Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Il suono del fulmine” di Mariachiara Parzanese

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Da che esiste il mondo, esiste la musica. Probabilmente prima della comparsa dell’uomo sulla Terra … Per rilassarsi, per consolarsi, per motivarsi o semplicemente per il bisogno di farlo. Ed è risaputo che la musica è magica poiché, se praticata in modo corretto, è un’arte che riesce a convertire i rumori in una sinfonia stupenda. Ed è proprio questo che all’epoca dell’antica Grecia, fece infuriare il dio del fulmine Astrapèon. Il giovane era spesso in conflitto con gli altri dei per motivi futili. Aveva avuto scontri con Ourania (dea del cielo), Chalytrion (colui che maneggia i metalli), Polemarcos (dio della guerra) e persino con Theonarcos, il padre degli dei. Ma la persona con la quale si ritrovava  spesso a discutere era Aoidelle, la dea del suono e della  melodia. I due avevano aspetto e carattere completamente diverso. Aodielle aveva una chioma riccia  che le ricadeva sulla schiena disordinatamente, qualche fermaglio e numerosi bracciali e anelli che le adornavano le dita capaci di suonare molteplici strumenti. Indossava sempre il suo maglioncino indaco e la gonna rifinita con perline, risvolti e pieghe. Il ragazzo invece aveva una chioma corvina, mossa, che gli incorniciava il viso. Certo, aveva gioielli, ma mai quanti la ragazza dalla voce armoniosa. Il suo abbigliamento consisteva in un completo elegante, decisamente non adatto a un dio. Ne era consapevole, ma Astrapèon non aveva molto riguardo per l’opinione altrui. Anzi, era il completo opposto della ragazza. Mentre lei era socievole, gentile, altruista, lui un perfetto narcisista ed egoista.  In termini di musica le due divinità nutrivano opinioni estremamente diverse. Aoidelle pensava alla musica come a un linguaggio, un sentimento… anzi, un modo per poter esprimere le emozioni sostituendo le parole. A parer suo la musica doveva essere delicata, pura ed entusiasmante. Però allo stesso tempo la ragazza aveva paura del modo in cui l’essere umano poteva usare questa fragile arte. Il ragazzo dagli occhi color miele, invece, desiderava una sinfonia più forte ed energica che coinvolgesse e desse coraggio, ma anche soprattutto non annoiasse nè l’essere umano nè, diciamocela tutta, gli dei. Certo, le melodie provenienti dalle regge erano meravigliose, ma avevano bisogno di qualcosa che avrebbe reso la melodia perfetta. Così un giorno, mentre Astrapèon ascoltava le lamentele sonanti delle mogli costrette in casa, la dea Melantha lo condusse da un ragazzo. Melantha, dea della malinconia, usava molto girovagare tra le abitazioni. Sebbene fossero insignificanti rispetto agli dei, lei ammirava gli esseri umani per molte delle loro invenzioni e per il modo pacifico in cui alcuni di loro usavano passare la giornata. Una volta giunti nell’umile casa del ragazzo, Astrapèon capì immediatamente il motivo per cui Melantha lo aveva condotto lì. Il giovane, Technesios, aveva un vero e proprio talento. Suonava il suo strumento “divinamente”, mostrando la sua passione nonostante il manufatto fosse in pessime condizioni. Così Astrapèon si decise: corse immediatamente sull’Olimpo, in quel momento circondato da lucciole e polveri divine in occasione di una celebrazione. Fece cadere un fulmine su una quercia da tempo circondata da rose; l’albero cadde e provocò un tonfo sordo. L’idea era quella di creare, con il contributo divino e umano, lo strumento più perfetto e rivoluzionario di sempre. La forgia di Chalytrion era calda come il ventre di un vulcano. Le pareti erano scolpite nella roccia e ornate da filamenti di metallo incandescente che ondolavano come fiumi di lava addomesticata. Astrapèon vi entrò con passo deciso, ma dentro di sé un fremito lo accompagnava: il dio fabbro non era noto per la sua clemenza, né per la fretta . Chalytrion, avvolto da una tunica annerita dal fumo, sollevò lo sguardo dai suoi mantici e lo posò sul giovane dio. “Di nuovo tu, signore dei lampi. Cosa desideri stavolta? Una nuova lancia? Un’armatura per far colpo su Aoidelle?”  disse con un sorriso che sapeva di ferro e sarcasmo. Astrapèon strinse i denti, ma non reagì. “Ho bisogno del tuo aiuto per costruire qualcosa di diverso. Qualcosa che nessun dio ha mai forgiato: uno strumento che unisca forza e melodia.” Chalytrion si fece serio. Un’idea ardita. Ma la fucina di un dio non si mette al servizio di capricci. m“Voglio sapere se sei pronto a rispettare ciò che stai per creare. E allora, prima di aiutarti… rispondi a questo.” Il fabbro lasciò che il martello battesse tre volte sull’incudine, poi sussurrò con voce profonda:

“Due sono le mie nature:                                         
una colpisce, l’altra carezza.
Una spaventa, l’altra consola.
Solo chi sa usarle entrambe
può domarmi.
Chi sono?”

Il silenzio cadde come una colata di piombo. Astrapèon, per un attimo, fu spiazzato. Il suo istinto gli suggeriva di rispondere con forza, ma qualcosa dentro di lui – forse un’eco della risata melodica di Aoidelle – gli ricordò il vero scopo del suo piano. Del, loro… piano. Il ragazzo abbassò lo sguardo, poi sorrise. “Sei… la musica. Ma non una qualsiasi. Sei la musica che nasce dall’equilibrio..- La musica che può distruggere o guarire. La musica che vive tra il tuono e il sussurro lieve.. quel dolce suono che è capace di sciogliere dai nodi del corpo ogni tensione…” Chalytrion socchiuse gli occhi. Per qualche secondo, sembrò voler dire qualcosa, ma poi annuì. Il martello scese di nuovo sull’incudine, facendo trasalire il dio. Stavolta il fabbro abbassò lo strumento non per forgiare il ferro, ma per suggellare un patto.“ Bene, dio del fulmine. Hai dato la risposta giusta. Allora andiamo a plasmare il cuore dello strumento. Vediamo se sai domare anche il suono.” Chalytrion alza per un momento lo sguardo dall’incudine su cui stava lavorando per spostarlo su Astrapèon. Sapeva di essere riuscito a far riflettere il dio del fulmine, che non riusciva a cancellare dalla sua mente l’immagine della dea con il maglioncino indaco. Dopo qualche accurata descrizione e alcune espressioni perplesse dal dio dalla folta barba, il corpo dello strumento era pronto. Perfetto! Per potersi procurare delle corde, il ragazzo non ebbe altra scelta che mostrarsi a un umile pastore, il quale trasalì alla vista del dio vendicativo: Era una giornata d’autunno qualunque per il pastore Theodoros: i suoi figli giravano per casa ridendo, raccontandosi storie spaventose nella piccola stalla del loro cavallo; la sua dolce moglie preparava la cena con i prodotti che avevano a disposizione – gran parte dei quali provenivano dai loro campi -; Lui, invece, stava curando il terreno dopo la grande raccolta estiva per prepararlo alla semina. Ad un certo punto, un’ombra apparve sul suolo umido. L’uomo si voltò lentamente alla vista di una sagoma così ampia. Quindi dopo qualche secondo vide – ormai in ginocchio vicino a lui – Il temuto dio Astrapèon. Il povero uomo cadde sul campo fresco, con occhi sbarrati, colmi di timore. Timore per lui e sua moglie, per i suoi campi, ma soprattutto per i suoi piccoli figli. Cosa poteva mai desiderare un dio da un umile come lui? Tutto quello che aveva da offrire erano un cavallo e  le loro risorse per l’inverno. Le sue uniche parole, balbettanti, furono: “O possente Astrapèon, signore dei fulmini e dei cieli in tempesta, se sono mai stato retto nei miei giorni e giusto con il mio gregge, non volgere su di me la tua ira. Non ho nulla da offrirti se non la lana delle mie pecore e il tremore del mio cuore. Prendila, se è questo ciò che cerchi, ma risparmia la mia casa e i miei figli..” Theodoros sembrava sul punto di piangere, ormai.. con quel volto sporco di terra, gli occhi scuri e stanchi, che però nonostante tutto riuscivano a sorridere al dio Sole ogni giorno. Di solito Astrapèon non nutriva compassione per gli dei – figuriamoci per gli umani. Ma quello sguardo stanco, stranamente, toccò qualcosa in lui.

Un ricordo..

A partire dall’infanzia di Astrapèon, lui era sempre stato il bimbo capriccioso. Quel bimbo che combinava sempre guai, rovinando le capigliature delle dee e pianificando scherzi con Aoidelle.  Agli occhi di alcuni dèi sarebbe potuto essere un pericolo per l’Olimpo in futuro; per cui un giorno, mentre giocava con uno dei suoi coetanei su un monte nei pressi dell’Olimpo, il dio delle tempeste mandò una terribile burrasca. Uno dei due bambini, purtroppo, non venne ritrovato dalle divinità accorse in aiuto. Si trattava del povero Astrapèon. Passarono anni, ma nessuno sentiva parlare del dio dei fulmini. Persino Aoidelle rinunciò a sperare in un suo ritorno. La verità era che il giovane era stato trovato e accudito da un gentile anziano, che lo crebbe con sua moglie con tutto l’amore che un mortale potesse donare a un dio potente come lui. Infatti quando si trovava con l’anziana coppia era il bambino -semi-divino- più felice della Grecia.

Questo finchè i due anziani, a causa della loro età, abbandonarono il mondo dei vivi, lasciando il ragazzo Astrapèon solo nella loro umile capanna. E fu da quel momento in poi che il dio del fulmine non fu più lo stesso. Solo anni dopo, quando nel mondo degli umani Astrapèon poteva avere una ventina di anni, un messaggero si recò da lui per volere di una divinità -che non rivelò il suo nome- per chiedergli di tornare a vivere sull’Olimpo, la residenza degli dei. Lui, per non restare solo in eternità, decise di accettare. Davanti a quell’uomo Astrapèon non poteva che pensare al suo vecchio ‘padre’.. se non fosse stato così pieno di sé in quel momento le lacrime gli avrebbero rigato il volto. Ma subito con un ghigno sottile il dio volle calmare l’uomo, facendogli capire che aveva buone intenzioni. “Alzati, uomo della terra. Non sono venuto a farvi del male, ma a chiedere. In giorni remoti, i tuoi antenati pregavano per la pioggia; oggi, io chiedo a te un dono più semplice. Non temere il mio fulmine: esso non cadrà sulla tua casa, ma darà voce a un suono che né cielo né uomo hanno mai udito. La lana che offri sarà memoria del tuo coraggio. E la tua paura… verrà sciolta nella melodia, molto presto.” Ed ecco che il ricordo di Aoidelle  riaffiorava. Theodoros venne sorpreso dal fatto che non fosse lì per fulminarlo ma per necessità…un dio che chiede qualcosa a un mortale? Bè, questo era davvero strano!  Il contadino gli donò della lana e il ragazzo misterioso scomparve con un inchino. Mancavano ancora due passaggi. L’aria era immobile sopra le nubi eterne. Ourania sedeva su un trono di cristallo sospeso nel cielo, il volto rivolto alle costellazioni che si intrecciavano come fili di seta tra le sue mani. Astrapèon si fece avanti, lasciando che l’eco dei suoi passi creasse brevi scariche di luce sulle nubi. La dea, in questo modo, intuì subito di chi si trattasse. “Cosa ci fai qui, portatore di tempeste? Hai già recato scompiglio nei cieli con la tua collera.” . Il ragazzo avanzò lentamente verso la donna dai capelli dorati, con ciocche sul biondo cenere. “Non sono venuto per alcun litigio, o per distruggere i tuoi celi. Ma ho bisogno di un frammento del tuo regno.”. Nel sentire queste parole la donna voltò leggermente il capo, in modo che si potesse scorgere solo il profilo del pallido volto. “Lo dici da fratello.. o da ladro? In passato hai preteso,  non chiesto..” le sue labbra formarono una smorfia sconsolata. Astrapèon morse le sue, ricordandosi dei momenti in cui da piccolo si intrufolava  nel suo castello per rubare della polvere stellata, da usare per fare innocui scherzi con Aoidelle. “Hai ragione, Ourania. Ma..” Il ragazzo cercò le parole “ oggi non parlo per me. In passato ho litigato per orgoglio con molti dèi.. e ora voglio compensare. Si tratta di una creazione che coinvolgerà i miei poteri e quelli di Aoidelle..” E di nuovo, l’immagine del delicato volto di Aoidelle gli offuscò la mente. Intanto Ourania pensava: “Tu e Aoidelle… insieme? Suona come un’eclissi. E perché mai io dovrei contribuire a un’unione così instabile?” si alzò sospirando. “Perché questa volta voglio creare un suono che non spezzi vette di montagne, trasformi un albero in cenere, o porti qualsiasi tipo di distruzione. Voglio che questo suono riesca ad aprire e unire cuori.. persino quelli che possono sembrare incompatibili.”  Ribattè subito Astrapèon. “Questo significa affidare il dono anche agli uomini.” Rispose secca la donna pensierosa. “ne sapranno fare buon uso? O come sono solito fare, lo convertiranno in un’arma?”. Il ragazzo tacque. Aveva ragione. Ma dentro di lui aveva la sensazione che tutto sarebbe andato per il meglio: la loro invenzione avrebbe unito popoli, regni, culture che parlano lingue completamente diverse, ma allo stesso tempo che avrebbero comunicato con un solo linguaggio magico.. la musica. Astrapèon annuì. “Allora sarà nostro compito proteggerlo. Come dèi. Come fratelli.”. Ourania lo osserva a lungo, poi allunga lentamente la mano verso un’urna di vetro scintillante. Ne estrae un pugno di polvere luminosa e lo soffia nell’aria. Le particelle volteggiano verso Astrapèon, disegnando orbite e note invisibili. “Usala con saggezza, o questa luce tornerà nel cielo” Aveva il volto deciso e preoccupato allo stesso tempo, ma nei suoi occhi scintillava qualcosa di più. Speranza, forse? Fiducia nel giovane dio innanzi a lei, che sembrava volesse finalmente abbandonare la sua bolla protettiva ed egoista? Ad ogni modo questo le regalò un sincero sorriso. “Ne farò tesoro, e forse sarai fiera di me per la prima volta.” Con uno schiocco di dita Astrapèon era svanito con la polvere magica. In questo modo, recandosi in una grotta silenziosa, generò delle “corde” di una precisione disumana. A ognuna delle corde era correlata un’emozione: questo strumento non sarebbe stato facile da suonare. Astrapèon si sentiva stranamente nervoso. Aoidelle era l’ultima divinità da convincere, forse la più importante. Eppure, era anche la più difficile da avvicinare. Quando si trovò di fronte al tempio della dea della melodia, una brezza profumata di lavanda e polvere d’ambra gli accarezzò il volto. L’edificio era immerso nel silenzio, come se il mondo avesse trattenuto il fiato. Sapeva che lei era lì. E sapeva anche che non sarebbe bastato il suo solito tono arrogante. Così prese coraggio, e iniziò ad avanzare nel tempio, sperando di persuaderla. Fece qualche passo all’interno. Aoidelle era seduta su un gradino di marmo, immersa nel suono dei propri pensieri, con l’arpa sulle ginocchia. Il suo profilo era calmo, ma carico di qualcosa che Astrapèon non sapeva descrivere: dolore trattenuto? Forse delusione. Guardando quel volto sconsolato il ragazzo sentì improvvisamente un peso sul petto, che però si alleggerì sentendo la melodia che iniziò ad echeggiare nel tempio. Restò ammaliato per qualche secondo guardando le sue mani ornate da anelli produrre una melodia delicata. Era un dato di fatto, Aoidelle era capace di incantare chiunque con la sua arte e la sua voce. Aveva tutta l’aria di rilassarsi nel suo mondo e Astrapèon vide in questa calma un’occasione. Le si avvicinò e le toccò la spalla, facendola sobbalzare. Inizialmente lei sospirò scuotendo la testa, trovando strano che il suo nemico fosse andato a parlarle. Per evitare discussioni, lasciò che il ragazzo spiegasse quello che aveva in mente: lui, quasi esitante: “Non ti disturberò a lungo. Solo il tempo di dirti… che ho bisogno di te.”. Alla parola ‘bisogno’ la ragazza trasalì. Per cosa avrebbe mai voluto usare la sua melodia? “Strano sentirti usare la parola ‘bisogno’. Tu che distruggi per affermare, che parli con i fulmini invece che con la voce.” rispose Aoidelle. Il giovane: “Lo so. E non posso cancellare ciò che sono..” Rabbrividì pensando sia alle azioni negative compiute in vita, sia alla sua triste infanzia. “Ma questa volta… è diverso. Sto creando uno strumento. Una chitarra – lo chiamerà così un mortale. Sarà potente, ma anche capace di toccare corde invisibili.” Il suo tono si fece sottili, come se volesse lui stesso provare l’effetto dello strumento.  “Senza la tua arte, però, sarà solo rumore.” La sua voce si ruppe. Aoidelle venne toccata da quello che sembrava essere il nuovo Astropèon… e anche dal suo tono sincero. “Ne ho viste troppe, Astrapèon. Troppa bellezza profanata, troppa musica urlata dove c’era bisogno di silenzio. Se ti aiuto, e gli uomini useranno quel suono per dominare, sarò io la colpevole. Le mie note… contaminate.” Sospirò, portandosi le mani al volto. Ma queste vennero rimosse delicatamente da quelle di Astropèon, che volle confortare quella che in fin dei conti era sempre stata la sua migliore amica. “Aoidelle… Non posso promettere che ogni uomo lo userà con saggezza. Ma posso dirti questo: se resteremo lontani per paura…” i loro occhi si incrociarono, entrambi nostalgici e preoccupati. “Allora nessun suono puro potrà mai esistere. Non vuoi che la musica cambi il mondo? Allora devi fidarti anche del rischio.” Improvvisamente ad Aoidelle parve che una scintilla simile ad un fulmine si accese negli occhi del ragazzo. Questo aggiunse: “Se qualcosa andrà male… ti prometto che sarà colpa mia. Ma ne dubito. Tu.. tu puoi piegare persino la tempesta al suono delicato e dolce delle tue melodie”. Chiudendo gli occhi Aoidelle pensò per interminabili secondi. E poi, piano: “Solo a una condizione. Voglio che questo strumento sappia parlare anche ai cuori fragili. Che non sia solo forza, ma anche rifugio. Se ne sei capace…” alzò lo sguardo nuovamente sul ragazzo sorridendo leggermente “cosa di cui sono sicura,” finì il suo discorso “Allora ti aiuterò.” Astrapèon annuì svariate volte, incredulo di aver davvero convinto Aoidelle. A questo punto i due giovani si diedero la mano e si recarono dove il ragazzo aveva nascosto lo strumento. Dopo qualche intervento divino, risate, freddure di Astrapèon e piccoli incidenti, la creazione era giunta a termine. Ne erano entrambi estremamente entusiasti. Così si recarono dall’umano che li avrebbe resi fieri della loro creazione. Apparvero dal nulla e inizialmente il ragazzo fu preso dal timore di aver fatto qualcosa di sbagliato. Aoidelle gli si avvicinò cauta e il giovane sembrava esser ancor più intimorito nonostante sentisse intorno a sé un’aura buona, delicata e sicura. Quindi Astrapèon seguì la ragazza dalla voce ammaliante e qualcosa iniziò a prendere forma tra le sue gelide mani: uno strumento che lui non aveva mai visto prima. Il ragazzo aveva un’espressione indescrivibile: la paura era come volatizzata lasciando spazio allo stupore. Finalmente Aoidelle iniziò a formulare qualche frase che il ragazzo inizialmente non udì, tanto era l’entusiasmo che provava. La giovane dea spiegò che gli era stato affidato un compito importante: portare la musica un passo avanti, anzi, forse anche un bel paio di passi, esprimere sentimenti difficili da spiegare con parole futili e, soprattutto, proteggere la musica da tutti coloro che purtroppo non sapevano apprezzarla. Era evidente la passione che egli aveva nel suonare la sua amata chitarra e gli dei avevano bisogno di qualcuno adatto a questo compito. Pensavano che lui fosse perfetto. Gli dei sorrisero inteneriti e diedero un po’ di tempo al giovane umano per pensare. Bastò poco perché egli, con l’incoscienza che caratterizza i giovani, decretò di essere pronto a ricevere questo dono divino. Gli dei porsero lo strumento, finalmente completo, al ragazzo, che ne restò ammaliato; non ne aveva mai visto uno prima d’ora. Era stupendo… e molto pesante! Non riuscendo a trattenere il suo entusiasmo, si gettò ai piedi dei suoi giovani protettori e pose le mani nella parte posteriore delle ginocchia; non riusciva credere che avessero scelto proprio lui! Questi, lieti di aver reso felice Technesios, lo incoraggiarono a provare la sua nuova chitarra. Quindi, dopo qualche impacciato tentativo, iniziò a toccare le corde. Un rumore, anzi, un suono amplificato ma armonioso risuonò nelle stanze e Aoidelle rimase perplessa. Le rassicurazioni di Astrapèon avevano fondamento; infatti dopo qualche minuto il ragazzo mosse le dita sulle corde dello strumento, producendo una melodia pacata ma energica, armoniosa ma potente, così come i due giovani dei avevano pianificato. Astrapèon venne catturato dall’energia che proveniva da quelle corde e Aoidelle di nascosto sogghignò nel vederlo in questo stato. Come egli aveva precedentemente fatto con lei, gli toccò la spalla facendolo sobbalzare. Le loro risate erano in perfetta armonia con la melodia prodotta dal giovane ed echeggiavano nelle piccole strade della città. Da quel giorno le orecchie dell’uomo furono colme di emozione e sentimento, dati sia dal tocco del ragazzo sulle corde della Chitarra Elettrica che dalle risate divine. Le due divinità si scambiarono uno sguardo di approvazione tenero e si diedero la mano, fieri della loro creazione, più uniti che mai. Da che esiste il mondo, esiste la musica. Ma fu un dio in guerra con se stesso e una dea innamorata del silenzio a trasformarla in leggenda.

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