Premio Racconti nella Rete 2025 “Vai al diavolo!” di Valeria Cecchini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025“Pronto”.
“Pronto Olga, ciao. Ho avuto un incidente. Stavo finendo le consegne e non ho visto un motorino. Gli sono andato addosso. Sono all’incrocio della Gimarra. Ho bisogno che vieni subito”.
“Io?”.
“Si tu. Ho bisogno che vieni”.
Nodo in gola.
“Va bene Cesare, arrivo”.
Sguardo alla sveglia. Sono le 7.42.
È sabato e Olga oggi ha il turno di pomeriggio in panetteria. È ancora in pigiama, a letto, in quel torpore della mattinata di riposo quando si alza con comodo e si concede brioche e cappuccio al bar con Irene, anche lei di Kiev. Poi vanno insieme al mercato e, quando torna a casa, dedica un paio d’ore alle pulizie visto che in panetteria attacca alle tre e sta fino alla chiusura. Il turno del sabato pomeriggio è, a suo modo, speciale perché di domenica il negozio è chiuso e quindi bisogna lasciare più a posto del solito e, soprattutto, ci si spartisce l’invenduto. Da quando Cesare ha capito che lei ha un debole per la ciambella con sopra la granella di nocciole, se ne avanza un pezzo, gliela fa trovare nella busta che lascia vicino all’uscita.
Forse è stato proprio quel gesto a scaldare l’animo di Olga, naturalmente incline all’amore e alla ricerca di attenzioni come quello di qualsiasi altra giovane donna, nel caso specifico con l’aggravante dell’essere sola in un paese straniero e con la propria terra devastata da una guerra che rischia di spazzarle via quel poco che le è rimasto. La sua casa. Suo fratello.
I genitori li ha persi due anni fa in un incidente d’auto. In quel momento la prima grande inversione di rotta della sua vita. Rimasta sola con suo fratello non avrebbe più potuto permettersi gli studi e così, a malincuore, lasciò l’Università e trovò lavoro in una panetteria. Stava al banco e, tutto sommato, maneggiare pampushky, sochniki e mazurkas[1] non le dispiaceva, come anche il contatto con i clienti a cui riservava sempre un sorriso e una parola cortese.
Poi la doccia fredda della guerra. Suo fratello arruolato. Il pullman per Trieste, per scappare. Nessuna esitazione nello scegliere l’Italia come destinazione. Al ginnasio, infatti, aveva aderito ad un programma speciale per lo studio dell’italiano che sapeva molto bene. Le sarebbe bastata qualche settimana per prendere sicurezza nel parlarlo e, almeno per questo, si sarebbe sentita un po’ più al sicuro. Sul pullman aveva conosciuto Irene che, invece, l’italiano non lo sapeva e così aveva approfittato del viaggio per insegnarle qualche parola e breve frase. L’occasione per ridere assieme della pronuncia e degli errori della neofita, nel tentativo di ripetere per la prima volta dei vocaboli così diversi da quelli a cui era abituata, aveva fatto nascere tra le due un’intimità per cui non si sarebbero più lasciate.
Una volta a Trieste, aveva vissuto per qualche mese nel limbo. I colloqui con le onlus per capire cosa sapesse e le sarebbe piaciuto fare, per capire come aiutarla, aiutare lei e le tante altre persone spaesate, in bilico.
Poi, grazie ad una campagna di solidarietà, si scopre che in centro Italia cercano personale in una panetteria. Cesare, il figlio dei proprietari storici, si era trovato solo prima del tempo e cercava con urgenza personale che potesse aiutarlo a portare avanti il negozio. Negli anni aveva imparato il mestiere. Adesso toccava a lui e aveva bisogno di qualcuno che fosse abituato a maneggiare il pane, che ci sapesse fare con i clienti.
Pochi giorni dopo Olga era sul treno. Al suo fianco Irene che, pur di seguirla, avrebbe cercato un’occupazione come domestica. I chilometri scorrevano e l’emozione di Olga saliva. Durante la breve chiacchierata al telefono aveva sentito Cesare un po’ impacciato ed era curiosa di scoprire come fosse quel giovane uomo con cui presto si sarebbe trovata a tu per tu a parlare di panini, focacce, ciambelle e biscotti, a regolare l’incasso della giornata, ad augurarsi il buongiorno all’apertura del negozio e la buonasera alla chiusura.
E adesso Cesare ha avuto un incidente e ha chiamato lei.
In pochi secondi viene invasa dal ricordo di tutte le emozioni che si sono susseguite in questi mesi. Quel primo sguardo in stazione, quando si sono presentati ed entrambi si sono scrutati con il naturale interesse di un uomo e una donna che si vedono per la prima volta. Il primo giorno di lavoro, in cui Cesare, ogni tanto, faceva capolino dal retro per presentare la nuova commessa ai clienti più affezionati. “Buongiorno signora Pandolfi! Le presento l’Olga. Viene da Kiev. Vedrà che brava che è!” e nel tornare dietro la guardava soddisfatto come per dirle “Hai visto che bella pubblicità che ti faccio?” strappandole un sorriso. Quei sabato pomeriggio in cui capitava di far tardi nel chiudere il negozio e allora si fermavano qualche minuto a guardare l’inizio del TG, in modo che lei non perdesse le ultime notizie sulla guerra, che tanto erano sempre le prime ad essere trasmesse. Lui le chiedeva se avesse sentito suo fratello e l’ascoltava attento mentre lei riferiva quanto sapesse per voce di conoscenti. E poi la ciambella con la granella di nocciole che, quando c’era, era la colazione della domenica più gustosa che ci potesse essere e, ad ogni morso, la trasportava in un cortometraggio che riassumeva le possibili scene della sua vita futura con Cesare.
Ma adesso deve correre. Lui ha bisogno di lei.
Nella mente di Olga scatta quella frenesia che può scattare solo nella mente di una donna innamorata. I pensieri si susseguono ad una velocità impensabile e le azioni che ne derivano seguono un ritmo concitato.
“E adesso come mi vesto?” si chiede ansiosa. La cosa più ovvia sarebbe mettersi una tuta, lavarsi il viso, legarsi i capelli con un elastico e salire in macchina. Ma, in realtà, apre l’armadio e d’istinto tira fuori l’unico vestito “da donna” che ha. L’ha comprato per pochi euro per andare a una festa a cui era stata invitata qualche settimana prima. Adesso, in un attimo, è su dei tacchi da dieci centimetri, fasciata dal raso nero plissettato, in bagno che si trucca. Prova a raccogliersi i capelli in una coda di cavallo e poi li lascia nuovamente cadere sciolti a coprirle il collo.
“Chissà come mi preferisce” si chiede. E’ confusa nel suo desiderio di essere vista bella. Lei che Cesare lo trova così attraente, malgrado la pancia un po’ troppo pronunciata, la stempiatura e quel modo di camminare un po’ goffo. Quante volte si è chiesta se lui ricambiasse il suo interesse. Quante volte ha cercato di immaginare come sarebbe stato un loro primo appuntamento. Magari al cinema, o una passeggiata sul lungo mare chiacchierando del più e del meno piuttosto che decidere se fare più rosette o ciabattine. O avrebbe potuto offrirle un gelato.
Quindi i suoi dubbi hanno finalmente una risposta? Il loro legame si sta trasformando in qualcosa di più? Perché ha chiamato proprio lei? Ha avuto un incidente e ha bisogno del suo sostegno. Probabilmente è scosso e ha pensato a lei come spalla su cui appoggiarsi.
Decide di lasciare i capelli sciolti e corre fuori. Sono trascorsi solo pochi minuti dalla chiamata ed è in macchina. E’ un vecchio Fiorino che un tempo Cesare usava per le consegne e che ormai ha rimpiazzato con un furgoncino un po’ più grande. Lo ha dato a lei che così è più comoda per fare avanti e indietro dalla panetteria. L’appartamento dove sta Olga, infatti, è leggermente fuori mano e la zona non è ben servita dai mezzi pubblici.
E adesso lo sta usando per correre da lui. La Gimarra la conosce bene, perché è proprio l’incrocio dove tutti i giorni deve girare a sinistra per andare in panetteria.
Da lontano vede Cesare mentre parla con un carabiniere che sta redigendo il verbale dell’incidente. A terra, ancora in mezzo alla strada, il motorino che Cesare dice di aver investito. Il conducente è di sicuro sull’ambulanza che si sta allontanando e che attira la sua attenzione per il suono delle sirene. Il furgoncino fermo in una posizione innaturale a seguito della frenata brusca.
Olga parcheggia frettolosamente a bordo strada e si precipita verso Cesare.
Non fa in tempo a chiedergli nulla che lui, guardandola un po’ stupito, l’anticipa.
“Olga ma come sei vestita? Scusa, forse ti ho disturbato. Magari sei rimasta fuori da ieri sera” le dice.
Lei si pietrifica e rivolge il proprio sguardo su di sé. Ha tutti gli occhi puntati addosso, anche quelli dei carabinieri. Guarda il raso nero del suo vestito e sente un misto di rabbia e di delusione che l’assale. Ma cosa sta pensando Cesare? Crede forse che si sia fermata a dormire da un altro uomo dopo una serata di bagordi?
Sgrana gli occhi e lo guarda come per chiedere spiegazioni.
“Ti ho chiamato perché ho bisogno che finisci le consegne. Il furgone è sotto sequestro per l’incidente” continua lui senza fare una piega.
Olga vorrebbe gridare, vorrebbe piangere, vorrebbe scappare via. Non riesce a fingere. Si dirige a passo spedito verso il Fiorino per aprire la portiera posteriore e trasferire i vassoi che sono sul furgone di Cesare.
Idy do bisa! Idy do bisa! Idy do bisa![2]
E’ il mantra che ripete insistente dentro di sé mentre si mette al volante e sgomma via per scappare più velocemente che può. Ma come ha potuto essere così sciocca e riporre le proprie speranze in quell’uomo stempiato, con la pancetta e un po’ sbilenco che in un attimo ha perso tutto il suo fascino ai suoi occhi. E la ciambella con la granella di nocciole non la mangerà mai più.
E come ha potuto rendersi così ridicola agghindandosi a festa alle otto del mattino. Avrebbe dovuto infilarsi la tuta e le scarpe da ginnastica, questo si meritava quell’infame!
Idy do bisa!
Altro che “Signora Pandolfi, vedrà come è brava l’Olga!” e tutti quei discorsi sull’Ucraina e le ultime notizie sulla guerra.
Al diavolo tutto.
Accosta e si ferma in lacrime. Scende dalla macchina, prende un vassoio di paste e si dirige verso una lingua di spiaggia libera dove la mattina trovi quei pochi che fanno due passi con l’acqua alle caviglie. Rimane indietro rispetto al bagnasciuga e si siede. Mentre tira su col naso apre il vassoio e, individuata la sezione dei bomboloni, ne afferra uno traboccante di crema e lo morde con ardore.
Intanto continua a piangere e a pensare ai suoi sogni infranti. Il cortometraggio della sua vita a cui si è inceppata la pellicola che non sa più come procedere.
Finito il primo bombolone ne prende in automatico un altro. Il sapore dolce della crema pasticcera che la consola un po’. Si toglie le scarpe per sentire la sensazione della sabbia sotto i piedi, si alza e fa qualche passo per avvicinarsi alla riva. Il mare è calmo e il fruscio delle onde la coccola come fosse una melodia. Si guarda intorno e si accorge di quanta bellezza c’è in questo piccolo pezzo di mondo.
Si asciuga le guance che immagina striate dal nero del mascara, prende il vassoio e torna in macchina. Deve finire il giro con il Fiorino di Cesare.
Oggi pomeriggio lo rivedrà in panetteria e stasera, come sempre, quando chiuderanno il negozio, gli augurerà una buona serata. Arrivata a casa aprirà la busta dell’invenduto per scoprire cosa le riserverà di buono per la domenica.
Poi arriverà il lunedì. E inizierà una nuova settimana.
E chissà.
[1] Prodotti tipici della tradizione gastronomica ucraina, il Pampushky è un pane soffice formato da tante palline che si ricopre con una salsina di aglio e prezzemolo, i Sochniki sono dolcetti ripieni di ricotta mentre il Mazurkas e un dolce alle mandorle.
[2] “Vai al diavolo!” in ucraino.