Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2011 “Malacarne” di Chiara Girardi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Malacarne era il suo cognome. Grondava cibo e sesso. Tutta. Immensa ed ammaliante con la sua imponente bruttezza, le sue labbra sporgenti ed una circonferenza da boa d’acqua.

Malacarne.

Puzzava di pesce. Aveva il sapore del sudore, della polvere e dello stantio, della carne e del latte rancido.

Era tutto.

Ammaliava questo suo alone di potenza, di sciatta godereccia animalità.

Danzavano le mosche attorno a lei quando avanzava barcollando il suo passo.

La desideravo. Con la forza della giovinezza, con l’arditezza dell’età e l’incoscienza della vita.

Mi attirava il suo essere e non essere. Indescrivibilmente abbagliante e vischiosa, s’insinuava e s’impigliava nei miei pensieri.

Volevo vedere il suo viso godere, sentirla aprirsi per me.

Volevo frollarla sotto i miei colpi di reni, vederla oscillare, altalena su di me, posseduto dalla malia del suo sorriso slabbrato dal piacere.

Malacarne, regina dell’atavico gioco del sesso.

Volevo inondarla del mio sperma, farne la mia puttana. Immaginavo la sua bocca, altalena di denti cariati e sani ed abbondante saliva.

Era lei. Misterioso disgustoso mistero.

La pensavo di notte nel mio letto, la mattina durante le lezioni, a pranzo, a cena. Ogni momento sempre più e sempre più forte.

Stava possedendo i miei pensieri. Come un’ossessione. Dovevo possederla io.

Volevo liberarmi di lei, della sua risata grassa di vita. La invidiavo.

Invidiavo il suo procedere sicuro ed incurante della gente, il suo essere abile acrobata sulla vita. Piena di sé, eccessiva e modesta al tempo stesso, dea madre rassicurante ed avvolgente.

Volevo bere un po’ della sua vita, risucchiarla tra la sua saliva ed il suo sudore. Come uno spaghetto.

Con foga ed ardore martoriavo il mio pene al pensiero di lei, mentre ad alta voce ripetevo il suo cognome lacrime bianche uscivano da me. Malacarne.

Stavo male.

La aspettavo sotto casa per vederla, per cullarmi la mente al suono della sua voce.

La pedinavo nei suoi giri in paese dopo la scuola. Odiavo ogni persona che salutava. Ero geloso di lei, dei sorrisi che distribuiva, dell’aria che solleticava con il suo corpo appesantito.

Più guardavo il suo sorriso, più il mio scompariva, rubato da lei, dal non averla.

Buco nero di vita mi attirava come la marmellata per un bambino, come qualsiasi cosa proibita o impossibile.

Sfogo su altre la violenza a te riservata. Cattivo. Innamorato. Aspettandoti.

Mi possiedi come un demone. Mi sei entrata dentro attraverso l’aria.

Sbrigati!!! Brucio di te che folleggi con il mondo. Vieni qui!!

Ti voglio. Solo mia. Per sempre.

Non mi senti mentre parlo il mio linguaggio mentale, così diverso dalla schiettezza che conosci.

Aspirami l’aria dalle viscere, succhia i miei liquidi, bevi i miei pensieri.

Divorami, fatti divorare.

Malacarne.

Scrivevo nell’aria pensieri spezzati, fantasie di te ed incantesimi.

Mangiavo i tuoi odori ed odoravo i tuoi sogni e la tua vita.

Il desiderio di te è come un’invasione. Sfrigolo vicino a te, novello martire della tua aura.

Dalla mia finestra odo i rumori della città che si risveglia, che si affretta dietro alle futili occupazioni quotidiane. Non c’è tempo per me in quella frenesia.

Oggi io andrò da lei. Oggi sarà mia.

Tremo di emozione al pensiero. Tremo per la lunga inedia. Sento la lingua impastata. I miei occhi parleranno per me e il mio corpo, disobbediente alla mia volontà, farà quello per cui è nato.

Impacciato, mi avvicino all’appuntamento con la Vita.

Un autobus mi precede lungo il tragitto.

La vedo, da lontano. Sento il suo profumo. Apro la bocca e urlo il suo nome.

Si gira, mi sorride. Mi attende. È mia.

È distratta. L’ho distratta.

L’impatto è inevitabile.

Sparisce alla mia vista, per sempre, lasciandomi solo il ricordo del rumore delle sue ossa spezzate, sotto il peso di un tram.

Malacarne era il suo cognome. Grondava cibo e sesso. Tutta. Immensa ed ammaliante con la sua imponente bruttezza, le sue labbra sporgenti ed una circonferenza da boa d’acqua.

Malacarne.

Puzzava di pesce. Aveva il sapore del sudore, della polvere e dello stantio, della carne e del latte rancido.

Era tutto.

Ammaliava questo suo alone di potenza, di sciatta godereccia animalità.

Danzavano le mosche attorno a lei quando avanzava barcollando il suo passo.

La desideravo. Con la forza della giovinezza, con l’arditezza dell’età e l’incoscienza della vita.

Mi attirava il suo essere e non essere. Indescrivibilmente abbagliante e vischiosa, s’insinuava e s’impigliava nei miei pensieri.

Volevo vedere il suo viso godere, sentirla aprirsi per me.

Volevo frollarla sotto i miei colpi di reni, vederla oscillare, altalena su di me, posseduto dalla malia del suo sorriso slabbrato dal piacere.

Malacarne, regina dell’atavico gioco del sesso.

Volevo inondarla del mio sperma, farne la mia puttana. Immaginavo la sua bocca, altalena di denti cariati e sani ed abbondante saliva.

Era lei. Misterioso disgustoso mistero.

La pensavo di notte nel mio letto, la mattina durante le lezioni, a pranzo, a cena. Ogni momento sempre più e sempre più forte.

Stava possedendo i miei pensieri. Come un’ossessione. Dovevo possederla io.

Volevo liberarmi di lei, della sua risata grassa di vita. La invidiavo.

Invidiavo il suo procedere sicuro ed incurante della gente, il suo essere abile acrobata sulla vita. Piena di sé, eccessiva e modesta al tempo stesso, dea madre rassicurante ed avvolgente.

Volevo bere un po’ della sua vita, risucchiarla tra la sua saliva ed il suo sudore. Come uno spaghetto.

Con foga ed ardore martoriavo il mio pene al pensiero di lei, mentre ad alta voce ripetevo il suo cognome lacrime bianche uscivano da me. Malacarne.

Stavo male.

La aspettavo sotto casa per vederla, per cullarmi la mente al suono della sua voce.

La pedinavo nei suoi giri in paese dopo la scuola. Odiavo ogni persona che salutava. Ero geloso di lei, dei sorrisi che distribuiva, dell’aria che solleticava con il suo corpo appesantito.

Più guardavo il suo sorriso, più il mio scompariva, rubato da lei, dal non averla.

Buco nero di vita mi attirava come la marmellata per un bambino, come qualsiasi cosa proibita o impossibile.

Sfogo su altre la violenza a te riservata. Cattivo. Innamorato. Aspettandoti.

Mi possiedi come un demone. Mi sei entrata dentro attraverso l’aria.

Sbrigati!!! Brucio di te che folleggi con il mondo. Vieni qui!!

Ti voglio. Solo mia. Per sempre.

Non mi senti mentre parlo il mio linguaggio mentale, così diverso dalla schiettezza che conosci.

Aspirami l’aria dalle viscere, succhia i miei liquidi, bevi i miei pensieri.

Divorami, fatti divorare.

Malacarne.

Scrivevo nell’aria pensieri spezzati, fantasie di te ed incantesimi.

Mangiavo i tuoi odori ed odoravo i tuoi sogni e la tua vita.

Il desiderio di te è come un’invasione. Sfrigolo vicino a te, novello martire della tua aura.

Dalla mia finestra odo i rumori della città che si risveglia, che si affretta dietro alle futili occupazioni quotidiane. Non c’è tempo per me in quella frenesia.

Oggi io andrò da lei. Oggi sarà mia.

Tremo di emozione al pensiero. Tremo per la lunga inedia. Sento la lingua impastata. I miei occhi parleranno per me e il mio corpo, disobbediente alla mia volontà, farà quello per cui è nato.

Impacciato, mi avvicino all’appuntamento con la Vita.

Un autobus mi precede lungo il tragitto.

La vedo, da lontano. Sento il suo profumo. Apro la bocca e urlo il suo nome.

Si gira, mi sorride. Mi attende. È mia.

È distratta. L’ho distratta.

L’impatto è inevitabile.

Sparisce alla mia vista, per sempre, lasciandomi solo il ricordo del rumore delle sue ossa spezzate, sotto il peso di un tram.

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