Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Vivo nei tuoi occhi” di Leonardo Squeo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Sono passati tanti anni ormai, ma ogni volta che ci penso, mi sembra di compiere un salto indietro nel tempo, fino a quando ero un ragazzino. Quasi tutti i meriggi, dopo aver terminato i miei compiti, me ne inventavo una per correre dai miei nonni materni. Abitavano in centro, in un bilocale a piano terra, uno di quelli con una porta d’ingresso a due ante, in legno grigio, sbiadito per il tempo, ognuna con una lastra in vetro per consentire il passaggio dei raggi del sole. Davanti alla vetrina, per evitare sguardi indiscreti, mia nonna usava legarci delle piccole tende, da lei lavorate a uncinetto. Mio nonno era lì, nascosto dietro una di quelle tende, seduto sulla sua sedia a rotelle. Lo ricordo da sempre su quella che ormai per tutti era Bianchina, perché lui la chiamava così, affettuosamente, per via del colore delle sue ruote.

 Era lì, ricurvo, così piccolo che sembrava un batuffolo… e lo sguardo, vivace come quello di un bambino, sempre diretto verso la strada, attento ai passanti, ai ragazzi che giocavano, alle donne dirimpettaie che stendevano i panni al sole.

Mi tiravo su in punta di piedi e con fatica mi appoggiavo alla maniglia della porta che si apriva col peso del mio corpo.

“Mio caro nonno! I tuoi occhi si illuminavano, le tue mani tremolanti afferravano il mio viso, attirandolo a te e, stringendo le mie paffute guance, riuscivi a raggiungere la mia fronte, a regalarmi il tuo bacio.

Mi fermavo lì, ansioso di raccontarti la mia giornata, dei miei compagni di scuola, della mia maestra, del mio pranzo. I miei racconti si intingevano di mille particolari e di tante sfumature, invitati dalla curiosità delle tue domande, forse banali”.

 Non riuscivo a capire il loro senso, il perché di cotanta minuzia, ma non ci pensavo nemmeno. Lo rendevano felice tanto che spesso gli riusciva, anche molto facilmente, di convincermi a ripetere i miei racconti che io, preso da tutta questa attenzione, rendevo un po’ più divertenti, inventandomi nuove trame.

 In uno di questi spassosi meriggi, prima che incominciassi la mia narrazione del giorno, con la mano su una ruota, ebbi a dirgli: “Nonno… ti pesa?”. Non riuscii a pronunciare altro, a chiedergli quello che avrei voluto, per conoscere se, al di là dei suoi sorrisi, riuscisse a sopportare quella sua vita sulla sedia. Era per me un tormento: riuscire a chiederglielo senza ferirlo.

“Mio caro nonno! Col tuo fare mite e tranquillo, ho ricevuto da te una di quelle lezioni che non si dimenticano.

Hai allungato le tue mani verso le mie, tirandomi a te, dicendomi: «Oggi, racconto io una storia a te».

Mi avvicinai, piegando le mie ginocchia, i miei gomiti sulle tue gambe e la faccia tra le mani. Ascoltavo le tue parole, allargando gli occhi, incuriosito. A ogni parola, un pezzo si aggiungeva al puzzle del tuo racconto, alimentando la mia fantasia”.

Il nonno cominciò.

“Devi sapere che qui in paese vivevano due fratelli, pastori. Due giovanotti. Il più piccolo dei due aveva sempre espresso il desiderio di viaggiare per il mondo. Voleva incontrare nuove persone, visitare nuovi posti, conoscere altri cibi, imparare le lingue. Era così grande questo desiderio che ogni giorno, ai pascoli, ripeteva a suo fratello che prima o poi avrebbe fatto il suo fagotto e sarebbe andato via, lontano da questo paese senza speranza.

Il fratello maggiore era invece più tranquillo, non aveva grilli per la testa, sentiva la responsabilità del compito che era stato loro affidato, per essere gli unici maschi in famiglia: una bella famiglia numerosa. Non poteva pensare a queste scemenze. Avrebbe voluto, ma come fare? Chi avrebbe fatto il lavoro al suo posto?

Lasciava che suo fratello si lamentasse, ogni giorno, senza sembrare di dare peso alle sue parole. Aveva imparato a memoria ciò che l’altro gli ripeteva. Così per mesi.

Un giorno, non potendone più o forse perché pensava che suo fratello fosse ormai cresciuto, lo invitò ad andare, a prendere le sue poche cose e a vivere finalmente quella avventura che tanto sognava. Si sarebbe preoccupato lui di tutto, delle pecore, della stalla, dei lavori di casa. Lo rassicurò che se la sarebbe cavata anche da solo: poteva ritenersi in mani sicure.

Il ragazzo, davanti a questa inaspettata esortazione, dapprima rimase fermo a guardarlo… poi, voltandosi, corse verso casa.

A sera, quando il maggiore fece ritorno dal pascolo, fu ben contento di vedere che suo fratello non fosse più a casa. Aveva finalmente spiccato il volo.

I due fratelli non si videro né sentirono per alcuni anni, non una lettera, nessun contatto, finché il giovane sognatore fu di ritorno. Era diventato un uomo, molto diverso dal pastore di un tempo. Indossava abiti eleganti e scarpe costose. I suoi capelli erano morbidi e vellutati; le mani curate e profumate, i suoi occhi lucenti ed appagati. Parlava anche in modo diverso. La sua voce più composta, senza mai urlare. Di tanto in tanto usava dei termini che prima non gli avevano mai sentito pronunciare, tant’è che sembrava non lo capissero. Un’altra persona.

I due fratelli si strinsero a lungo, in silenzio. Poi, il pastore esortò suo fratello a raccontare tutte le sue avventure, a descrivere i posti in cui era stato, cosa avesse visto e sentito. Restarono per ore tra i pascoli, l’uno a raccontare e l’altro a fantasticare; ma mentre il primo raccontava, l’altro era sempre più curioso. Finché, un po’ deluso, il pastore interruppe il racconto.

«Dici di essere stato sull’oceano, su una grande nave e con migliaia di passeggeri a bordo… allora, avrai toccato il mare salato, avrai conosciuto tantissime persone e ascoltato le loro storie!

Dici di aver volato per ore, su un grande aereo, così vicino alla cabina di guida da sembrare di esserne il pilota… allora, ti sarai immerso nel candore delle nuvole, avrai sentito il tuo corpo schiacciarsi sul sedile e la sensazione del vuoto sotto i tuoi piedi!

Dici di aver guidato una macchina a tutta velocità con il vento tra i capelli ed una mano sola sul volante… allora, avrai sentito il profumo dei fiori di campagna, ti sarai steso sull’erba ad ammirare il cielo e i suoi colori!»

Al fratello minore d’improvviso sembrò quasi che non si fosse mai mosso di lì, che avesse utilizzato molto male l’occasione appena colta. Certo, aveva fatto tante cose, ma meno di quelle che avrebbe potuto. Il pastore, nel suo piccolo mondo, aveva imparato a cogliere i piaceri del viaggio, un viaggio che suo fratello, con i suoi racconti, non aveva appagato del tutto.

Preso dal desiderio di recuperare il tempo perduto, il giovane viaggiatore sentì di anticipare la sua nuova partenza e questa volta provò a convincere suo fratello a seguirlo.

Non vi riuscì, anzi, ne ottenne una raccomandazione.

«Devi sapere che in questi anni io sono stato felice per te, aspettando con ansia il tuo arrivo, per ascoltare i tuoi racconti e immaginare la vita che non ho. Solo ora, attraverso le tue storie, ho assaporato il profumo dell’avventura, ho spiegato le ali del mio volo, ma se vuoi farmi davvero felice, soffermati sui dettagli, ascolta i suoni, osserva i colori, scrivi quello che fai, immergiti nel tuo viaggio. Faranno parte di te, riempiranno il tuo cuore, ti faranno davvero crescere, ti arricchiranno. Non limitarti a collezionare una serie di sterili quanto inutili foto ricordo, faticando stupidamente soltanto per dare prova del tuo viaggio. Devi viverlo, perché io possa viverlo.»“

Silenzio. Poi, il nonno riprese: “Allora, che ne dici, mi pesa?”.

Mio caro nonno! Dopo tanti lustri, sono nonno anch’io e torno a vivere tutte le volte che qualcuno ha voglia di condividere con me i suoi occhi.

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5 commenti »

  1. Un bel racconto su ciò che veramente conto nella vita. Valori a cui sembra che oggi non ci si identifichi più. Bello anche il senso che si dà al “viaggio” e a ciò che si deve dar conto.

  2. Grazie per il tuo commento Stefania, perchè lusinghiero ma soprattutto perchè frutto di una riflessione: quel che per me conta di più!

  3. Mi farebbe piacere se leggessi e commentassi anche il mio racconto: un modo come un altro per confrontarsi.

  4. Un invito a non fermarsi alla superficie, per andare oltre l’apparenza delle cose!

  5. Bello! Lo stile è asciutto e privo di fronzoli narrativi. Il racconto è toccante: mi riporta alla mia infanzia, quando anch’io andavo a trovare i miei nonni, quasi ogni sera, non per raccontare di me ma per ascoltare le storie della loro vita.

    I nonni – e, più in generale, gli anziani – sono un bene insostituibile, un pezzo di storia, un tesoro purtroppo apprezzato da pochi al giorno d’oggi. In età giovanile, quando si è presi e distratti da tante cose che la vita ci prospetta, c’è la tendenza a trascurare – o, addirittura, rinnegare – le proprie origini, le radici che ci hanno generati… Crescendo si guarda al passato con più consapevolezza; si vorrebbe aver dato più attenzione a persone che non ci sono più, aver detto un “Ti voglio bene” o dato una carezza a queste persone… La matassa del tempo non torna mai indietro, i rimpianti restano rimpianti e le cose non dette restano non dette; però è bello, come hai fatto tu, far rivivere questi affetti in un racconto… 🙂

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