Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Disturbi” di Paolo Defendi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

“Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua,

e mi atterrì, guardando in giro,

vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione”. 

Beppe Fenoglio

   Era partita bene con tuo nonno, che aveva fondato la Marmitte Moncalieri Italia sotto l’egida del Duce, ed era andata ancora meglio con tuo padre, che aveva sfruttato il boom economico per aprire nuove filiali. Inoltre, convinto com’era della tua inettitudine, aveva scelto per te l’Accademia Militare come soluzione ideale per una laurea di tutto rispetto e un’onorata carriera al di fuori degli affari di famiglia. Era stato solo dopo che ti avevano scartato che sua moglie aveva potuto imporgli il piano B: laurea in ingegneria meccanica e ingresso in azienda.

   Dopo la tesi, però, il Grande Capo aveva lasciato passare molti mesi, per riflettere su quale fosse il reparto più adatto alla tua incapacità. Nel frattempo, tu ne avevi approfittato per esplorare un mondo a te sconosciuto. Parlo del mio mondo, parlo di quella costellazione infinita di collettivi universitari, tutti di estrema sinistra, all’interno dei quali, oltre a respirare la politica, si dibatteva spesso anche di arte, letteratura, filosofia, musica e teatro.

   Ma la nomina alla fine era arrivata.

   Quel giorno, non avevi ancora fatto in tempo a fare colazione che due parole ti avevano cambiato la vita:

   “Inizi domani”.

   Il resto l’avevi a malapena sentito:

   “Cominciamo dall’Ufficio Tecnico, poi si vedrà”.

   Il vecchio non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore e lo sapeva, ma aveva deliberatamente deciso d’ignorare che in quel periodo tu fossi in mania. Era fatto così, la sola idea che suo figlio potesse soffrire di disturbo bipolare lo mandava in bestia:

   “In questa famiglia di matti non ce ne sono, punto!”

   Questa cocciutaggine aveva inevitabilmente scatenato il tuo rabbioso rifiuto. Ne era seguito un alterco memorabile, al termine del quale tu te n’eri andato di casa urlando come un ossesso, mentre tua madre aveva chiamato la psichiatra per l’ennesimo:

   “Ci risiamo”.

   Come primissimo alloggio, avevi trovato una stamberga a una stella con prostitute in saldo. Solo una settimana, giusto il tempo per ricontrollare il libretto al portatore e darti una nuova strategia di vita. Dopo esserti accertato che avresti potuto tener botta per almeno due anni, avevi preso in affitto un monolocale fra Porta Nuova e i Murazzi e ti eri messo in moto per il piano C: magari non con mansioni da ingegnere, ma saresti comunque stato un dipendente qualsiasi di un’azienda qualsiasi.

   Solo che avevi dimenticato due particolari: andare a consulto dalla psichiatra e continuare con i farmaci.

   Così, quando ti eri reso conto che trovare un lavoro non era poi così facile, che un piano D non l’avevi e che, nonostante le nuove frequentazioni, non avevi neanche un mondo migliore da sognare, avevi chiesto aiuto a tua madre, che in realtà non avevi mai smesso di vedere. Una volta alla settimana, infatti, all’insaputa del marito, si concedeva un’ora d’aria al Caffè Torino, per pestare i testicoli al toro e offrirti un bicierin.

   Era stata di nuovo lei a concordare una nuova scaletta di appuntamenti con la psichiatra, non prima di averti fatto giurare che questa volta ci saresti davvero andato. E all’inizio c’eravate pure riusciti, a mantenere il tuo stato dell’umore su livelli accettabili. Poi, nonostante tutto e tutti, la depressione aveva ripreso lentamente a macerarti.

   Fino al nostro incontro.

*

   Era la primavera del 1977.

   Io, figlia di operai in cassa integrazione permanente, stavo a Giurisprudenza ed ero appena entrata nel Movimento. Mi sentivo vicina ad Autonomia Operaia, ma odiavo i cortei. Preferivo studiare l’Esperanto e leggere Kafka.

   Di nome faccio Alice, ma mi chiamavano tutti Eva, perché allora ero spaccata identica alla compagna di Diabolik.

   La prima volta che mi parlasti fu per chiedermi dov’era il bagno e quella scontrosa fui io:

   “Che ci fa qui uno come te?”

   La tua puzza di borghese arricchito ti precedeva e i pantaloni con le pence facevano a pugni con i jeans a zampa d’elefante dei compagni. Pancia flaccida, spalle strette, piedi piatti, calvizie incipiente e occhiali con lenti a fondo di bottiglia, invece, mal s’addicevano alla voglia di fisicità erculea di tante compagne.

   Credo sia stato questo tuo esser così fuori dai miei schemi ad attrarmi, e quando il sesso si mischiò all’amore non ce ne fu per nessuno.

   I nuovi problemi sorsero dopo che ti rendesti conto che il nostro rapporto ti stava salvando dalla depressione. Ricominciasti ad ignorare le sedute psichiatriche e i farmaci, e ben presto riaffiorarono gli eccessi pirotecnici della fase maniacale: logorrea straripante, umorismo volgare, bulimia alcolica, irascibilità incontenibile e insonnia perenne.

   Tutto tanto, tutto troppo, e io che non capivo.

*

   Quella notte ci stavi dando dentro con l’alcol e anch’io ci stavo mettendo del mio.

   Dopo averti passato l’ennesima media, svuotai la mia bottiglia di Arneis:

   “Bastardo! Lui e il suo vernissage”.

   “Cosa?”

   “Ma no, niente, è che stamattina son passata in edicola e in locandina ho letto del vernissage”.

   “Cioè?”

   “Il vernissage della Vecchia Signora. Hai presente?”

   Svuotasti il boccale d’un fiato:

   “Dovrei?”

   “Seee, ciaao! E se ti dico la passerella di Villar Perosa?”

   “C’entra la Juventus?”

   “Direi”.

   Stappai un prosecco e continuai:

   “Ogni anno, dopo il ritiro iniziale in altura, la Juve continua la preparazione a Villar Perosa, in un centro sportivo da paura. Poi, a inizio agosto, arriva il tanto atteso vernissage, cioè l’amichevole fra la prima squadra e i giovani dell’Under 21. Più che un’amichevole, è il primo vero appuntamento della stagione per vedere all’opera i nuovi acquisti. Quest’anno sarà il dieci”.

   Strappasti la linguetta a una lattina e ti facesti serio:

   “Perché me lo dici?”

   “Agnelli non manca mai”.

   “E?”

   “Se ti dico Montanelli?”

   “Continua”.

   “Quando sento parlare di questa roba, m’immagino la scena dell’Avvocato che scende dall’elicottero e va in tribuna. E ogni volta penso che questa sarebbe l’occasione perfetta per piantargli due bei colpi sulle gambe”.

   “Stai scherzando?!”

   Poi, con un fragoroso rutto, la mandasti in tribuna.

*

   Al risveglio, io mi liberai dal mio mal di testa con un caffè doppio e un’aspirina, ma tu entrasti subito in azione. Per la maglietta bianconera facesti un salto al mercato di Porta Palazzo, per l’arma bastò chiedere a un compagno in fuoriuscita da Potere Operaio.

   Quel giorno Gianni Agnelli uscì dall’elicottero in jeans e maniche di camicia e cominciò la passerella fra i cori e gli applausi scroscianti dei tifosi. Imboscato da qualche parte c’eri anche tu, con uno zainetto dove avevi messo due panini, una Coca e la P38. Mentre l’Avvocato ti si avvicinava, posasti lo zainetto a terra e ti preparasti ad aprirlo. Io arrivai da dietro, ti bloccai la mano e dissi:

    “Disturbo?”

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