante cose.
Veramente notevole, aveva pensato lei.
Anche un semplice fugace incontro non era poi così semplice da affrontare per Valentina, che da sempre non era capace di reagire in maniera disinvolta agli sguardi di ammirazione.
Avvampò.
Accennò un ciao con voce rauca e scappò via veloce, per evitare che lui capisse l’effetto che le aveva fatto.
Due mesi di incontri fortuiti sulla scale, in uno dei quali si erano anche presentati insieme a Samantha, volarono veloci.
L’attrazione istintiva rimaneva tangibile.
Lui la guardava come un gatto fa con il canarino, e lei ricambiava maliziosa.
Lo incrociava spesso vicino a casa, e impazziva per quel suo basco impertinente, portato sulle ventitré e per l’abbigliamento particolare, che lo faceva spiccare in mezzo alla gente.
Purtroppo, però, la situazione non si sbloccava.
Allora, per la prima volta in tutta la sua vita – lei era una tradizionalista in amore, all’uomo sempre la prima mossa – alla fine aveva deciso.
Aveva ideato un sacco di approcci diversi, senza trovare quello giusto.
Si era consultata con l’amico del cuore, Giulio, e con l’amica del cuore, Sara, i quali cercavano di incoraggiarla in tutti i modi a rompere il ghiaccio, felici della strana luce negli occhi di Valentina.
E alla fine … la soluzione era arrivata.
Gli aveva messo un bigliettino nella bussola, con la scusa di avvisarlo di non lasciare la finestra aperta sul cavedio interno della casa perché avrebbero potuto entrare i ladri, come era già successo.
Una montagna di bigliettini accartocciati giaceva ai suoi piedi.
Uno era freddo, un altro sfacciato, un altro incomprensibile per l’orrida grafia, un altro inconcludente, …
Un delirio.
Finalmente le parole scritte le sembrarono appropriate, con quel tanto di noncuranza necessaria a salvarle la faccia.
La busta, cercata disperatamente nei cassetti pieni di carte era a dir la verità, piuttosto sciupata.
Non importava, pensò.
Anzi, meglio.
Così non sembrava una cosa costruita.
Finalmente la cassetta della posta di Marco conteneva la preziosa missiva.
Non credeva alla sua audacia.
Mai e poi mai era stata capace di abbordare un uomo, seppure per iscritto.
Aveva aspettato per venti giorni la risposta, maledicendo la volta in cui si era lasciata trascinare a fare una cosa che non le era consona.
Controllava la posta due o tre volte al giorno.
Niente.
Si sentiva una vera sciocca.
Inaspettatamente, quando anche l’ultima flebile speranza si era dissolta, lui le aveva risposto.
Nello stesso modo, con un biglietto d’altri tempi, scusandosi perché aveva tardato, non avendo ancora le chiavi della cassetta postale del nuovo appartamento.
Lesse d’un fiato quelle parole così compite, ammirò la scrittura rotonda e chiara.
Alla fine il suo cuore fece le capriole.
In fondo c’era il numero di cellulare. Per ogni evenienza.
Che fare? Un vero dilemma.
Rispondere subito l’avrebbe fatta apparire ansiosa.
Aspettare troppo, disinteressata.
Alla fine, dopo un colloquio con Giulio e un consulto telefonico con Sara e perfino col marito di Sara, visto che in questo caso i pareri maschili erano basilari, le dita erano partite quasi suo malgrado.
Gli aveva mandato un messaggio, ringraziandolo per le sue belle parole e dicendogli con noncuranza che una volta o l’altra avrebbe fatto volentieri due chiacchiere con lui.
Marco aveva risposto immediatamente.
Valentina stette un bel po’ con in cellulare in mano, come una statua di sale.
Incapace di aprire il messaggio e leggere.
Alla fine si costrinse a farlo.
Santo cielo.
Voleva salire a trovarla la sera stessa .
Panico totale.
Cercò di ragionare lucidamente.
Non era bene.
Prima di tutto c’era Samantha, e mai nessun uomo che non fosse Giulio aveva messo piede in casa nei sei anni trascorsi.
Motivo più terreno, ma non meno importante: si sentiva inadeguata.
Si guardò allo specchio.
I capelli le parvero inguardabili.
Valentina era come Sansone.
La chioma era la sua forza.
E quella sera era un vero, totale, assoluto disastro.
Cercò di tirarsi su pensando che in fin dei conti era stanca, dopo un’interminabile giornata di lavoro, spesa e compiti con Sam.
In sovrappiù il suo armadio, una volta rovistato con cura e sparso il contenuto sul letto, le sembrò, d’un tratto, pieno di vestiti assurdi.
Il tempo scorreva veloce e bisognava decidere.
Anche questa volta rispondere subito era sbagliato … ma neanche metterci un secolo era una buona idea.
Alla fine decise.
Meglio rimandare l’appuntamento richiesto, con eleganza e charme.
In un primo momento, a essere sincera, la paura l’aveva presa dentro come una morsa, al solo pensiero di avere un approccio, anche in futuro, con un essere del sesso opposto.
Non era più abituata, non sapeva come gestire una situazione per lei assolutamente nuova e inconsueta.
Poi, però, come una forza strana le aveva detto: questa volta c’è qualcosa di particolare.
Nell’uomo e nella situazione.
La sensazione di panico si era dissolta.
Il suo viso si era aperto al sorriso.
Un sorriso denso di gioie future.
Cogli l’attimo.
Come diceva il suo adorato nonno.
Intensamente.
E così, l’adolescente che c’era sempre in lei aveva prepotentemente preso il sopravvento e Val aveva deciso, d’un botto, di buttarsi.
Come da un precipizio.
Senza pensare.
Come al solito.
Gli aveva risposto, infine, che quella sera, purtroppo e suo malgrado, era immersa nei compiti con la sua bambina.
Aggiunse, leggera, che comunque l’avrebbe visto volentieri, magari a pranzo, uno dei sabati durante i quali Sam andava dal padre.
Tutto, poi pensò, era andato in fretta, in un crescendo rossiniano.
Troppo.
Il sabato fatidico, deciso insieme via messaggio, arrivò in un lampo.
Valentina, dopo essersi struccata e ritruccata per una decina di volte almeno, dopo aver provato tutti i vestiti, anche fuori stagione, che possedeva, per poi mettersi quello che aveva tirato fuori per primo, si era decisa a uscire di casa.
Era una fredda, ma soleggiata giornata d’inverno.
Di quelle che lei adorava.
Tutto le sembrava diverso, la gente, i rumori, il cicaleccio dei bambini e le vetrine variopinte, addobbate per il Natale ormai vicino.
Dopo il primo fugace momento di imbarazzo, lei, miracolosamente, si era sciolta.
Avevano dapprima chiacchierato piacevolmente davanti a un aperitivo, e poi erano andati al ristorante.
Un posto tranquillo, luci soffuse e atmosfera calda.
Non ricordava assolutamente che cosa avessero mangiato.
Rivide soltanto i caldi occhi scuri che la scrutavano dentro, soggiogandola.
Avevano parlato prima di argomenti futili.
Cauti e prudenti entrambi.
Poi il discorso era diventato più intimo e personale.
Lei gli aveva parlato di Alessandro, del suo dolore, della sua solitudine, e di quanta gioia però Samantha portasse nella sua vita.
Le parole scorrevano facili dalle sue labbra e man mano che passava il tempo, prese coraggio.
Lui la ascoltava attento, guardandola con evidente, tangibile, ammirazione.
Marco, da parte sua, le aveva raccontato, invece, della terribile delusione che aveva appena subito.
Della donna crudele e prevaricatrice che l’aveva abbandonato dopo due anni d’amore, e le aveva detto che la sua anima era ferita.
E dolorante.
Le disse di essere stato profondamente innamorato di quella persona, di avere sofferto immensamente per quel suo modo di trattarlo, e le disse pure che per lui la storia non era ancora del tutto dimenticata.
Valentina era dolce di carattere.
Aveva ascoltato la voce profonda di lui, maschia e nello stesso tempo pacata, raccontare nei minimi particolari questa sua triste storia.
Lui si era dipinto come l’ultimo dei romantici cavalieri.
Le aveva raccontato i soprusi subiti da quella donna arida, dicendole che lui in amore dava tutto e si dedicava, se preso nell’anima, in modo totale alla donna amata.
Lo sguardo di Valentina si era fatto carezzevole, guardandolo, ma nonostante tutto, lei, che l’abbandono l’aveva subito, non era stata però capace di abdicare senz’altro alle sue difese emotive.
E inconsapevolmente aveva dato inizio a quella serie di atteggiamenti che l’avrebbero portata alla rovina.
E questo l’aveva capito molto dopo.
Valentina non aveva finto.
Era stata vera.
Senza tattiche, perché di tattiche lei non era capace.
Gli aveva detto: esci da questo tunnel di dolore.
Gli aveva detto di essere convinta che la convivenza a due, che a lui sembrava bellissima fra due innamorati, era la tomba dell’amore.
Per Valentina il segreto dell’essere uniti era rimanere reciprocamente indipendenti.
Gli aveva detto che il suo concetto del genere maschile in quel momento era veramente negativo, e pur affascinata da questo uomo così ammaliatore, non era riuscita a mostrarsi debole e indifesa.
Non era stata capace di rendersi conto che aveva davanti un uomo impaurito e insicuro.
Un uomo che davvero aveva incontrato una donna che lo aveva devastato dentro.
Valentina, che il dolore aveva resa diffidente e circospetta, ma nonostante tutto sempre forte e determinata, non riusciva a incoraggiare lui, così triste e rassegnato.
Marco, ma questo lo aveva compreso quando ormai non serviva più, avrebbe avuto bisogno sì di avere vicino una donna comprensiva, ma, che a sua volta, si mostrasse bisognosa di protezione, in modo da farlo sentire ancora capace di essere uomo.
Una donna che lo facesse sentire forte e dominatore, nonostante la sua dolorosa esperienza dal tragico epilogo.
Avrebbe dovuto dirgli che era conscia e partecipe del suo dolore, che lo comprendeva e capiva.
Invece si mostrò sì consolatrice, ma nell’unico modo che conosceva.
Mostrando la sua determinazione.
La sua capacità inflessibile di superare le difficoltà.
E questo gli disse di fare.
Di reagire e ricominciare a vivere.
Una volta tornati nelle rispettive case, lui, affascinato comunque dalla personalità complessa di Valentina, le aveva mandato un messaggio pieno di complimenti.
Ed ancora una volta lei aveva agito d’impulso.
Non lo aveva fatto aspettare e soffrire un po’ per l’attesa.
Come avrebbe dovuto.
Gli aveva risposto subito.
E gli aveva detto che grazie a lui stava cambiando idea sugli uomini.
Scoprendo le sue carte.
Era uno strano miscuglio di sensazioni contrastanti, pensò di se stessa, mentre i ricordi si accavallavano e la storia si dipanava nella sua mente.
Forte e dura come l’acciaio per certi versi, ma un vero concentrato di contraddizioni e poca lungimiranza, se presa dalla passione.
Seguì il primo segnale d’allarme, che Valentina avrebbe dovuto interpretare.
Non si faceva vivo.
E lei lo cercò. Sbagliando.
Cercò di farlo in modo leggero, naturale, ma la voglia spasmodica di vederlo traspariva da tutti i pori della sua pelle.
Lui le disse di sì. E lei si convinse di aver fatto la cosa giusta.
Si incontrarono in un bar, in un pomeriggio piovoso.
Tutto sembrava naturale, ma ora, troppo tardi, si capiva, si palpava nell’aria che sarebbe stato sicuramente meglio lasciare il gioco nelle mani di lui.
Capì che il segreto per conquistare un uomo come Marco era lasciargli libero arbitrio sulle sue scelte, senza minimamente forzarlo o dargli l’impressione di essere inquieta e impaziente.
Valentina, però, era l’impazienza personificata.
Seguirono una serie di incontri.
Alcuni fortuiti, altri no.
Lui era sempre circospetto, e le sue difese emotive si manifestavano nel parlare spesso della precedente storia.
Valentina, accecata dall’istinto e dall’attrazione, sorvolava su questo particolare, non ci badava, e anche se il suo subconscio percepiva questo atteggiamento, viveva la storia attuale completamente.
Letteralmente sulle nuvole.
Come una ragazzina alla prima cotta.
Dopo un paio di settimane lo aveva invitato a cena.
Aveva passato tutto il pomeriggio a sistemare la casa, redarguendo Briciola e Chicca che si rincorrevano felici, creando un sacco di confusione.
Ora ogni cosa era al suo posto.
Il divano, di un caldo color arancio, colore che lei adorava e dominava la sua casa, era sprimacciato a dovere.
Un mazzo di fiori era nel vaso di cristallo.
La tavola era apparecchiata con cura, una tovaglia di fiandra bianca dava luce alla cucina, e i piatti di cotto fiorentino, acquistati per l’occasione, facevano un piacevole contrasto con i bicchieri lucenti.
Non era nelle sue corde fare la donna di casa.
Ma questa volta era diverso.
Nel forno stava cuocendo la sua specialità, la paella alla valenciana, e la musica era suadente e leggera.
Marco si era presentato in perfetto orario, con una bottiglia di buon vino e una scatola di cioccolatini.
Erano consci entrambi che quella era la prima volta che si trovavano davvero soli.
Le candele profumate rendevano l’ambiente particolare, e dopo che lui ebbe molto lodato la cuoca – che bello riprendere a cucinare con amore – i loro occhi si erano incontrati.
La scintilla era scoccata.
Mentre stavano parlando, vicini vicini, lui l’aveva guardata con una dolcezza infinita e si era chinato verso di lei.
Un bacio, come un ala di farfalla e profondo insieme, li aveva uniti.
Dopo il primo momento di delizia, il senso che le pervase l’anima era quello della paura.
La passione, che sempre aveva guidato le sue azioni, era stranamente tenuta a bada da un terrore profondo.
Ancestrale, primordiale, che la prendeva alla gola.
Forse non era altro che il suo istinto di sopravvivenza, quella profonda guida interiore che tante volta l’aveva fermata dal fare errori marchiani nella sua via, in qualsiasi campo, amoroso, lavorativo o pratico che fosse.
Dopotutto, nella sua esistenza, dominava da tempo la paura di sbagliare, di soffrire, di ripetere i vecchi errori che tanto l’avevano fatta stare male, come la poca capacità di aspettare che gli eventi maturassero da soli, per esempio.
E qualcosa le diceva che sarebbe successo di nuovo.
Fece finta di non sentire la vocina che parlava in lei.
In quel momento era totalmente presa dalla situazione.
La cosa che sentiva, troppo tardi, di dover fare, era di cercare il coraggio di vivere la vita, di cogliere l’attimo.
Senza scappare.
E così fece.
Ricambiò il bacio con passione.
Fu una serata magica e perfetta.
Il suo cuore però non era preparato.
Non ancora.
Il dolore non era scomparso, le difese emotive non erano forti quanto bastava, e non era pronta a soffrire.
Assolutamente.
L’altalena emotiva su cui Marco la trasportò in seguito, le avrebbe sconquassato la vita.
A volte, dolce e romantico, si presentava alla sua porta sorprendendola con una rosa, o le scriveva parole bellissime, mentre in altri momenti bui le sue reazioni erano incomprensibili e preoccupanti.
Come quella volta.
Dopo una giornata incantevole, di chiacchiere, di amore e di dolcezza, insomma di passione pura, lei gli aveva messo un sacchetto di Smarties sulla porta, scrivendoci sopra “con te si vede la vita a colori” e lui le aveva risposto con un messaggio dolce sul cellulare, dicendole di aver passato un pomeriggio incantevole.
E poi aveva mancato volontariamente l’appuntamento successivo.
Lei aveva cercato di resistere, ma un dolore sordo l’aveva presa.
Benché la ragione le dicesse di non cercarlo, il giorno di San Valentino gli aveva mandato un messaggio breve, chiedendogli solo come stava.
Lui le aveva risposto dopo un bel po’, dicendole che sarebbe salito a trovarla, dopo che lei gli aveva detto di essere sola.
Una volta lì, le aveva detto che per lui era una giornata difficile, per vecchi dolorosi ricordi.
Ancora una volta il vecchio fantasma era apparso tra loro.
Sentirlo parlare ancora di lei l’aveva ferita, ma ci era passata sopra, presa dalla gioia di averlo accanto.
In fin dei conti la natura del loro rapporto non era mai stata definita, e Valentina aveva coscientemente deciso di vivere questa storia senza farsi domande,
Anche se sapeva di non esserne assolutamente capace.
Complice un bicchiere di vino, gustato sentendo un po’ di musica, lui si era piano piano rilassato.
Avevano chiacchierato, riso e scherzato fino a tarda notte.
Non l’aveva più visto né sentito per una settimana.
Poi era riapparso.
Valentina non riusciva a capacitarsi.
Come può la stessa persona essere così dolce e sensibile, come quella volta che era venuto a cena portandole la foto del suo nipotino, e dura e cinica da non risponderle neanche, facendo finta che lei non esistesse?
Una malia l’aveva presa come una droga insinuante.
Lei così orgogliosa e sì, presuntuosa, non resisteva a lungo senza cercarlo, dando alle sue azioni tutti gli alibi possibili per giustificarle.
Poi, però, la situazione era precipitata.
Marco era sparito, dopo una giornata passata insieme che rasentava la perfezione pura.
E davanti a un suo semplice messaggino sul telefonino “Sei arrabbiato?” aveva risposto che era in crisi e voleva stare solo.
E lei si trovava davanti a un maledetto bivio.
Dimenticare ed estirpare dall’anima e dal cuore questo sentimento appena nato che non sapeva e non voleva definire, o cercare con le unghie e con i denti di capire e tirarlo a sé?
Non ci voleva proprio che la sua solitudine fosse stata spezzata da quegli occhi scuri in maniera tanto potente, e che ora questi scomparissero dalla sua vita.
Le restava solo la sconcertante consapevolezza di aver sbagliato ancora una volta,
di essersi illusa, di aver aperto la sua anima una volta di troppo, senza ascoltare la sua voce interiore che le diceva di stare attenta.
Un suo terribile difetto era quello di andare a fondo delle cose, a ogni costo.
Voleva, perciò, assolutamente, chiarire la situazione.
Gli chiese un appuntamento.
Le sue illusioni si dissolsero.
Marco le aveva detto, senza guardarla negli occhi, evitando accuratamente di sfiorarla, che si era scoperto a pensare a un altra persona.
Questo l’aveva sconcertato.
Ed aveva deciso di allontanarsi.
La cosa più incredibile, per lei, era che non glielo avrebbe neanche detto, se lei non l’avesse sollecitato.
Alla fine se ne era andato, lasciandola sola e disperata.
L’angoscia era tanta, che aveva deciso di scrivergli una lettera.
Le parole si erano susseguite nitide sulla carta, come da sole, e il suo cuore ferito si era scoperto, sicura che per farlo tornare non sarebbe servito a niente, ma almeno sarebbe stato catartico.
Seguiva le sue sensazioni senza ragionare.
Ne era conscia.
Era vera.
Aveva controllato la bussola della posta e il cellulare milioni di volte … ma nessuna risposta era arrivata.
Il suo grande sogno di un pizzico di felicità si era infranto miseramente.
Le sensazioni meravigliose che aveva provato si erano dissolte.
L’unica soluzione che le restava era estirparle dal cuore, come se non fossero mai accadute.
I ricordi, secondo Valentina, non servivano a nulla.
Solo a dare malinconia.
La risposta, infine, quando ormai non ci sperava più, era arrivata.
Sofferta, si vedeva.
Lasciava spazio a mille interrogativi.
Non chiudeva le porte e nemmeno le lasciava aperte.
Lui si dipingeva come confuso, inquieto e ancora dolorante.
Diceva che questa nuova persona, di cui le aveva parlato, non aveva legami con lui.
Diceva di non essere in grado di avere legami.
Con nessuno.
“Sono in crisi, non riesco ad affezionarmi, sono pieno di veleno …”
Alla fine nominava un ipotetico caffè insieme.
Che sicuramente non sarebbe mai arrivato.
A Valentina sembrava impossibile.
Un senso di profonda irrealtà prese la sua anima.
Fra loro il rapporto non era mai stato né verbalizzato, né codificato.
Lei si era totalmente abbandonata alle sue sensazioni.
Un altro suo terribile difetto.
Nei sentimenti non aveva freno. Si abbandonava alla passione.
Senza difese.
Dentro di sé, nonostante fosse mamma, non era mai cresciuta.
Dentro le era rimasta sempre l’inquietudine emotiva degli adolescenti.
Non era ancora innamorata di Marco.
Era stata però travolta da questo vortice avvolgente di sensazioni perché questo la faceva sentire meravigliosamente viva.
In questo frangente, la sua parte di pura passione si rifiutava tassativamente di credere a questa realtà.
Non era possibile.
Il trasporto che aveva letto nello sguardo di Marco le era sembrato potente e travolgente.
Non riusciva a credere a un voltafaccia così crudele, scoperto per caso.
Valentina era da questo punto di vista, ma non se ne rendeva conto, molto ingenua.
Non aveva la disinvoltura della donna abituata a gestire le relazioni, e soprattutto non sapeva assolutamente fingere, e in questo caso non riusciva a ubbidire alla sacra legge: in amore vince chi fugge.
Non poteva essersi sbagliata su quello che aveva sentito, su quello che Marco provava quando la guardava con i suoi occhi scuri.
Le sembrava impossibile che l’abisso di solitudine, dal quale era riemersa, l’avesse di nuovo circondata come un manto scuro e opprimente.
Le sembrava impossibile passare dalla gioia più cristallina alla disperazione più nera.
I giorni erano rotolati fra le sue mani come i granelli di sabbia.
La casa era diventata una gabbia per la paura di incontrarlo sulle scale.
Si sentiva prigioniera.
Si imponeva di non affacciarsi per vedere le sue finestre.
Si imponeva di far finta che non esistesse.
Solo la risata cristallina di Samantha, i suoi abbracci improvvisi, lenivano il dolore.
La bimba, che sapeva che la mamma aveva questo nuovo amico con cui talvolta usciva, aveva capito che qualcosa non andava e faceva del suo meglio per aiutare questa sua mamma pazzerella che amava sopra ogni altra cosa..
Un giorno si arrivò al dunque.
Lei aveva comunque continuato a sperare .
Contro la realtà.
Tutto però si era dissolto nello spazio di un istante.
Tutte le sue inconsce speranze si erano frantumate come quando uno specchio va in mille pezzi.
L’aveva visto, ma non da solo.
Con lei.
Mano nella mano si guardavano negli occhi.
Lei era l’antitesi di Valentina, si vedeva.
Un tipetto vivace, grazioso che lo guardava come se lui fosse un dio.
Ecco.
Di questo Valentina non era stata capace: dolce con lui, appassionata e gentile, ma il suo carattere forte e indipendente saltava fuori a ogni passo.
Come la volta che lui era in cattive acque con il lavoro e lei si era offerta di pagare la cena, del tutto in buona fede.
Lui aveva accettato, ma i suoi occhi erano diventati cupi.
E a quello si susseguirono tanti altri incontri in cui Valentina fingeva, cosa per lei difficilissima.
Li salutava leggera, come se niente fosse.
La ragazza viveva con lui, e dalle finestre salivano le loro risate e le loro conversazioni spigliate, tanto che spesso aveva pensato che lui, per qualche strana ragione solo a lui nota, lo facesse in modo premeditato.
E questo sospetto venne confermato dal fatto che, un giorno, lei e Samantha lo incontrarono in giro e, mentre le incrociava, lui fece in modo di baciare appassionatamente la sua ragazza.
Il cuore sembrava un macigno nel petto.
Ma aveva già provato questa sensazione.
Le era sembrato che il mondo le cadesse addosso, quando era finito il suo matrimonio dopo tanti anni.
Una cosa le restava sempre intatta.
Nessuno la poteva cancellare.
Guardando gli occhi cerulei della sua bambina sapeva che anche questa volta, forse con più fatica, ma si sarebbe rialzata.
Per lei soltanto.
Valentina si addormentò, finalmente.
Abbracciata al cuscino come una bimba.
La mattina dopo, ancora intorbidita dal sonno, venne bruscamente svegliata dallo squillo del telefono sul comodino.
Ancora intontita, sentì la signora della reception dell’albergo che le diceva che nella hall c’era un signore che l’aspettava.
“Me lo passi” disse, chiedendosi chi potesse essere, visto che lì non conoscevano nessuno e nessuno le aveva detto che sarebbe venuto a trovarla.
Sentì nel telefono la voce inconfondibile di Giulio.
La mattina che le aveva telefonato per salutarla e aveva capito, solo dal tono della voce , che era successo qualcosa, probabilmente con Marco, era piombato di corsa fuori dall’ufficio di lei, e l’aveva trascinata a pranzo.
L’aveva invitata al ristorante cinese, dove, dopo aver diviso il riso alla cantonese e gli involtini primavera, si erano divertiti a leggere le frasi dei biscotti della fortuna.
Piano piano lei si era rilassata.
Si era fatto raccontare quanto accaduto e mentre la voce bassa e triste di Valentina riassumeva la storia, Giulio aveva tentato ogni cosa in suo potere per consolarla.
Le aveva detto di capire il suo dolore, aveva asciugato le sue lacrime che alla fine, per fortuna, erano spuntate, aveva accarezzato i suoi capelli del color dell’oro e l’aveva convinta che non tutto era perduto.
Che c’era sempre una speranza.
Per tutti.
E che lei doveva assolutamente tirarsi su, per se stessa e la sua bambina.
Valentina, dopo essersi sfogata, aveva chiamato l’ufficio dicendo che si prendeva un pomeriggio di ferie, e in attesa che Sam uscisse da scuola, avevano gironzolato insieme per la città, senza meta, dando fondo alla carta di credito.
Giulio era l’unico uomo a lei conosciuto che non si stufasse ad andare per negozi.
Dopo questo pomeriggio così tranquillo, ne era conscia, stava meglio.
Decisamente.
E ora, Giulio, che ci faceva lì? Pensò, tornando bruscamente alla realtà.
La voce di lui, forte e chiassosa riempì la cornetta.
“Val, come state?? Passavo da queste parti e ho pensato di venire a trovarvi. Vestiti e preparati con assoluta calma. Quando sarai pronta, e bella come il sole, scendi, così io te e Sam facciamo colazione insieme.”
Valentina, abituata ai suoi affettuosi colpi di testa, non ci fece caso.
Pensò che magari aveva qualche albergo da visitare.
Faceva uno strano lavoro, Giulio.
Controllava la qualità degli alberghi per i grandi tour operator.
Un mestiere vario, singolare e stimolante, che lei, impiegata in un’assicurazione, gli aveva sempre invidiato.
Poi, però, rammentò che il quel periodo lui le aveva detto di essere in ferie per due o tre giorni.
Come mai era capitato lì?
Smise di pensarci con una scrollata di spalle e si preparò con cura,
Indossò sul costume un pareo colorato, e sistemò i capelli ribelli in un’acconciatura sbarazzina.
Il trucco non era necessario: la pelle era ormai ambrata.
Bastava solo una punta di mascara sulle ciglia lunghe e folte e un’ombra di rossetto sulle labbra, al quale Val non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Sostituì le solite infradito, che usava per andare in spiaggia, con un paio di zoccoli dal tacco alto, che la slanciavano.
Un goccio di profumo ed era pronta.
Aveva voglia di apparire molto femminile, quella mattina.
Aspettò con pazienza che Sam si preparasse.
Tanto Giulio non brontolava mai.
Era abituato alla loro mania di farsi belle.
Una volta scese, la bimba volò nelle braccia di lui, che adorava.
E lui l’abbracciò, mettendole in mano un peluche delizioso, una piccola scimmietta dalla faccia buffa.
Poi baciò Valentina sulle guancie.
Sornione e scherzoso.
Era diverso.
I vestiti classici ed eleganti, che di solito indossava, avevano lasciato il posto a un paio di jeans sdruciti che rivelavano l’armoniosità della sua figura, come non mai.
Non si era mai accorta di quanto fosse snello e muscoloso insieme.
Indossava una maglietta nera. Semplicissima. E rivelatrice.
Gli occhiali erano spariti, e gli occhi, Val non lo aveva mai notato o non ci aveva mai badato, erano di un verde smeraldo, ombreggiati dalle ciglia scure.
I capelli neri, ricci e ribelli, non erano imbrigliati dal gel come al solito e cadevano disordinati.
Profumava di buono.
Ma che le stava succedendo? Era solo Giulio.
Il solito Giulio.
Le mani di lui le cingevano le spalle con un atto quasi protettivo, e le parlava chiassoso
e ridente.
Entusiasta come sempre.
A Samantha, estasiata dalla sua nuova amica pelosa, si avvicinò un ragazzino di un anno più grande, tutto zazzera, che le rivolse un goffo “che bella scimmia!”.
Seguirono un paio di battute, tre, quattro e i due si fiondarono nell’altra stanza per vedere i cartoni animati.
Per la prima volta Sam non chiese il permesso a sua mamma.
Le fece appena ciao con la mano.
Valentina sorrise, ma si scoprì presa da una strana emozione.
I suoi studi sulle reazioni non verbali le vennero in mente.
Quando un uomo è attratto da una donna, le sue pupille si dilatano.
E quelle di Giulio lo erano. Un sacco.
Lo frequentava da tanto di quel tempo che non si ricordava neanche da quando, e non l’aveva mai considerato altro che il suo migliore amico.
Lo aveva consolato quando erano finiti i suoi rari e fuggevoli amori, che non si erano mai concretizzati in niente di serio e duraturo.
E lui l’aveva sempre ricambiata con la stessa sollecitudine.
E adesso era lì … che la guardava.
Sorse uno strano imbarazzo, e mentre si chinavano contemporaneamente per raccogliere le chiavi che le erano sfuggite di mano, gli sguardi si incontrarono.
In modo diverso.
Nuovo.
E quasi quasi, rialzandosi, le loro labbra si erano sfiorate.
Le mani di Valentina erano sudate.
Ed il cuore prese a fare strane capriole.
Ed in quel preciso istante … le venne in mente un vecchio mitico film che tanto aveva affascinato la sua infanzia.
Rammentò di colpo.
Rivide Rossella O’Hara, dagli occhi di smeraldo e i capelli corvini, che indossava un vestito fatto con le tende della sua casa, l’eroina di una delle più grandi storie d’amore di tutti i tempi, che aveva subito la più grossa delusione della storia del cinema quando Rhett, dagli occhi di fuoco e i baffi maliziosi, se ne era andato sbattendo la porta di Tara.
E capì in un botto di essere simile, di pensarla come lei.
Con la determinazione del suo essere donna.
L’aria era frizzante. Il mare era quasi troppo azzurro.
Lei era lì, insieme alla sua bambina splendidamente viva.
E insieme a loro c’era questa persona.
Così particolare e importante.
Che nella sua vita c’era stata.
In qualsiasi circostanza, bella o brutta che fosse.
Senza mancare a nessun appuntamento. Mai.
Questa persona che l’accettava per quello che era, con le sue debolezza, con le sue insicurezze di adolescente inquieta.
Senza criticarla, senza avere paura della sua forza.
Aveva riso con lei. Pianto con lei. Si era arrabbiato con lei.
Ma aveva anche fatto pace con lei.
Avevano scelto insieme i vestiti e le scarpe per le grandi occasioni, e mangiato insieme lo zucchero filato alla fiera, ridendo come ragazzini.
Avevano riso vedendo L’era glaciale con Sam, e pianto vedendo Titanic da soli.
L’aveva accompagnata dal veterinario, in piena notte, quando Briciola era stata male.
Senza quasi che lei se ne accorgesse, era stato parte di tutta la sua storia.
Appunto: «Domani è un altro giorno.»
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Peccato che solo nel finale emerge la vera e bella storia d’amore che Valentina cercava nelle persone sbagliate: “penso proprio che Giulio si meritasse di più di una semplice amicizia”. il racconto descrive bene l’amore che ferisce e l’amore che guarisce. Brava complimenti!