Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “George” di Marialuisa Netti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Sono le otto di mattina, George entra in classe di fretta e si lascia cadere pesantemente sulla sedia, molla lo zaino a terra e poggia la testa sul banco chiudendo gli occhi. È da un po’ di tempo che è così, i professori lo sanno, lui a casa non dorme. La professoressa Vittoria Lenci fa l’appello e mentre legge il nome di Beatrice Dani, immediatamente si morde le labbra rendendosi conto del suo errore. Una voce grave si leva dai banchi: “George prof., sono George! Beatrice non c’è più da tempo e forse non c’è mai stata” Perdonami a volte faccio l’appello meccanicamente”

“Certo, fate tutto meccanicamente voi adulti senza curarvi di ferirci. Anche quando ci mettete al mondo mi sa che non siete del tutto presenti” Subito dopo il ragazzo si alza improvvisamente ed esce dall’aula correndo, lo segue Paola la sua migliore amica e il docente di sostegno. George è alto e veste con abiti informi che tuttavia non riescono completamente a nascondere il seno piccolo e i fianchi appena accennati. Per il resto non c’è niente di femminile in lui: l’andatura pesante, le mani costantemente in tasca, il modo di fumare e di sedersi con le gambe larghe sono quelli di un ragazzo. Quando sorride però le labbra piene e ben disegnate rivelano dei denti canditi e regolari, gli occhi verdi gli si illuminano e si vede una piccola fossetta sul mento. In quel momento appare di sfuggita Beatrice bambina o meglio quel che rimane di lei. Sono attimi brevi che sembrano provenire da un tempo lontano e senza dolore. Ora però George è scappato in preda un’altra crisi di panico, Vittoria vorrebbe iniziare la lezione ma ha paura che sia successo qualcosa di grave. Il tempo sembra scorrere lentamente. Come ha potuto distrarsi così? Lo sa che odia essere chiamato Beatrice. A volte la sua testa è davvero zeppa di nozioni, file, pratiche, ovvero di quello che è l’aspetto burocratico della scuola, dimentica così il cuore che è l’unico che riesce a connetterla a tutti quei mondi invisibili in cui abitano i suoi studenti. Dopo venti minuti George riappare con Paola mano nella mano, il prof. li segue a breve distanza. Ritorna al banco senza sorridere, appare tranquillo ma stanco come un cielo che è stato appena attraversato una grande tempesta. La mattinata a scuola trascorre monotona, George ha quasi sempre la testa sul banco, ogni tanto, se un prof. lo chiama, solleva il capo ma le palpebre rimangono semichiuse, il viso è gonfio e pallido.

 Il suono della campana delle tredici e trenta segna la fine di un’altra giornata. Alcuni ragazzi scendono delle scale dell’antico edificio, alcuni in maniera svogliata, altri hanno conservato l’energia della mattina. Una folla di braccia e di colori si riversa in Piazza Grande: si formano piccoli gruppi che parlano animatamente, altri ragazzi vanno via da soli, portandosi dietro il peso enorme dei loro zaini e dei loro pensieri. Vittoria esce da scuola stanca ma felice di aver incontrato ed ascoltato tanti ragazzi, come ogni giorno ha più imparato che insegnato. L’aria fuori è già calda, dopo un inverno e una primavera piovosa, “Maggio” è sempre foriero dell’estate. Raggiungere la macchina per lei è un piacere perché può attraversare Lucca con i suoi magnifici palazzi e i grandi tigli che fiancheggiano le strade. Mentre sta per passare porta San Pietro si sente chiamare” Prof Lenci!” Vittoria si volta e vede George con la sigaretta in mano, ha il viso molto pallido e la mano con cui regge la sigaretta trema piano. “Prof. posso parlarle?” Vittoria pensa che a casa non l’aspetta nessuno, suo figlio è in gita e suo marito torna per cena, per cui istintivamente risponde: “D’accordo George, sediamoci al bar, ti offro l’aperitivo!”  Si siedono in un barino appartato, fuori dalla vista degli altri ragazzi. George ha una tosse stizzosa e le mani hanno le dita ingiallite dalla nicotina. Vittoria lo osserva da vicino: ha un profilo delicatissimo, la carnagione è chiara con qualche piccolo segno d’acne, i capelli tagliati corti sono ricci e arruffati.  Nonostante mostri un certo imbarazzo, il ragazzo ha lo sguardo di chi ha già visto tanto nella vita ed è cresciuto in fretta. Lei ordina una spremuta d’arancia, lui invece uno spritz , la guarda con un sorrisetto compiaciuto e canzonatorio mentre divora velocemente patatine, tartine e le noccioline. “Ho una fame da lupo. Ho mangiato tutto io. Lei non ha fame prof.?”   Vittoria lo guarda con tenerezza mentre scuote la testa lo lascia mangiare.” Mi spiace prof. per oggi non volevo essere sgarbato, lei è sempre gentile con me, ma ho perso il controllo. Ultimamente sono molto stanco perché dormo poco” George ha acceso un’altra sigaretta, fuma con avidità e ogni tiro sembra essere una boccata di ossigeno. Osserva la prof. intensamente: gli è sempre piaciuta quell’espressione pulita, il suo tono di voce gentile, le vorrebbe parlare a cuore aperto ma qualcosa lo trattiene. “Non ti preoccupare. Non sono stata abbastanza attenta. Tra poco il nome Beatrice non sarà più presente sul registro e nessuno si potrà sbagliare” Vittoria sente l’eco delle sue parole e capisce che anche questa volta ha avuto un’uscita poco felice: meglio non parlare di Beatrice, lui sta facendo tanta fatica per allontanarla da sé. Il ragazzo accenna appena un sorriso e si alza in piedi: “Vado via prof. la ringrazio per l’aperitivo e mi scusi di nuovo” Sicuramente voleva dirle qualcosa di importante, ma lo aveva fatto scappare, peccato! George corre veloce, non vuole perdere il treno per Viareggio, non gli va di rimanere solo in stazione. È contento di aver parlato con la prof., non gli andava di averla trattata male per colpa di Beatrice ovvero un oscuro nomignolo che gli hanno appiccicato da piccolo. Sale sul treno al volo e, una volta seduto, chiude gli occhi e immagina che accanto a lui ci sia Gaia! Quant’era carina! L’aveva conosciuta durante l’occupazione di dicembre e l’aveva subito colpito per quel suo modo parlare e di argomentare così intrigante, per il suo tono di voce dolce ma non mieloso. Con lei, a differenza di altre ragazze, gli era venuto subito naturale parlare di sé, le aveva parlato della sua vita così diversa da quella degli altri ragazzi e del percorso transgender che un giorno avrebbe intrapreso. La fermata lo riporta immediatamente alla realtà, una piccola camminata tra i navigli lo conduce a casa. Aprendo la porta lo investe un forte sentore di umidità misto a un odore di spazzatura. “Cazzo, ho dimenticato di gettare l’umido!”. Tira un pugno sul frigorifero che è già pieno di ammaccature. Il dolore è forte, le nocche gli fanno già male. Dal frigo quasi vuoto tira fuori un würstel, della maionese e una pepsi: menomale che ha fatto l’aperitivo con la prof. Dopo aver gettato i piatti nel lavandino, si pulisce la bocca con il dorso della mano e si avvia verso la camera da letto. Ovunque il disordine regna sovrano: pile di panni sporchi sono ammonticchiati sulle sedie e sui letti, i mobili sono ricoperti da una polvere vecchia di mesi e le pareti sono nere dall’umidità. Quando sarebbe tornato il suo babbo l’avrebbe sicuramente sgridato, era trascorso ormai un mese da quando era andato alle Canarie con la sua compagna, forse aveva trovato un lavoro lì. Intanto arriva il suo gattino: lo accarezza e gli dà un po’di croccantini prima di buttarsi pesantemente sul letto sfatto.  Tigro lo raggiunge e si mette a impastare sul suo cuore. È un bellissimo gatto tigrato a pelo lungo, un regalo di Gaia. È così morbido! Glielo aveva portato in un giorno di pioggia in cui il tempo era uggioso come il suo umore. “Prendilo George! È il più dolce della cucciolata, vedrai che ti terrà compagnia. Ti ho portato anche dei croccantini, abbine cura” Povero Tigro, era finito proprio nel posto sbagliato. È terribilmente stanco ma non riesce a dormire, forse ha dormito troppo sul banco stamattina. Sul comodino c’è un ritratto di una di una giovane donna bionda e sorridente che ha in braccio una bimba con le treccine. George prende il ritratto e lo accarezza con la mano

“Chissà se avresti amato anche George, tu eri così innamorata di Beatrice! In realtà credo che tu fossi innamorata di me mamma al di là di ciò che sarei diventato. Mi manchi, sei andata via troppo presto! Forse però tu eri già tanto stanca, papà non aveva un carattere così facile” Poi dà un bacio alla foto e la rimette a posto. Infine prende le gocce che gli dato il neuropsichiatra e ne beve mezza boccetta: ha bisogno di dormire, non gli faranno niente. In ultimo scrive un messaggio a Gaia, oggi non l’ha vista per niente, “Ti voglio bene Gaia. Ricordatelo sempre”. Poi un soffitto nero precipita sulla sua testa e infine più nulla.

George apre piano gli occhi ed è avvolto da una luce soffusa bianca, gli duole terribilmente la testa. Si gira e vede Gaia e la prof. Lenci accanto a sé “Sei un testone” gli dice la ragazza “meno male che mi hai mandato quel messaggio e ho avvertito la prof. Siamo andati a casa tua ma non rispondeva nessuno, solo Tigro miagolava” ““Dov’è ora il gattino?”

 “L’ho portato a casa mia. L’abbiamo trovato sul tuo cuscino, ti accarezzava il viso con la zampina” George guarda Gaia e la prof.  e si sente finalmente a casa. “Ho incontrato mia madre prof., era bellissima come me la ricordavo. Credo mi abbia guidato di nuovo qui”. Vittoria annuisce e le accarezza la mano esangue, a stento trattiene le lacrime. Poi un’infermiera le invita a uscire. George sorride e manda un bacio a Gaia “Grazie” dice piano. Gaia fuori dalla stanza d’ospedale scoppia a piangere disperata “E’ così solo prof., ho paura che non ce la farà” “George come tutti ha bisogno d’amore, lui più di tutti.” Gaia continua a piangere mentre Vittoria la abbraccia e le accarezza la testa. “Prof. questa estate andiamo con George a Corfù, lei c’è mai stata?” Certo Gaia è un’isola bellissima, sono sicura che vi divertirete” Vittoria la vede allontanarsi con il suo passo veloce, sembra quasi che danzi, la segue con lo sguardo fino a quando diventa un puntolino lontano. Prima di salire in macchina si accende la sigaretta del giorno, l’unica che si concede. Le viene in mente la sua ultima lezione sul fumo e l’intervento di George “La paura del cancro al polmone non mi farà smettere di fumare, io con sigaretta placo la mia ansia e in quel momento sto meglio” Ecco era proprio quello che le stava succedendo ora. Poi si rivede da ragazza nella baia di Palaiokastritsa a Corfù: i tramonti, il sirtaki, i tramonti, i falò sulla spiaggia e i tuffi nelle acque freddissime del golfo. La giovinezza aveva una bellezza fragile, delicata simile al cielo pervinca di quella sera. Era da tanto che non vedeva un cielo pervinca. Spegne la sua unica sigaretta e si avvia verso la sua casa.

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