Premio Racconti nella Rete 2025 “Alice” di Alessia Proietti Gaffi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Eravamo sulla strada del ritorno, senza alcuna preoccupazione. Tutto procedeva per il meglio, nonostante l’illuminazione irregolare che rallentava il cammino. Anche le altre sparute macchine che incontravamo marciavano sonnacchiose, intorpidite dalla luce fioca che ne limitava la velocità. Il pensiero tornava ripetutamente alla serata appena trascorsa, senza picchi di particolare interesse, allietata da un generale e pervasivo senso di serenità che s’insinuava dentro alla mente come un tranquillante.
Fermo e determinato non si poneva il problema dell’ostacolo contro cui si sarebbe imbattuto, sicuro dei propri mezzi. Non è forse questo, mi chiedevo, quel che m’aspettavo da questa serata, mentre un vago senso di spossatezza scendeva nelle ossa. Forse sarebbe stato meglio fermarsi, ma decisi di poter continuare ancora per un po’, nonostante il torpore. Il calore artificiale diffuso nell’abitacolo della vettura mi istupidiva più della stanchezza, così mi risolsi ad aprire il finestrino, male non avrebbe fatto, avrebbe pulito l’aria e mi avrebbe permesso di fumare una meritata sigaretta, non ne avevo fumate per tutto il giorno, soltanto per compiacere mia madre, che continua a non accettare la mia abitudine, nonostante la mia età.
Malgrado ne fosse a conoscenza da decenni, continuava a lamentarsene con toni terroristici, causando le proteste di mio padre, il quale aveva smesso da anni, anche lui era stato un fumatore modesto, solo per compiacerla, ma rivendicava vicariamente il suo diritto a fare come voleva. Ho sempre considerato stupefacente la pertinacia con cui si riescono a portare avanti gli stessi discorsi in una coppia, avendone sperimentato gli effetti in famiglia. Ben presto ho abbandonato tutte le velleità di resistenza contro la coriacea avversità manifestata da mia madre per le sigarette, se persino mio padre aveva mollato, chi ero io per poterla contrastare. La precisione e l’insistenza delle sue rimostranze erano così fastidiose e ripetitive che alla fine abbiamo decretato che fosse meglio smettere o, nel mio caso, quantomeno astenersi dal farlo in sua presenza. Mio padre invece, non avendo scampo nemmeno nel privato di casa sua, infine aveva dovuto rinunciarvi del tutto. A momenti ancora se ne rammaricava, pur ammettendo che la sua salute ne aveva guadagnato.
La mia sciocchezza nel non voler smettere aveva contorni di un fervore quasi religioso quando mia madre lo aveva scoperto, per poi invece annacquarsi nell’abitudine quotidiana nel corso degli anni. La baldanza giovanile che mi accompagnava nei primi pacchetti aveva avuto un’impennata fenomenale al principio del mio consumo, per poi digradare lentamente nel corso degli anni, senza mai però raggiungere la salutare decisione di smettere. Trovavo sempre stupefacente la fermezza immutata con cui invece mia madre continuava a rimbrottarmi severa come se avessi dodici anni. La pertinacia di una madre, pensavo, l’ostinazione cocciuta e minacciosa della mia, nello specifico. Sul sedile posteriore dormiva Alice, stranamente stanca. Erano passati molti anni dall’ultima volta che s’era abbandonata a dormire sul sedile posteriore. E invece quella sera aveva rinunciato a sedersi accanto a me proprio per potersi concedere un po’ di riposo. Chissà cosa aveva mai fatto per addormentarsi in macchina. Ogni tanto sbirciavo girandomi per una frazione di secondo, giusto per riuscire a scorgerla mentre riposava.
Mi ricordava di ogni volta che lo aveva fatto da bambina, soprattutto quando, come quella sera, eravamo di ritorno da casa dei nonni. Il mio ricordo di Alice da bambina era molto preciso e indelebile: la sua vocina da paperottola, le manine che svolazzavano nell’aria per completare le spiegazioni, la sua risata argentina, come tutte le risate dei bambini, un balsamo per le orecchie di chi le ascolta. Come si perdono per strada certe caratteristiche, pensavo, anche se le sue mani continuavano a svolazzare nell’aria per aggiungere dettagli inafferrabili alla conversazione. In lontananza cominciavo a sentire la sirena di un’ambulanza in avvicinamento diffondersi rumorosamente nel silenzio della notte. Ho rallentato accostandomi con tranquillità, nessun bisogno di agitarsi, ci siamo solo noi sulla strada. Ne ho approfittato per fermarmi e scendere a sgranchirmi un po’ le ossa, avevo passato tutta la giornata seduto tra la poltrona del salotto e la sdraio nel giardinetto dei miei genitori. Malgrado la mia veneranda età, tuttavia avevo avuto del timore nel dover dare la notizia ai miei, per questo avevo portato con me Alice, per non dover affrontare la vexata quaestio tutto da solo.
Dover loro annunciare la mia separazione da Antonella era stato difficile. Non c’era nulla di cui discutere, chiaramente, la nostra relazione era già terminata, le avvisaglie erano state esposte, gli umori di entrambi li avevo riferiti con garbo e circospezione nel tempo, mantenendo una fessura per la speranza, non riuscendo io stesso a credere che quelle fossero le battute finali. Ma infine avevo dovuto cedere anch’io alla verità del fatto: non c’era più niente da fare. Era molto difficile accettarlo, quasi incomprensibile per me che pure sapevo tutto, ma non riuscivo a cogliere la grandezza delle ripercussioni di quella rottura. All’improvviso mi sarei trovato dopo quasi 30 anni a non poter più fare conto su di lei, sarei tornato a casa e non ci sarebbe stata, sarei stato solo. Probabilmente aveva ragione lei, come sempre, anche se ho creduto che fosse stata un filo vigliacca a rispondermi in quella maniera, mentre uscivo di casa, con la giacca in una mano e le chiavi nell’altra. Le avevo chiesto se volessimo andare avanti, erano stati giorni di lunghi dialoghi e scabrose confessioni, almeno da parte sua, io avevo avuto molto poco da aggiungere. “Non credo abbia senso”. Per fortuna ero di fretta, così sono potuto scappare a piangere nella macchina, la stessa macchina in cui mi trovo ora che sto tornando di nuovo a casa. Ero così disabituato a piangere che per poco non mi strozzavo. C’erano anche troppi pensieri che si aggrumavano addensandosi qui sulla fronte, provocandomi un gran dolore cui non sapevo porre alcun rimedio. Sembrava che non ci fosse più un futuro lì sul momento.
Quant’era parso strano rincasare quella sera per trovarla lì in cucina, come sempre, a sistemare i suoi fogli, mi ha sorriso, come sempre, poi abbiamo mangiato, come sempre. Non riuscivo a mettere insieme una sintesi di queste esperienze: mi lasci al mattino e ceniamo insieme alla sera. Chiaramente aveva ragione lei, non s’aspettava mica che me ne andassi così su due piedi, dalle due alle tre, come dice sempre lei. E poi, magari, se ne sarebbe andata lei, chissà, Alice è grande, non abbiamo un granché di cui discutere, se non noi due. Non potevo farmi capace delle sue parole. Non c’era alcuno spazio per qualsivoglia movimento, la sua decisione era stata presa. Lo sapevo dalla sua affettuosa distanza. Che con ogni probabilità era stata così per chissà quanto tempo, ma solo dopo che lei mi aveva parlato apertamente mi era arrivata a conoscenza.
Mia madre mi diceva spesso quand’ero piccolo, che ero distratto, tendevo a non ascoltare gli altri, preferivo credere alle mie versioni delle cose. In effetti, non potevo darle torto. Così, quando ho detto che io e Antonella ci saremmo separati, lei ha sorriso e annuito. Forse lei sapeva qualcosa di cui io non ero a conoscenza, ho pensato. Chissà. Non sarei riuscito a cavarle una sola parola di bocca, già lo sapevo, così ho lasciato perdere. Poggiato sul cofano della mia automobile aspiravo con calma l’ennesima sigaretta della giornata, cercando di rimettere insieme i dettagli della vita che si stava dipanando dinanzi a me, senza che potessi apparentemente contribuirvi. Alice si è svegliata sorridendo e stiracchiandosi, solo un istante. Poi s’è rimessa a dormire rannicchiata, noncurante dei miei crucci. Nemmeno lei sembrava essere sconvolta. Chissà cosa pensava davvero.