Premio Racconti nella Rete 2025 “Sorridi e ama” di Livio Grasso
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Dopo dieci lunghi anni di attività presso il quotidiano “ Morning Star” di Londra, fremevo per le imminenti selezioni del nuovo direttivo. Henry Wilson, direttore del giornale, era prossimo alla pensione. Dunque, a breve, era necessario designare un valido successore. Io e Daniel Parker eravamo tra i candidati più quotati. Quest’ultimo, oltre ad essere un egregio giornalista, sfoderava un carattere da leone. Wilson, a riguardo, mi spronava ad essere risoluto come lui. «Sei un cronista brillante – ribadiva con fermezza – ma potresti essere magnifico». «Se avessi un pizzico della malizia di Daniel, non avresti rivali!» reiterava di continuo. Purtroppo, caratterialmente, sono sempre stato timido ed introverso. Nel mondo giornalistico un simile temperamento era indubbiamente penalizzante. Ad ogni modo, una mattina, Wilson convocò in direzione sia me che Daniel. «Venite e sedete!» reclamò entrambi facendo cenno con la mano. Come di consueto, sfoderava un look molto elegante: in quella circostanza recava indosso una giacca marrone, una camicia azzurra e un pantalone beige. I capelli, leggermente brizzolati, erano pettinati con una cura maniacale. «È arrivato il momento di ridefinire le gerarchie!» esordì raggiante. Cominciai subito a sudare freddo. Daniel, dal canto suo, iniziò a sfregarsi le mani. «Entrambi – proseguì – sarete gli assi portanti di questa redazione». «Diego Blanco! – richiamò la mia attenzione – tu sarai il nuovo direttore». «Quanto a te, Daniel – continuò a discutere – ricoprirai il ruolo di condirettore. Il contratto definitivo lo firmerete fra tre mesi». «Detto ciò , vi auguro buon lavoro!» concluse soddisfatto. Non credei alle mie orecchie. Tutto avrei pensato fuorché essere messo in prova nella veste di praticante direttore. Lo sguardo del mio collega, come prevedibile , trasudava di rabbia e invidia. Wilson, al contrario, sembrava consapevole della scelta operata. Non appena uscimmo dalla stanza Daniel si diresse stizzito alla macchinetta del caffè, posta accanto alla sua scrivania. Sbadatamente, quando estrasse il bicchierino dall’erogatore, riversò parte del contenuto sulla camicia bianca nuova di zecca . «Accidenti!» brontolò. Più infuriato che mai, bevve tutto d’un fiato e andò a posizionarsi davanti al proprio computer. Poco dopo sopraggiunse Wilson. «Ragazzi!» esclamò con voce squillante. «Ho delle commissioni da sbrigare» riferì abbottonandosi il trench blu. «Ci si vede!». Salutò in piena allegria e si congedò da noi. Entrare nella stanza del mio ex capo da aspirante leader fu una sensazione a dir poco entusiasmante. Ora, dovevo solamente esserne all’altezza e non deludere la fiducia ripostami. Senza fronzoli, pianificai gli obiettivi del giorno. Chiamai in causa anche Daniel ma, come sospettavo, non fu molto collaborativo. Per fortuna, gli altri dipendenti erano ben predisposti nei miei riguardi. In ogni caso, al termine di una lunga ed estenuante giornata, tornai a casa dalla mia dolce mogliettina .
Si chiamava Ivy ed incarnava la tipica bellezza britannica: capelli biondi, occhi verde smeraldo e carnagione chiara. La trovai sul divano, affaccendata a correggere i compiti dei suoi alunni. Aveva una tuta bianca e i capelli legati in una coda di cavallo. Non appena varcai la soglia della porta, mi venne incontro saltellando sulle babbucce rosa.
«Amore mio!» si rallegrò.
«Ciao, tesoro!» ricambiai con lo stesso affetto.
«Che eleganza!» adocchiò la mia camicia azzurra. «Sei veramente sexy!».
«Questo look – parlò ancora – accentua il fascino dei tuoi tratti mediterranei».
«Non a caso, sono un britannico di origini spagnole» precisai con fare spiritoso.
«Lo so bene…» affermò mordendosi le labbra. «Ho sempre avuto un debole per lo charme latino…» continuò a sedurmi giocosamente.
«Scommetto che mi riterresti ancora più charmoso se ti rivelassi la chicca del giorno…» creai un’atmosfera di mistero.
«Non capisco… a cosa ti riferisci?» sgranò gli occhi dubbiosa.
«Fra novanta giorni potrei essere confermato direttore» svelai l’arcano.
«Wow!» si avvinghiò con braccia e gambe al mio corpo.
«Ma è grandioso!» sprizzò gioia da tutti i pori.
«Sono fiera dell’uomo che sei diventato».
«Ed io sono grato a Dio per aver trovato una moglie bella e amorevole come te» le confidai quasi commosso. Colti da un’ irrefrenabile passione, ci appollaiammo sul soffice divano bianco e demmo sfogo alla nostra libido. Da quella sera la mia vita si trasformò in un vero e proprio idillio. La nuova professione andava a gonfie vele e il rapporto con Ivy non era mai stato così florido. Qualcuno, dall’alto, mi aveva deliziato di un bel terno al lotto. Ma, sventuratamente , il gradevole status di beatitudine naufragò in men che non si dica. A quasi due mesi dalla pregevole nomina accadde un’immane tragedia: mia zia Sofia si ammalò di cancro . Era tutto per me: una madre, una tutrice, una confidente e un’amica. Fu lei ad adottarmi dopo la morte dei miei genitori, rimasti uccisi in un terribile incidente stradale. Ero ancora in fasce quando si verificò questa disgrazia. La scoperta della malattia è stata una pugnalata allo stomaco ,che, come logico pensare , ebbe delle ripercussioni negative sotto molteplici aspetti. In ufficio, per esempio, non riuscivo ad essere sufficientemente produttivo. Da ciò ne derivò un calo vertiginoso della readership del giornale e, di conseguenza, anche della vendita del cartaceo. Wilson temette un fiasco colossale. Così, un pomeriggio, giunse senza preavviso e mi destituì dalla carica, affidandola a Daniel.
Una volta licenziato, si profilarono degli sgradevoli grattacapi con Ivy. Non faceva altro che accusarmi di aver mandato al macero il nostro futuro. Il peggio, tuttavia, piombò nei giorni a seguire: non ci rivolgevamo la parola, dormivamo in letti separati e la nostra intimità si era eclissata del tutto. Che la relazione stesse degenerando era alquanto palese. Nel bel mezzo della crisi coniugale fui contattato per l’ennesimo colloquio lavorativo che, ahimè, non ebbe buon esito . Al mio rientro, tanto per ricevere il colpo di grazia, trovai un’altra bella sorpresa: la casa svuotata ed una lettera imbustata sul divano. Aprii la busta e lessi il testo: «Ciao, Diego. Come avrai notato, ho preso la mia roba e lasciato l’immobile. Avrei voluto parlartene personalmente, ma confesso di non averne avuto il coraggio. Mi spiace, però credo di non amarti più. Probabilmente, lo avrai capito tu stesso dalla mia quotidiana indifferenza. A malincuore, converrai con me che le nostre strade debbano necessariamente dividersi. Perdonami».
Lapidaria, telegrafica e incisiva. Era fuggita via come una ladra, abbandonandomi nella disperazione e nella sofferenza. Aveva pure cambiato numero di cellulare per non farsi rintracciare. Come se non bastasse, nel medesimo istante fui contattato dall’ospedale: mia zia si era aggravata improvvisamente. Balzai, perciò, in sella alla mia Triumph nera e corsi da lei all’ impazzata. I medici dicevano che il quadro clinico era irrimediabilmente compromesso. I farmaci chemioterapici, purtroppo, non avevano sortito gli effetti sperati. Ciò malgrado era rimasta cosciente; quando mi vide accennò un dolce sorriso. Le diedi un bacio sulla fronte e strinsi la sua mano tremante. «Ciao, tesoro mio» biascicò in affanno. Era ridotta in pessimo stato: smagrita fino all’osso, ingiallita nel viso e completamente glabra.
«Ciao, zia» Scoppiai in un doloroso pianto.
«Ehi!» mormorò serrando il mio avambraccio. «Devi essere forte» mi incoraggiò.
«Promettimi – tirò un colpo di tosse – che reagirai e lotterai sempre per la tua felicità». Lei non sapeva nulla di come fosse finita con Ivy, ma , non vedendola da vari giorni, chiedeva notizie sul suo conto.
«Dimmi una cosa» proseguì ansante. «Ivy non c’è neanche oggi?» domandò con il solito sospetto. Metterla a conoscenza della verità le avrebbe frantumato il cuore. Pertanto, fui costretto a mentire.
«Zia – mi schiarii la gola – Ivy è ancora impegnata con i corsi d’ aggiornamento… ».
«Capisco…» sospirò perplessa. «Mi addolora non arrivare a salutarla…» si incupì nel volto.
«Piantala di dire idiozie» mi agitai in lacrime.
«Devi accettarlo, Diego. Sto morendo …» dichiarò rassegnata.
«Ti prego , non parlare così…». Afflitto, chinai il capo sul suo petto.
«Ascoltami bene» accarezzò il mio viso. Il respiro, nel frattempo, diveniva sempre più corto. «Ho bisogno che tu mi faccia una promessa».
«Qualunque cosa…» sibilai in preda allo strazio.
« Sorridi e ama!» sussurrò alle mie orecchie con le ultime energie che serbava in sé. Percependo un drastico peggioramento respiratorio, l’avvolsi calorosamente come fosse l’ultima volta . Una manciata di secondi dopo spirò. La notizia della sua scomparsa fu diffusa e appresa anche dagli ex colleghi della sede giornalistica. Ognuno di loro presenziò al funerale dell’indomani, unendosi al mio cordoglio. L’unica a mancare all’appello fu quella farabutta e mentecatta della mia ex moglie. Contro ogni aspettativa, la settimana successiva al lutto, Daniel mi contattò per offrirmi il posto di vicedirettore. Rimasi stupito del suo gesto; da acerrimi nemici diventammo ottimi amici. Inoltre, di recente era stata assunta una giovane segretaria: Elena, dalla pelle olivastra e con un paio d’occhi azzurri da mozzare il fiato. Solare, allegra e simpatica entrammo subito in perfetta sintonia. Il nostro rapporto professionale, vuoi per l’attrazione reciproca, vuoi per i tanti lati in comune, mutò repentinamente in amore . Nell’arco di un paio d’anni, ottenute a fatica le carte del divorzio da Ivy, ci sposammo e demmo alla luce Stella: la nostra adorabile primogenita. Da quel momento, ogni sera, prima di andare a dormire, levo lo sguardo al cielo e dico :« Dolce zia, guardami! Sorrido, amo e sono felice. Ho mantenuto la promessa».