Premio Racconti nella Rete 2025 “Soltanto una tazza di caffè” di Nicola Di Marco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Ruben aveva deciso di cambiare vita, ma non lo sapeva ancora dove stava andando. Per quanto lo riguardava, era già arrivato fin troppo lontano. Chissà, forse un tradimento, forse un figlio mancato, forse la paura di sentirsi un fallito prima o poi, lo avevano spinto a darci un taglio con il passato e a buttarsi di nuovo a capofitto nel mondo. A volte, si domandava se era quella la vita che avrebbe voluto vivere. Ma era inutile starci a pensare sopra. Bisognava vivere. E basta.
La calamita, si sa, attrae il ferro se è a breve distanza. Non c’è scampo. Quando l’aveva conosciuta, non avrebbe mai pensato che la storia sarebbe potuta andare a finire proprio così, fino al punto di sposarsi. C’è sempre una donna, dietro ai cambiamenti. Entra prepotentemente nelle nostre vite e cambia le regole del gioco. A volte, pensava di essere stato davvero fortunato ad avere fra le mani un corpo come quello tutto per sé. Pensava anche, che fosse ingiusto, non condividere con il resto del genere umano tanta abbondanza. Ma subito, una subdola forma di gelosia, e non parlo di quel retaggio piccolo borghese del possesso e della proprietà, lo dissuadeva dal voler condividere con gli altri questo bene in eccesso, questo plusvalore della carne e del piacere a suo uso esclusivo.
Ruben lavorava in un ufficio amministrativo, metteva timbri al registro protocollo. E se avesse detto no a quel lavoro, si sarebbe trovato prigioniero di una moglie e di una situazione familiare ancora più soffocante. Di fatto, quel lavoro senza speranza, rappresentava la sua unica forma di salvezza. La sua unica via d’uscita, l’unica possibile forma di libertà. Accettare il dominio del capitale con l’alienazione nel lavoro per sottrarsi a un dominio ancor peggiore, quello della dipendenza economica da una moglie autoritaria, stronza e femminista. Quello che era successo da quando si era sposato, era che aveva smesso di sognare. Il matrimonio lo aveva trasformato in un uomo vuoto. Lei, lo aveva trasformato in un uomo vuoto. I suoi sogni si erano frantumati, erano esplosi in una routine soffocante. Dove erano andati a finire la sua rabbia e la sua naturale avversione nei confronti di qualunque tipo di oppressione e autorità, perfino del lavoro. Ruben si sentiva ormai solo un codardo. Eppure, un tempo, prima di sposarsi, aveva assaporato la libertà. Era questo il punto, lei gli aveva tolto la libertà. Quel genere di libertà che consiste nel poter scegliere cosa fare della propria vita e che ci permette anche, se vogliamo, di buttarla via. Quello che non capiva e che tutto sommato lo consolava, era il fatto di non essere il solo ad essersi trovato in quelle circostanze, perché molti altri prima di lui avevano vissuto più o meno le stesse cose. Nonostante questo, si sentiva comunque un perdente. Il matrimonio è la forma più amorale di ricatto sociale, un’ estorsione legalizzata che ti costringe continuamente a pagare interessi economici e affettivi a lunga scadenza. Miscuglio di paura, dovere e amore. Dal matrimonio in poi, la sua vita era stata un susseguirsi di eventi senza logica o con una logica a lui ancora sconosciuta. Gli venne da ridere, ma avrebbe potuto anche piangere. E mentre rideva, cominciò a levitare. Sembrava un Buddha. Si sollevava sempre più in alto e i suoi pensieri svanivano come inconsistenti bolle di sapone. Stava volando, leggero come le note di un pianoforte. Non pensava proprio di saper volare. No. Non pensava proprio di saper volare.
La mattina dopo, si svegliò presto, anche perché quella notte non era riuscito a dormire. Si fece il suo caffè mentre tutti ancora dormivano e aspettò che sua moglie arrivasse in cucina. Quando la vide entrare dalla porta, gli sembrò una specie di fantasma. Si rese conto che quella donna era profondamente infelice e avrebbe voluto raccontargli che lui sapeva volare e che forse avrebbero potuto volare insieme o avrebbe potuto almeno portarla a fare un giretto lassù se solo avesse voluto. Ma lo avrebbe preso per matto, e allora, non disse nulla. Tenne per sé il suo segreto. Non capiva più, in quel momento, quale fosse la realtà. Saper volare, o essere convinti di saper volare. Sua moglie gli rivolse la parola con un languido, “amore”. E tutto gli sembrò semplice. La sua vita, il suo matrimonio, il suo lavoro, i suoi figli che spesso lo maltrattavano, erano diventati tutto quello che bastava. O forse, era soltanto così che le cose dovevano andare. La storia che si era fino ad allora raccontato e alla quale aveva sempre creduto, in quel preciso momento, perdeva il suo senso. Non aveva perso nessuna libertà, perché non l’aveva mai avuta. Raccontatemi di qualcuno che sia stato o che sia veramente libero e vi faranno re e regine. Rincorriamo qualcosa che immaginiamo soltanto, venduti ad un idea astratta, barattando le nostre vite con delle menzogne a cui non possiamo far altro che credere, per continuare ad andare avanti. Avanti. E ancora avanti.
Fuori stava cominciando a piovere e sua moglie, si strinse a lui. “Ho un po’ freddo Ruben”. Di lì a poco, si sarebbero svegliati anche i bambini. Ruben fissava una nuvola fuori dalla finestra, gli sembrava diversa dal solito. Del resto, anche lui era diverso adesso. Erano un po’ simili, lui e quella nuvola, ora. Poi, riscaldò ancora del caffè che era rimasto e se lo versò. Il fumo esalò dalla tazza e Ruben restò a fissarlo mentre saliva verso l’alto con il suo tipico movimento a spirale. Non era la prima volta che lo osservava e ogni volta restava incantato a guardarlo, era magico. Avvicinò il naso per sentirne anche il profumo, attratto da quelle ombre che volteggiavano verso il cielo disegnando forme vagamente spettrali e lo annusò, mentre chiudeva gli occhi, avvertendo il suo calore sul viso. Gli sembrò allora di esplodere nell’universo per poi essere di nuovo risucchiato in quella tazza, mentre continuava a seguire solo con la mente quelle magiche ombre disegnate dal fumo. Il suo corpo era in uno stato di estasi e Ruben non era affatto nuovo a queste sensazioni, perché già aveva volato e sapeva che, se avesse voluto, avrebbe potuto di nuovo spiccare il volo anche in quel momento stesso e unirsi a loro, le ombre. Il suo passato precipitò con lui e i suoi ricordi esplosero in una sequenza temporale senza continuità. E la paura, arrivò, prima che quei ricordi potessero parlargli, avvolgendolo in un fumo nero in cui tutto diventava indistinguibile, confondendo passato, presente e futuro. Il buio calò dentro di lui. Scuro e Impenetrabile. Per fortuna, restò con i piedi per terra, nella contemplazione di quella tazza di caffè che lo teneva ancorato alla realtà, perfettamente conscio della similitudine fra la leggerezza di quelle ombre e la sua capacità di sollevarsi in aria. Preferendo in quel momento, dare voce a quella parte più autentica e terrena di se stesso, che gli riportava alla memoria in una raffica di istantanee in bianco e nero i numerosi, infiniti caffè, bevuti nella sua vita. Questo semplice gesto, che non era mai stato se non in rarissimi momenti, quello di bere davvero un caffè, e cioè di assaporarlo, gustarlo fino in fondo e diventarne parte, mescolandosi così in un’unità indivisibile per l’eternità. Ma era sempre stata, soltanto un abitudine, agita con distacco e indifferenza, che lo aveva accompagnato da oramai tanto tempo, troppo tempo, senza averne mai conosciuto la sua più intima e profonda natura. In quei momenti sovrumani appena trascorsi fra lui e quel caffè volatile, si era dischiusa inaspettatamente davanti ai suoi occhi una nuova possibilità, che lo aveva reso consapevole di cosa potesse significare abbandonarsi al flusso della vita e seguirla. Quelle ombre che erano ormai scomparse e quel profumo di caffè che si stava a poco a poco estinguendo nell’aria, non avevano solo risvegliato i suoi sensi, ma gli avevano indicato anche la strada verso la possibilità di un’esistenza piena, lontana da quei gesti quotidiani che si annullano da sé nella loro ripetizione, giorno dopo giorno, nello scorrere del nostro tempo limitato.