Premio Racconti nella Rete 2025 “Doppio agguato” di Paolo Ceccarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Fra poco quella troia la pagherà, mi passerà accanto, stando alla larga per via della puzza, sono un barbone, no? e io la chiamerò, Dottoressa Veli, e lei si volterà, devo ancora decidere se schizzarla con il muriatico o un colpo netto di coltello sulla gola, mi sono allenato, devo decidere. Mi ha tolto tutto, quella troia, ero usciere in regione, gli amici mi avevano fatto avere il posto, che potevo servire, e mi ero subito sistemato. Facevo lavorare gli altri, ovvio, comandavo io, che con i miei amici e i miei cugini, nessuno aveva il coraggio dire una parola e poi avevo messo su un business con un paio di uffici, bastava chiedermi il favore con le dovute maniere e le pratiche venivano fatte e subito, non dovevo neanche dividere le mazzette perché gli impiegati si tenevano paura e se non si tenevano paura gliela facevo venire, certo era roba da poco, non mi potevo paragonare agli amici che lavoravano agli appalti ma mi accontentavo. E poi c’erano le femmine, quelle che venivano da fuori e le impiegate. Mi è sempre piaciuto parlare sporco alle zoccole, toccarle, mettergli paura, m’arrapavo quando le vedevo impallidire, o si mettevano a piangere, e tenerle sottomesse, che se facevano le stronze, gli davo una lezione personale e quelle abbassavano la testa e tutti sapevano che quando m’avvicinavo, come uno squalo, come un lupo, così mi vedevo, ad una di loro, tutti dovevano badare ai fatti propri e guardare da un’altra parte mentre io mi divertivo ad inquietarle e a farle scappare. Insomma stavo da dio finché non è arrivata la dottoressa Veli. La dottoressa era bella, come un’attrice, insomma quel tipo di donna, che ci faceva alla regione non l’ho mai capito e quando la prima volta che la vidi, bella com’era, le andai vicino e le dissi quello che le avrei fatto mi tirò una sberla e quando cercai di menarla mi tirò un calcio nelle palle. Ero sbronzo, giusto per quello non riuscii a reagire, altrimenti l’avrei ammazzata. È che quella schifosa se lo aspettava, mi conosceva da prima, per forza, perché aveva una telecamera nascosta e certo avere qualche vicinanza con qualcuno perché altrimenti non si spiega quello che è successo, ci ho pensato e ho capito che era venuta apposta. Perché si mise a fare casino, il video passò alla televisione e mi sospesero, per forza, ma a lei non bastava e i pezzi grossi in qualche modo erano costretti a starla a sentire, perché iniziarono il procedimento per cacciarmi, a loro non ci potevo arrivare e quando i miei cugini cercarono di far cambiare idea ai capi o lavorarsi quelli sotto per fargli ritardare tutto, vennero i poliziotti, pure quelli che prendevano le mazzette, a dire che non era cosa. Pensavo di fare quello che si pente ed entra in terapia ma l’infame aveva fatto fare delle indagini con qualcuno della questura che non mangiava con noi: vennero fuori le mazzette, tutti gli aggiustamenti e riuscì a convincere qualche altra zoccola a parlare. Ma la cosa peggiore fu che si mise ad indagare anche a casa mia: a mia moglie ogni tanto gli davo quando non si sapeva comportare e l’avevo mandata all’ospedale ma si era sempre stata zitta; la convinse a denunciarmi e convinse anche le bambine a dire che me le facevo. Non era vero, mica me le scopavo, qualche sega, qualche pompino, anche papà e nonno facevano così con le mie sorelle, che c’è di male, ci stanno apposta, ma alla fine ci siamo trovati in galera io e i cugini e gli altri amici. E in galera ero quello che si fotteva le figlie, mi hanno messo sotto tutti, guardie e compagni di cella e anche i miei cugini e gli amici di prima. E quando sono uscito anche al quartiere ero diventato “la merda” e non mi hanno voluto neanche nelle cooperative, sono finito sulla strada. È andata sempre peggio finché non ho capito che per uscirne dovevo fargliela pagare alla stronza, perché tutte quante capissero e si mettessero paura che dopo la troia sarebbe toccato a loro, che prima o poi sarei andato a cercarle. Ora aspetto e ancora non ho deciso, ma se le tiro il muriatico poi voglio spararmi una sega di fronte a lei mentre lei urla e se le taglio una gola voglio venirle in faccia mentre muore, poi scappo che tanto chi mi trova più, sono un barbone invisibile, ma il mio cazzo e la mia sborra devono essere l’ultima cosa che vede e sente, l’idea mi eccita, mi sparo una sega.
Così Salvatore Crescenzio, detto ‘a merda, si ravvolse meglio nella coperta lercia che lo copriva e chiuse gli occhi e non vide arrivare il colpo di martello che gli spezzò naso e denti, il successivo sulla tempia gli tolse conoscenza e quindi non sentì gli altri colpi che gli frantumarono la scatola cranica e il cervello.
Patrick Bateman era esausto. Troppo vecchio per certe cose; ma quella sera in albergo lo aveva ripreso quel desiderio, lo aveva costretto ad uscire e a cercare qualcuno o qualcuna come tanti anni prima. Aveva visto quel barbone con gli occhi chiusi e il movimento della mano sotto la coperta e nessuno in giro. Cogliere l’occasione e poi allontanarsi in fretta, il martello nascosto nella tasca interna del cappotto Armani scuro, le macchie di sangue non si vedevano, a New York l’avrebbe fatto smacchiare, non si fidava di farlo in quella città, approssimativi come tutti gli italiani, l’unica cosa buona era che si facevano i fatti propri, bastava pagare.