Premio Racconti nella Rete 2025 “Zucchero filato” di Marco Giori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025La mia sveglia suona tutte le mattine alle 6:30, non proprio tutte, il fine settimana e per le ferie estive no, ma comunque a quell’ora i miei occhi sono aperti.
Mi alzo attento a non fare rumore, Jane e i bambini dormono. Socchiudo la porta della camera e la mente inanella i pensieri che durante la notte si erano sparsi tra i sogni e all’affacciarsi della razionalità, in gruppo, iniziano a mulinarmi nella mente.
Ho un metodo per non farmi trascinare nella loro corsa, spesso affannosa e implacabile: fantastico. Sì, fantastico. Mi rado e immagino le spiagge dei Caraibi, faccio il nodo alla cravatta e sono nel Parco nazionale del Grand Canyon, bevo il caffè e il vento della Terra del Fuoco mi scompiglia i capelli.
L’auto mi porta per i viali alberati dove le finestre di alcune case gettano la loro luce sui prati ben rasati, sui giornali appena lanciati dal ragazzo in bicicletta. Al semaforo soltanto il camioncino davanti a me. Roger & C. Impianti elettrici.
Mi piace muovermi tra i quartieri sonnacchiosi, dove la piccola borghesia si compiace delle proprie auto parcheggiate. Carol King canta dalla radio. Hai ragione, Carol, così lontano/ma tanto nessuno ormai rimane in un posto solo.
Il camion della nettezza lancia fasci di luce arancione sull’asfalto lucido. Stanotte è piovuto. Il gatto di Freddy piangeva dalla veranda. Mio figlio grande lo ha voluto come regalo per i suoi sei anni. Non so cosa ci trovano di così particolare nei gatti. A me fanno solo venire voglia di starnutire.
Ma per i figli si fa questo e altro.
I miei vecchi, in fondo, non avevano tante attenzione per noi figli. Quattro scatenati in libertà vigilata. Vigilata da mia madre. Quando si lamentava con il pediatra dei nostri pessimi caratteri, lui si stringeva nelle spalle e diceva che eravamo figli di guerra, nel senso che portavamo nei nostri geni, paura, rabbia e voglia di spaccare tutto.
John the baker. C’è già qualcuno in negozio. L’uomo con il cane esce con un sacchetto di carta. Al bancone la ragazza dai capelli rossi rifornisce lo scaffale. Scatta il verde.
Se penso ai miei e alla vita che hanno fatto… Una vita spesa prima dietro ai noi quattro figli, al mutuo per la casa, al lavoro grigio di mio padre, alle cene raffazzonate, ai vestiti che passavano da un fratello all’altro. L’unica fortunata, Jennifer, la mia sorella piccola, unica femmina. Per lei solo vestiti nuovi. Alla fiera del paese soltanto un po’ di zucchero filato, un ciuffo per quattro. Che poi, se lo metti in bocca, di tutta quella matassa ti resta ben poco. Metafora della vita.
Voglio qualcosa di più, di meglio. Mi va stretto tutto. No, non mi lamento. Il mio stipendio non è male, ma Freddy e Margaret si meritano il meglio. Margaret è così felice quando torno a casa con un nuovo giocattolo. Allunga le sue piccole braccia e gorgheggia dal seggiolone.
Non so se troverò parcheggio, anche se sono soltanto le 8:10. Posteggio accanto a una Ford Mustang Boss 302: otto cilindri, accelerazione da zero a cento chilometri in quattro secondi, coupé azzurra con fasce scure. Ci farei un giro. Aspetterei il proprietario e gli direi, amico, dai, fammi fare un giro, ti offro una bevuta al bar.
La cartella in cuoio scuro contiene i documenti che stamani la signora Richard dovrà firmare. Li ho studiati ieri sera mentre tutti erano già a letto. Il portacenere era pieno.
Quando ho visto la casa della signora Richard ci sono rimasto di sasso. Chiamarla casa è un’offesa. Si trova sulla collina dopo New River Street, la zona residenziale. Rebecca Richard è scesa dalla grande scala come Gloria Swanson in Sunset Boulevard.
Jane sarebbe stata magnifica al suo posto. Mia moglie è una bella donna, anche se si nasconde dentro a degli abiti insignificanti. Ho visto ieri una camicetta fantasia e un vestito lungo a righe nel negozio all’angolo che le starebbero a pennello. Il cartellino ostentava dei numeri che il mio portafoglio si è rivoltato dentro alla tasca della giacca.
Non so se prendere l’ombrello. Il cielo laggiù è scuro. No, non lo prendo, nel mio ufficio c’è sempre qualcuno che se lo dimentica.
Ciao Fred, mi dice Steve, appoggiato alla porta del suo negozio di elettricista. Ciao a te.
Guardo l’immagine riflessa di un uomo con giacca, cravatta e una borsa di cuoio. Al braccio destro un impermeabile chiaro, sigaretta all’angolo della bocca. Sono io.
Buongiorno signor Horton, la guardia giurata mi spalanca la porta. La banca aprirà al pubblico alle 8:45. Grazie, e mi volto a guardare le tre persone già in attesa.
Direttore, sempre i soliti, mi dice la guardia con un sorriso complice.
Voglio di più dello zucchero filato.