Premio Racconti nella Rete 2025 “La leggenda del Senicione” di Francesco Filippi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Per Andrea era stata una notte di nuovo piena di sogni agitati e immagini disturbanti che addirittura lo facevano tremare. Questa volta aveva visto il mondo coinvolto in una guerra ipertecnologica dopo essere stato soffocato da elettronica e rifiuti.
Incubi e paure si stavano affacciando più volte, dopo aver discusso di nuovo con i suoi genitori, che non erano d’accordo con la sua nuova vita, mesi dopo il suo trasferimento tra le montagne. Poi, si era trovato a litigare con gli amici, durante una notte balorda alla festa estiva del suo nuovo paese. Non capivano come si sentisse. Ubriaco com’era aveva trattato male anche Stefano, il suo migliore amico. Non se lo perdonava. Aveva preparato per la prima volta l’orto per l’estate, aveva messo a punto le arnie, aveva rimesso a posto i castagni del terreno. La vita stava cambiando come voleva. Una vita più semplice, a contatto con la natura, e in collaborazione con i nuovi giovani arrivati negli anni al villaggio come lui alla ricerca di un’altra dimensione. Ma adesso si era isolato pure da quelli che considerava compari di vita e avventura.
Uscì molto presto per respirare aria fresca: l’abitazione era affacciata sulla valle, davanti all’alba che saliva dai monti in un cielo acquarellato. Camminò ancora fino al retro della casa su per un sentiero che portava a una radura da cui era possibile ammirare più in basso il paese rannicchiato come un piccolo presepe su un colle che dominava la valle. Cercò di nuovo una connessione con le cime, tra quei contrafforti di marmo che si innalzavano a corona attorno a lui. Era un legame che sentiva sin da bambino: per questo aveva deciso di dedicare la sua vita a quelle montagne, insieme ai giovani trasferiti come lui in paese.
Rientrando a casa, scorse alcuni scatoloni ancora rimasti da parte nel ripostiglio, tutte le carte, i libri e gli oggetti che Mario, il precedente proprietario della casa e vecchio lavoratore del marmo, gli aveva affidato dopo la sua morte. Non poteva che considerarsi suo discendente: a stabilire il loro legame, gli aveva già lasciato delle foto che Andrea custodiva tra le sue. Dopo una breve colazione, decise di mettersi a fare una selezione tra un sacco di documenti burocratici inutili. Poi si accorse che ne esistevano più antichi, molti dei quali risalenti a commerci di cave e fabbriche di polvere da sparo della zona. Tra di essi trovò una mappa, con i tratti abbozzati di monti, riconosceva abbastanza bene alcuni gruppi di case, altri erano invece scomparsi: era centrata sulla valle ancora oggi chiamata Calcaferro, dove nell’Ottocento si era organizzata la prima industria della zona. Erano indicati anche alcuni nomi delle fabbriche, lungo il percorso del torrente alla cui sorgente si trovava un lago, che sulla carta sembrava molto grande.
Lo specchio d’acqua nel disegno pareva emanare schiuma e sopra di essa era indicato “Senicione”. Subito accanto un’altra scritta, “Grotta” e dei disegni stilizzati di persone. Ancora sotto, c’era una strana frase in corsivo, “Il linchetto risponde”. Si incuriosì subito perché sembrava indicare un luogo che non aveva mai visto.
Nel tardo pomeriggio Andrea, deciso di recarsi a Calcaferro, trovò Stefano al bar del paese, in pausa dal suo lavoro in ostello. Si salutarono con imbarazzo e si sedettero allo stesso tavolo. Si aspettava che l’amico ce l’avesse con lui perché non si era fatto sentire per due settimane ma invece Stefano sembrava sollevato di vederlo. L’altro vide la carta che teneva in mano e gli chiese cos’era. Andrea gliela mostrò.
“Mi pare un documento interessante”, disse Stefano, un po’ sorpreso e titubante mentre la scorreva con lo sguardo.
“Sai qualcosa di questa mappa? Mario lo conoscevi, te l’ha mai fatta vedere?”, chiese Andrea.
“No, non l’ho mai vista. Ci sono i nomi dei mulini dell’Ottocento!”.
“Sì, ma guarda qui? Cosa vuol dire “Senicione”?”, esclamò Andrea.
“Non ricordo così bene”, rispose Stefano un po’ incerto, “so che c’è una leggenda su un lago di quella zona, che c’era un mostro che stava nell’acqua chiamato Senicione”.
“Proprio in un laghetto in fondo alla valle?”.
“Non sapevo fosse nella valle di Calcaferro, ma per la persona che ha disegnato la mappa sì a quanto sembra, si diceva che avevano messo delle catene con delle esche nel fondo, e che quando le riportarono a galla erano state rotte”.
“Non la conoscevo questa storia”, Andrea era ancora più incuriosito e impaziente. “Potresti accompagnarmi fino all’imbocco? Poi continuerò da solo”.
Stefano acconsentì, stupito di vedere l’amico di nuovo aperto e pieno di energia.
Scesero in auto nella valle principale, poi svoltarono a un bivio a sinistra, inoltrandosi in un’umida strettoia laterale. Infine, si arrestarono di fronte a un ristorante. Camminarono per alcuni minuti in mezzo a delle case fino a una fonte, dove dell’acqua freschissima che scendeva dalle montagne finiva in una vasca molto ampia. Più avanti, la gola era chiusa da un dirupo imponente e una mulattiera bianca entrava in una piccola galleria buia.
Stefano si fermò mentre Andrea proseguì e, dopo aver attraversato il tunnel, si ritrovò in un mondo diverso: adesso c’era un sentiero erboso che scorreva accanto al torrente ricolmo d’acqua, in mezzo a sassi coperti di muschio, felci, e dappertutto esalava un profumo di castagni. Svariati rivoli si gettavano da ogni parte nel corso principale in modo tumultuoso con il loro fruscio incessante, creando un’atmosfera rilassante e sospesa.
Solo dopo pochi metri iniziava una serie di ruderi, tra cui metati, mulini per la farina, miccifici e polverifici, in fila uno dopo l’altro lungo l’acqua, con macchinari distorti e arrugginiti al loro interno ancora in evidenza, a ricordo di un’intensa attività industriale nascosta, che lì aveva trovato il luogo ideale poiché l’umidità consentiva di realizzare la polvere da sparo e le micce per la cave e le miniere con il minor rischio possibile di esplosione. Superando in successione gli edifici ricoperti di edera, Andrea riusciva per magia a immaginare come sempre la vita di un tempo, non poi così lontano, in cui donne e uomini condividevano il lavoro in quella gola stretta ma accogliente, oltre che nelle miniere sulle pareti dove adulti e bambini erano esposti a ogni tipo di rischio. Le donne erano in particolare richieste per lavorare con le micce perché avendo dita piccole riuscivano a maneggiarle in modo più accurato. Gli uomini si occupavano dei macchinari e trasportavano materiali e materie prime lungo lo stretto sentiero. Andrea conosceva quella storia, ma non aveva mai percorso tutta la valle per giungere all’origine del corso d’acqua.
Attraversato un ponticello, continuò in salita, raggiungendo limite del sottobosco. Ogni tanto si apriva una radura. Più oltre gli alberi si infittirono, mentre calava la sera. Andrea finì per trovarsi ad un tratto davanti a un laghetto scuro che specchiava abeti e larici, incassato tra burroni. Respirò profondamente: non c’era schiuma come diceva la mappa, ma il fondo era fangoso e impenetrabile. Sopra di esso, incombeva l’apertura orizzontale di una grotta.
Appena giunto davanti alla grotta sulla riva opposta, sentì una stanchezza improvvisa e il cuore iniziò a battergli senza freno, come se fosse in pericolo, e si nascose affannato a sedere dietro un grande macigno, fissando la superficie del bacino. Dopo pochi attimi, la sua stessa voce risuonò come proveniente dall’esterno: “Voglio vedere!”. Ad un tratto, dall’altra parte del lago giunsero risate e strilli di bambini che ad uno a uno si infilarono in acqua mezzi nudi, le chiome lucenti. Dopo poco, ecco che apparve della schiuma, che s’ingrossò in modo graduale fino a creare onde impazzite: i bambini, impreparati, iniziarono a gridare. Lentamente, uno dopo l’altro, affogarono e sparirono tra i flutti. Andrea dietro la roccia invece non si poteva muovere, era impietrito, col fiato mozzo, mentre tutto il paesaggio si incupiva. Dalla grotta uscì una creatura informe, col muso allungato, le gambe rachitiche. L’essere avanzò nell’acqua e s’immerse per poi uscire raccogliendo i bambini uno a uno: Andrea si rese conto che erano il suo pasto. Era una scena del passato. I bambini erano destinati a morire.
Il mostro raccolse i corpi e li portò nella grotta. Dopo l’ultimo ragazzino, non uscì più. Andrea iniziò di nuovo a respirare e perse i sensi.
Si risvegliò davanti alla fonte all’imbocco della valle, intontito. Respirava a fatica ma era intatto. Poco dopo sentì la voce preoccupata di Stefano avvicinarsi mentre lo richiamava a gran voce. Andrea, ancora a terra, nel sentirlo avvicinarsi scoppiò in un pianto silenzioso. Iniziava a comprendere: il mostro era tutte le sue paure ma adesso erano scomparse.
Il racconto riesce a mescolare perfettamente la realtà e la fantasia.
L”autore padroneggia molto bene le tecniche letterarie, risvegliando nel lettone una curiosità immediata. Calcaferro, una zona industriale ottocentesca dimenticata e la volontà del protagonista di raggiungerla, nella completa solitudine, fino al laghetto
Sernicione. L’atmosfera da magica e irreale, una volta interiorizzata, diventa realtà e risveglio. Ottimo racconto che intreccia contemporaneamente verità storica, magia e problemi esistenziali.