Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Il guardiano notturno” di Luigi Michetti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Ancora non chiudo occhio e da poco sono passate le 4 di uno dei tanti giovedì insonni. Del resto ho l’età di quando papà andò in pensione, dopo tanti anni di guardia notturna, e ormai le ore di sonno erano quelle, non una di più. Quelle dei tanti anni passati dentro i capannoni di una grande fabbrica di elettronica.

Per me era festa, quando da piccolo mi portava qualche notte con lui, durante il giro dei vari reparti della fabbrica, per fare le timbrature, c’era sempre un distributore di bevande. Io preferivo il chinotto. Poi c’era il piccolo televisore rosso Voxson, da cui si vedeva GBR. La voglia di vedere i film di notte ha origini lontane, tra un giro di capannone e l’altro. Le domeniche, quando era il suo turno, io e mamma andavamo a piedi da lui, potevamo fare la doccia lì, in quella grande fabbrica di elettronica, a casa solo una bagnarola.

Con mamma poi tornavamo sempre a piedi, perché certo non potevamo aspettare la mezzanotte, la fine del turno. Spesso durante il ritorno salivamo sul carretto di zio Graziano, detto Badoglio, e Massimino, che tornavano a Castello. Era bello per me tornare a Celle trainato da un somaro. Io e mamma restavamo seduti dietro sul bordo del carro a parlare con Massimino. Arrivati alle prime case del paese il nostro breve viaggio era finito, allora non potevo fare a meno di carezzare l’asina. Più di qualche volta passavamo le serate a casa di Graziano e Letizia che era la cugina di mio padre con Angela e Marina, le loro figlie, forse Paola non era ancora nata, c’era anche Massimino fratello di Graziano. Avrò avuto tra gli 8 e i 11 anni e quando entravo in quella casa un po’ mi sentivo perso, un po’ avevo voglia di andare in tutte le stanze ad ogni piano, perché era un palazzo storico posto a metà salita per il castello, sotto la cinta muraria seicentesca. Sono stato sempre affascinato da quella casa così grande, e non credo di averla visitata mai per intero, forse perché zia Letizia ci lascio presto e credo che da allora non continuammo più a frequentarci, senza un motivo preciso. Forse è proprio in quegli anni che mio padre smise di fare il vigile notturno, quando si muoveva con una bicicletta, che gli aveva fornito l’agenzia con cui lavorava. 

Di notte pattugliava il paese in lungo e in largo, mettendo fogliettini sotto le serrande, i portoni degli esercizi commerciali, o di qualsiasi professionista che era assicurato con l’agenzia. Ovviamente questo lavoro lo portava ad avere un particolare rapporto confidenziale e spesso di amicizia con i carabinieri di Celle, soprattutto con Saturnino, prima appuntato poi brigadiere, che insieme a sua moglie Barbara nel ’65 erano stati i miei padrini al battessimo, quando papà era ancora un agricoltore ed allevatore in quella mezzadria posta a confine di Civita. Come avesse conosciuto Saturnino non l’ho mai saputo o forse, semplicemente non lo ricordo, perché sicuramente mio padre Augusto me ne avrà parlato più di qualche volta, dietro quel carattere taciturno si nascondeva la pazienza di un narratore e poeta, come molti altri nel paese, del resto. Anche se come tutti i poeti aveva i suoi momenti di disperazione che portavano angoscia in casa e non poche volte ho pianto per questo. Poi tutto si risolveva quando aveva voglia di raccontare. 

Una delle amicizie di mio padre Augusto che ricordo con affetto era con un carabiniere di origini pugliesi, spesso dopo cena andavamo a casa loro, ero diventato molto amico di Mario della mia età, il figlio più piccolo dei tre che avevano. 

Pochi anni fa un signore sulla ottantina mi disse che era un grande amico di mio padre, e che solo grazie a lui papà era entrato in fabbrica. Lui era stato il sindaco di Celle per molti anni, era quello che aveva il potere di farti trovare un lavoro o restare disoccupato a vita, praticamente se volevi andare a lavorare in una delle tante fabbriche di Celle ti dovevi rivolgere a lui, che un posto per te lo trovava sempre, l’ufficio di collocamento era solo il luogo dove si mettevano i timbri e si andava in processione durante la disoccupazione.

Credo proprio fossero quelli gli anni, tra il ’70 ed il ’71, che papà da vigile notturno diventò prima guardia notturna e poi “il guardiano” di questa grande fabbrica di elettronica che iniziava a costruire computer dedicati ad un compito preciso, il cui nome era dato dalle iniziali dell’ingegnere e quelle di sua moglie. Sono certo che la referenza più importante gli arrivò dal Maresciallo dei Carabinieri dell’epoca, il padre di Francesco e Fabio che stava in classe con me alle elementari. Maresciallo soprannominato “polverone”, per via di quella sua strana parlata veloce, che faceva fischiare la s e la f quando capitava prima della r, e un po’ Fabio aveva lo stesso modo di parlare del padre.

Papà ha fatto i turni in quella fabbrica fino ai primi anni ’90, dalle 17 alle 24, dalle 22 alle 6 e nel fine settimana spesso dalle 12 alle 24, oppure dalle 24 alle 12. Quando è morto, pochi anni dopo la pensione, era consumato dai lavori precedenti, polmoni e cuore di un muratore tra Svizzera e la pioggia di Roma lo hanno accompagnato, tra colpi di tosse e bestemmie, lungo un viaggio difficile da raccontare, di cui non ho neanche la voglia di farlo, anche perché lui lo ha affrontato con dignità, senza fare troppe storie.

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