Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Frammento del diario pigro di Antonio G.” di Simone Raffaelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

“I tramonti sembrano tutti uguali, ma l’emozione che permettono di vivere è diversa ogni volta e meravigliosa.     

Quando il sole scompare accarezzando idealmente il limite estremo del mare, là in fondo, i colori rimangono appesi alle pareti immense del cielo, ostinati e incantevoli. E’ un incanto insieme portentoso e intimo, che riconsegna alfine la nostra quieta ebbrezza alla penombra della sera…”

 (Incipit di un librino raccolto ai piedi del faro, sul vecchio molo, una sera di due anni fa)

Cinque Novembre. 

 Anche i medici possono apparire tutti uguali.

Io ne ho conosciuti molti, nel recente passato.

Ho conosciuto oncologi.

L’ultimo in ordine di tempo è il Professor De Bernardis.  Enrico.

Ho deciso di interpellarlo solo due settimane fa, per una consultazione definitiva.

Suo figlio Mauro ha condiviso con me l’intero percorso scolastico all’Istituto Tecnico, sempre seduto al mio fianco, rigorosamente al centro dell’ultima fila di banchi.

Son passati due decenni dalla nostra sofferta “maturità”.

Io e Mauro, in quel periodo, trascorrevamo pomeriggi interi nella piccola camera disordinata che lui stesso aveva dipinto grossolanamente di azzurrino, per renderla più accogliente.

Si partiva di norma animati dalle migliori intenzioni, pronti ad immergerci tra le pagine oscure dei libri di testo con l’illusoria certezza che saremmo riusciti, in un modo o nell’altro, a venirne a capo.

Disillusi, finivamo spesso per fumare sigari e ascoltare a basso volume la musica di Ivan Graziani, che cantavamo sottovoce davanti a penne biro trasformate in microfoni.  “…..Io sono nata da una conchiglia, diceva. La mia casa è il mare e con un fiume no, non la posso cambiare…..”

Proprio Enrico ci aveva insegnato ad amare la voce intensa di questo timido poeta.

Proprio Enrico, quando era in casa, a metà pomeriggio saliva regolarmente con l’ampio vassoio d’argento su cui aveva appena adagiato quattro fette di pane e Nutella.

In un angolo, al solito, due bicchieri di latte fresco.

Già dai gradini in legno della scala, all’uopo fischiettando, ci annunciava se stesso e  l’imminente spuntino e poi, a mano aperta, picchiettava ripetutamente  sulla porta con la fede d’oro giallo.

Aspettava che fossimo noi ad aprire,  lasciandoci così il tempo per ricomporre all’interno della stanza la scena credibile di due giovani studiosi.

Proprio Enrico questa mattina mi ha fatto sedere e si è seduto a sua volta a un metro da me, sopra il piano scuro della scrivania, dopo aver spostato con delicatezza alcuni fascicoli.

Si è tolto gli occhiali e mi ha guardato in silenzio per pochi, interminabili secondi. Io l’ho fissato quasi senza respirare, mentre il battito del mio cuore – preda di una repentina accelerazione – raggiungeva in pochi attimi frequenze altissime.

Ho avvertito insieme un freddo gelido e un caldo torrido, perso tra una fiducia disperata e il terrore di chi non sa se può ancora illudersi.

Enrico ha tentato di prodursi in un sorriso rassicurante, ma invano.  E così la goffa espressione che si è disegnata sul suo volto ha solo accresciuto, in entrambi, quello strano senso di imbarazzo.

Allora è sceso dalla scrivania con un sospiro quasi impercettibile e lentamente si è piegato sulle gambe proprio di fianco alla mia sedia nera.

Quando mi ha preso le mani per stringerle forte, un rivolo di lacrime gli ha accarezzato il viso.

L’ho sentito tremare. L’ho visto tremare.  

Poi, ritrovata a stento una dignitosa compostezza, mi ha parlato con un filo di voce.

 “Antonio…..”.

Adesso il buio avvolge me, la mia stanza e la mia vita.

Intorno a questo letto grande e male illuminato che pare volermi inghiottire, riecheggiano le parole di Enrico in tutta la loro struggente dolcezza ed io, beh, non so pensare a niente.

Solo una cosa, a dire il vero, mentre scrivo con mano incerta nel ventre di un eterno dopocena, abita la desolazione dei miei pensieri.

E’ l’immagine del tramonto straordinario cui ho assistito poche ore fa, seduto sulla spiaggia tra i rami e le lattine arrugginite.

Le gambe chiuse al petto, le braccia raccolte, al  cospetto di un cielo maestoso che nessun pittore saprebbe raffigurare, nessun poeta potrà mai descrivere.

Ho visto quel cielo esplodere silenzioso con tutti i suoi colori e deflagrare in un abbraccio sospeso di giallo e di rosa, di rosso e di turchino.

Ho creduto quasi di riuscire a toccarlo, mentre lasciavo che mi invadesse gli occhi e il cuore.

Un senso di pace mi ha riempito d’un tratto. E d’infinito.

Mi è tornato in mente l’incipit di quel librino, che oramai conosco a memoria. 

E’ proprio vero, mi son detto. Tramonti come questo tolgono il fiato e regalano brividi.

Ma noi privilegiati che respiriamo salmastro e viviamo qui da sempre, a pochi metri dalla spiaggia, quante volte siamo riusciti a  regalarci la visione del sole che muore, là in fondo, dietro il limite estremo del mare? E quante invece, al contrario, abbiamo ignorato  distrattamente la meraviglia assoluta di quei colori appesi, sempre di fretta, sempre distratti da chissà poi che cosa…..   

La penombra della sera ha accolto il mio rientro verso casa.

Le mani in tasca, il passo lento, un vento leggero tra i capelli.

Nello specchio di una vetrina già piena di luce, l’immagine improvvisa del mio volto disteso.

Dentro, una quieta ebbrezza.

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4 commenti »

  1. Profondo, ben scritto. «E quante invece, al contrario, abbiamo ignorato distrattamente la meraviglia assoluta di quei colori appesi, sempre di fretta, sempre distratti da chissà poi che cosa…»: condivido.

  2. un racconto garbato e struggente, fluido nella scrittura e dalle descrizioni molto evocative. Bravo.

  3. Anche le parole di Simone, esattamente come il tramonto, tolgono il fiato e regalano brividi. A volte può accadere la triste eventualità di ritrovarsi a recriminare perché non si è speso al meglio sia qualitativamente che quantitativamente quanto ci è concesso. Consumiamo dal bicchiere e troppo in fretta ne vediamo il fondo. C’è sensibilità nella citazione di Ivan Graziani, artista bravo quanto sfortunato

  4. a

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