Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Raccoti nella Rete 2011 “Ho perso un treno” di Antonio Greco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Ho perso un treno. Non importa quale. Importa solo che è il primo treno perso in vita mia.

A esser sinceri ne avevo già perso un altro, ma non era un treno importante. Dovevo andare alla festa di laurea di un amico, non era un impegno urgente; e poi alle feste più tardi si va e meglio è. Ho dovuto aspettare trenta minuti in stazione per prendere il treno successivo che mi portasse a destinazione. Quindi il danno è stato lieve, o del tutto assente. L’unica conseguenza è stata dover avvertire chi mi veniva a prendere all’arrivo che avrei ritardato di mezzora. O poco più.

Per tale ragione non ho mai considerato quel treno un treno perso.

Questo invece sì, questo era un treno importante. E l’ho perso.

Ho perso il primo treno importante della mia vita!

Il perché fosse importante è un dettaglio trascurabile. Quello che è importante per me può non esserlo per qualcun altro.

Ho preso molti treni importanti nella mia vita. E molti aerei. E c’è stato anche qualche pullman importante.

Quello che ha caratterizzato tutti questi viaggi importanti è che non sono mai arrivato alla stazione o alla chiusura del check in con più di cinque minuti di anticipo. Mai. Neanche una volta. Neppure per sbaglio.

Anche qui devo fare una piccola rettifica. Mi riferisco ai viaggi fatti da solo. In quelli in compagnia, prevalentemente con le varie donne conosciute in oltre quaranta anni di vita amorosa, sono stato costretto ad arrivare con un margine di anticipo considerato sufficiente. Considerato sufficiente da loro!

A me è sempre sembrato eterno.

Non ho mai amato le attese e arrivare con un margine, per loro, sufficiente, a me è sembrato ogni volta tempo sprecato.

Semplicemente è che in questi non luoghi, durante l’attesa, ho l’impressioni che si parli del nulla.

Si parla, si dà aria alla bocca, solo per far passare il tempo: quel tempo, quell’anticipo considerato sufficiente!

Non ho mai sopportato l’espressione far passare il tempo.

Il tempo, per come lo vedo io, va utilizzato al meglio. Anche per non far niente, non è importante. Basta che ognuno decida consapevolmente cosa voglia farne del proprio tempo.

È per questo che non sono mai arrivato con più di cinque minuti di anticipo.

Cinque minuti prima è il mio margine e l’ho sempre considerato un ampio anticipo.

Da oggi non è più così.

Oggi ho perso un treno e questo evento, di per sé poco rilevante, ha innescato una serie di situazioni che mi hanno cambiato: hanno cambiato la mia vita.

Ho perso il mio primo treno importante e la mia vita non è più la stessa. Io non sono più lo stesso. A quasi sessanta anni la mia esistenza ha preso una svolta imprevista.

Le conseguenze dell’aver perso il treno, riferite all’impegno importante che avevo, non c’entrano nulla con queste mie affermazioni.

Quello che mi ha cambiato è ciò che è successo tra il treno perso, l’attendere il treno successivo e l’arrivo a destinazione con oltre quattro ore di ritardo.

Con un simile ritardo il mio impegno è saltato, ma non era una questione di vita o di morte.

Quasi nessuna questione lo è, si tende sempre a esagerare, a pensare di essere al centro del mondo. Ma non lo siamo.

Solo per questo, e non perché tutti hanno sempre trovato ridicolo il mio margine d’anticipo, ho sempre messo in conto che prima o poi avrei potuto perdere un treno o un volo, senza che questo potesse essere considerato un dramma.

Però, fino a ieri, andavo fiero di esser arrivato sempre puntuale; anche all’ultimo secondo, mentre le porte lentamente si chiudono.

E la soddisfazione che si prova in quel momento è un piacere immenso, paragonabile all’arrivo in una maratona.

Non che ne abbia mai fatta una, ma se dovessi partecipare, e prima o poi lo farò, la fatica patita e la conseguente esaltazione nel tagliare il traguardo sarebbero simili al mio oltrepassare la porta elettronica del treno che si sta chiudendo.

A volte mentre correvo per varcare quella porta (mi è successo più di una volta) immaginavo due ali di folla che mi incitavano, spingendomi avanti nell’ultimo sforzo.

Anche oggi correvo, ma l’ultimo disperato sforzo era arrivato un minuto dopo l’orario di partenza.

Non ho avuto neanche il gusto di vedere il treno partirmi davanti, come tanti film ci hanno insegnato.

Il treno era già partito, lontano un minuto da me, e io immobile scrutavo il pannello elettronico delle partenze in cerca di un qualche intervento divino.

Per la prima volta dopo anni di viaggi mi trovavo nella situazione di non saper cosa fare.

Per me stazioni e aeroporti erano semplici punti di partenze e arrivi, da A a B e da B ad A.

Ora inaspettatamente quella stazione, quel non luogo, era diventato luogo di attesa, di una solitaria e imprevista attesa.

E questo per me era un evento nuovo, a cui non avevo mai pensato, e quindi del tutto impreparato ad affrontarlo.

Mentre mi riprendevo, fisicamente e mentalmente, avevo notato vicino a me una biglietteria automatica.

Iniziando da lì forse avrei trovato le risposte ai dubbi che tenevano occupata la mia mente.

I problemi si presentarono subito dal momento che trovandomi in un paese straniero non conoscevo al meglio la lingua.

Forse la cosa più saggia sarebbe stata dirigermi subito verso la biglietteria, cercando un contatto umano: a questo pensavo mentre quella fredda macchina mi comunicava che non c’erano più biglietti disponibili per i successivi treni.

Dopo cinque minuti di inutili tentativi mi decidevo a superare la timidezza linguistica per cercare il tanto agognato contatto umano.

In biglietteria non c’era fila, e questo era già un bene.

Ad accogliermi con un sorriso c’era una splendida ragazza.

– Ho perso il treno – le dico.

E lei, – Mi mostri il biglietto.

Lo studia attentamente per poi comunicarmi che non è rimborsabile, né sostituibile.

Accolgo questa notizia come un alunno rimproverato dalla maestra, e le chiedo di trovarmi un nuovo biglietto.

Passano dieci lunghissimi minuti prima che possa avere il mio nuovo biglietto in mano, ma quei dieci minuti di attesa li ricorderò come i più piacevoli della mia vita.

Nella classifica delle attese ovviamente, non i più piacevoli in generale!

Alla mia richiesta, la ragazza inizia a digitare sulla tastiera del terminale.

Io la osservavo cercando di cogliere ogni sfumatura del suo sguardo.

Mi informa sugli orari e sui prezzi. Ovviamente scelgo quello che parte prima.

Gentilmente insiste che se scelgo quello che parte dopo spendo meno e inoltre arrivo prima a destinazione.

Non chiedetemi per quale diavolo di motivo un treno più veloce costi meno rispetto a uno più lento, ma questo è quello che la cortese ragazza mi riferiva.

Ovviamente insisto nella mia scelta: per me era fondamentale spezzare quell’attesa in stazione, e non arrivare prima e impiegarci un tempo minore.

Non sapere come comportarmi, cosa fare durante l’attesa era la cosa che più mi spaventava.

La ragazza inizia quindi a fare il biglietto. I miei occhi erano fissi sui suoi.

La bellezza della ragazza era dovuta anche alla sua espressività e non mancò molto che il suo sguardo mi indicasse che qualcosa non andava.

Mi dice che non ci sono più posti per quel treno.

Il mio immediato pensiero fu che la fredda biglietteria automatica iniziava a prendersi la propria rivincita.

– Allora, faccia il biglietto per il treno che mi consigliava lei – le rispondo abbozzando un sorriso.

La ragazza sorride e ritorna con lo sguardo sullo schermo.

– Ah, purtroppo mi sono sbagliata. Il prezzo è maggiore per questo treno – mi dice.

Lo dicevo che un treno più veloce non poteva costare meno di uno più lento!

I miei occhi sono sempre incollati ai suoi e ancora una volta il suo sguardo riusciva a gettarmi nello sconforto.

– Anche per questo non ci sono più biglietti.

La biglietteria automatica stava decisamente vincendo.

– Aspetti però, provo una soluzione alternativa.

Riesco solo a ringraziarla con un filo di voce.

Inizia una serie di espressioni che mi fanno pensare di essere sulle montagne russe. Alla fine mi chiede la nazionalità e mi dice di attendere un attimo l’arrivo di un suo collega che mi avrebbe spiegato la situazione. Un ultimo sorriso, si alza e si allontana.

Dopo i primi minuti di attesa, con lo sguardo fisso e attonito sullo sportello vuoto, girai la testa e rimasi stupito dalla fila che si era formata dietro di me.

Gli sguardi che incrociavo non erano di impazienza, ma di compassione. Chissà come doveva apparire il mio volto in quel momento.

È da lì in poi che iniziai ad avere la sensazione che il mio viaggio avrebbe avuto effetti imprevisti sulla mia futura vita.

Qualcosa in me iniziava a cambiare, avevo l’impressione che il mondo, il mio mondo, stesse girando in modo alterato. Qualcosa era accaduto e stavo subendo una metamorfosi. L’ordine delle cose era stato sovvertito e niente, avevo paura, sarebbe stato più come prima.

La sensazione si trasformò in certezza alla fine del viaggio. Arrivai a destinazione, ma non era quella che fino a poche ore prima riuscivo a immaginare.

Non ho la minima idea di quale direzione prenderà la mia vita, dove mi porterà e cosa mi farà trovare.

Posso solo adeguarmi, e andare avanti così.

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2 commenti »

  1. Come può impegnare il passare del tempo chi è non si è mai abituato ai tempi morti coi quali si devono prima o poi fare i conti nella vita? Dilemma banale? No, per chi è abituato a riempire tutti gli spazi per evitare le angosce che gli derivano dai vuoti temporali.

  2. Gentile Franco Salvatore Delrio ha colto perfettamente il senso di questa storia. La saluto e la ringrazio per il commento.

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