Premio Racconti nella Rete 2025 “Afflato Fatale” di Attilio Spaccarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Nelle narrazioni con un contenuto sessuale il messaggio che viene spesso veicolato tratta il sesso come un qualcosa di elitario, appannaggio (quasi) esclusivo di giovani, belli e forti: basta andare al cinema o curiosare tra gli scaffali di una libreria per rendersene conto. Tant’è vero che quando non vengono soddisfatti quei canoni, per esempio nel caso del sesso tra anziani, si ricorre a qualche artificio lessicale per ristrutturare il contesto: gli aged hanno il potere di sdoganare gli anziani!
Ma quel trucco semantico insegna che basta distogliere l’attenzione dagli attori e pensare all’atto in sé per capire che il sesso è una faccenda accessibile a tutti, perché non è solo un qualcosa che ha a che fare esclusivamente con il fisico, ma con tante altre cose quali il sentimento, l’esperienza, la fantasia, la voglia di giocare. Ma soprattutto con la psiche, come potrebbe essere testimoniato in positivo dal suo coinvolgimento in un rapporto sessuale soddisfacente, e in negativo da qualche flop. Questi fattori non tengono conto della fisicità e sono comuni a tutti gli esseri umani: il loro mix consente di fare del buon sesso a prescindere dagli attori e quindi, implicitamente, dai requisiti fisici. Nonostante che in presenza di un handicap più o meno importante talvolta possa essere più laborioso, anche solo per assenza di privacy causa il furto del libero arbitrio subito da chi non è più autosufficiente, o più faticoso quando alle barriere architettoniche si aggiungono gli imprevisti logistici. E in più, con il venir meno di una vita sociale dinamica, si è maggiormente esposti all’alea di incontri “a sorpresa”, vere e proprie puntate d’azzardo al buio o al doppio buio come nel racconto che segue, dove un. pruriginoso incontro al buio in una stanza completamente buia diventa improvvisamente claustrofobico, sebbene per altri motivi.
? Un tuo amico di Orvieto, sapendo che stai cercando di pubblicare il tuo libro, ti mette in contatto con una sua amica “autrice di un romanzetto ove si tratta di guarigioni & miracoli”, per dirla con il verso di una nota poesia. Attratto da eventuali prospettive editoriali più che dalle sue dubbie competenze sovrannaturali, le fai recapitare una bozza dattiloscritta del libro.
Dopo un po’ di giorni lei ti chiama, apparentemente entusiasta; ma mentre il tuo pensiero vola su esaltanti e inaspettati scenari attraversati da Rizzoli, Mondadori, Einaudi lei, invece, come giustappunto si conviene a una scrittrice di successo degna di questo nome, si limita a elargire solo qualche buon consiglio. In stretto dialetto umbro:
«Atti’, vedi, tu ae da sbatte’ sul muso de chi legge tutte le cazze tue… Ae da esse incazzato e nun ae da esse’ impaurito de esse’ come see… Anze, j’ae da sbatte’ sul muso le tu’ dolore, le tu’ paure… Atti’, j’ae da fa’ male!…».
Continuerà così, con quella cadenza gergale un po’ caricaturale, ad autocelebrarsi impartendo le istruzioni su come si deve scrivere un’opera – va da sé – di successo. Dei tanto auspicati appoggi in campo editoriale neanche una parola!
Dopo questo primo approccio, però, lei incomincia a tampinarti a più riprese in modo da instaurare una corrispondenza telefonica, verrebbe da dire di amorosi sensi, tanto per buttarla nuovamente sul poetico. Con una piccola incursione nel comico, visto che il suo modo di parlare per certi versi pare scimmiottare quello dell’operaia marchigiana in Straziami ma di baci saziami, appunto un film comico.
Con il passar del tempo la scrittrice di successo si fa più audace. Dapprima indaga se si può fare, e appurato che si può, magari con qualche aiutino, dà libero sfogo alle sue fantasie erotiche. Vorrebbe incontrarti in modo particolare, come aveva già fatto, racconta, con il suo attuale compagno dal quale, al primo appuntamento in una buia stanza d’albergo, si era fatta trovare nuda nel letto. L’attizza l’idea di ripetere con te l’esperimento a parti invertite (che sia anche una mignotta di successo?…). Cerchi di spiegarle che la cosa è tecnicamente di difficile attuazione: stai seduto su una sedia a rotelle e non sei autonomo, qualcuno dovrebbe provvedere alla bisogna e questo dovrebbe smontare tutta la messinscena. Sarà meglio accordarsi su una via di mezzo, lasciando perdere le nudità.
Il giorno prima dell’appuntamento, lei è già in fermento. Provenendo dall’Alta Italia, si ferma prima a Orvieto dove è prevista una messa a punto tra pedicure, manicure, parrucchiere e lampada abbronzante: vuole presentarsi al massimo della sua bellezza, ma visto che avete deciso di incontrarvi nel buio della tua stanza da letto, la cosa sembrerebbe un tantino superflua. Non te ne curi più di tanto, anche se cresce il pathos.
Il momento fatidico è fissato per il giovedì pomeriggio, giornata in cui ci sono due persone che possono aiutarti ad allestire il set. Nell’attesa lei va un po’ in giro per Roma. Ti telefona più volte. ? ansiosa, e pure tu lo sei… al netto dello slang.
Prima dell’orario stabilito, chiedi ai tuoi assistenti di chiudere le persiane e i battenti delle finestre (ne hai tre!), impapocchiando qualcosa tipo «Deve venire una mia amica a cui voglio fare una sorpresa… Cioè, no! Voglio dire uno scherzo… Insomma, uno scherzo che sia anche una sorpresa… Sono anni che non ci vediamo con questa mia amica… ? una vecchia e cara amica… Sicuro proprio un’amica, niente di più lo giuro… Sapete come vanno queste cose… Mi raccomando non fate capire niente…». Dopodiché loro non capiscono un accidente, come te d’altronde, di quello che hai blaterato, ma non sembrano molto interessati ad approfondire anche perché, per come si danno di gomito, hanno già capito a sufficienza.
Alle 16.30 precise suona il citofono. Tu stai sulla carrozzina elettronica al centro della stanza, posizione strategica davanti alla porta dove filtra un raggio di luce. Cresce uno strano mix di pathos, curiosità e senso del ridicolo. Dopo un po’ suona il campanello di casa: è lei. I tuoi assistenti, resi ancor più curiosi dal tuo vaniloquio, vanno ad aprire. Senti un tenue parlottio. Passi lenti e incerti si avvicinano. Qualcuno, lo avverti chiaramente, bisbiglia «Di qua, non si preoccupi la guido io…» finché la sua figura non si profila indistinta davanti l’uscio: sembrerebbe esile, con un paio di pantaloni bianchi che argutamente – siamo ai primi di aprile – riconosci come primaverili; provi a soffermarti sulla capigliatura e sul suo viso… Non distingui bene, c’è qualcosa di strano… Cerchi di capire… Allunghi lo sguardo pur nella penombra… Ecco, sì, adesso metti a fuoco: c’ha una benda, o forse una mascherina, sugli occhi! Finché, dopo qualche attimo di imbarazzato silenzio, chi la teneva per mano se ne disfa e te l’ammolla.
Prudentemente, raccomandi ai tuoi assistenti di chiudere la porta prima di andar via, così da evitare che il tuo scrupoloso badante segua le orme di un suo rozzo predecessore, che irrompendo in camera al grido di «Signor Atti’!… Signor Atti’!…», si trovò di fronte a una tipa seminuda che maneggiava qualcosa di insolito come una siringa di insulina. La deprecabile congettura che si trattasse di eroina fu brillantemente scongiurata dall’immagine di quel pene in smagliante attesa della sua dose di prostaglandina, – per la cronaca poi rinviata, diciamo, per invasione di campo.
Una volta che i tuoi “complici” sono andati via, tendi le orecchie per sentire se dalle scale provengono lazzi e sghignazzi, più o meno sfrenati. No, forse sono solo contenuti, o quanto meno sostituiti da qualche salace commento tipo «’Sti due scemi…», o qualcosa di simile.
Nel frattempo, nel buio pesto della tua stanza lei si è come aggranchiata sulle tue gambe: con un certo sollievo trovi conferma della prima impressione, è proprio uno scricciolo e non grava troppo. In silenzio, finora siete stati sempre in silenzio, per fortuna verrebbe da dire, perché una botta di vernacolo umbro, sulla falsariga dell’eloquio dell’operaia marchigiana interpretata da Pamela Tiffin, infliggerebbe un colpo mortale alla fragile suggestione del momento. Adesso quella specie di donna ragno incomincia a tastarti come se volesse prendere conoscenza delle tue fattezze: ti accarezza i capelli, prende atto che sono irregolari, forse ricci o ondulati, comunque non lisci; passa le mani sulle guance, non hai la barba; tocca il naso – pare colpita –, si attarda e realizza che è un grosso naso. Scivola poi sulle tue braccia, non sono muscolose; accarezza le mani, non sono tozze; passa le mani sul petto, hai una camicia. Con una certa nonchalance sfiora la patta dei pantaloni – non pare colpita –, e ritorna a toccarti il naso quasi volesse scambiare le ultime due impressioni tattili. Passa le dita sulle tue labbra e avvicina le sue come se volesse baciarti: avverti in tempo un alitare sospetto, per non dire mefitico, e schivi in tempo la manovra. Lei non si perde d’animo e come se ci vedesse insegue, bramosa, le tue labbra. Ansima e sfiata maleodorante, sempre più infoiata. La situazione è disperata: ti senti braccato, ti manca il respiro, devi trovare una via d’uscita. Le scosti allora la testa, poi con un gesto repentino le sfili la mascherina e infine proponi, accattivante:
«Possiamo fare per carnevale?!…». ?