Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Vento di Libeccio” di Attilio Spaccarelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Estate. Non si può andare a nuotare perché la piscina che frequenti viene scoperta e diventa un attraente ritrovo immerso nel verde meta di famiglie con molesta pipinara al seguito. Dato che nel pacco dono ricevuto dalla sclerosi multipla tra i vari regalini c’è anche il gravame della fisioterapia, vorresti coprire i mesi di pausa-nuoto con qualche altra attività sportiva.
   Cercando delle alternative vieni a sapere di un corso di vela organizzato da un noto circolo romano. “Mi piacerebbe…”, pensi. Prendi perciò contatto con la segreteria e rapidamente ti iscrivi al corso. Durerà una settimana, prevede lezioni pratiche e teoriche e si svolge a Fiumicino, un po’ fuori Roma, ma, niente paura!, è prevista una navetta.
   Mancano ancora alcune settimane e cominci a temere di esserti fatto trasportare dall’entusiasmo: “Forse ci sono troppe difficoltà e poi come fare con la pipì?”. Già, il solito problema della pipì: stando soli a chi si può chiedere una mano? Tutta gente sconosciuta… Stai quasi per rinunciare, quando ti viene in mente l’apparato con i condom, sui quali però sei sempre stato un po’ scettico: “Mah, adesso magari funzionano meglio…”. Ti rechi perciò in una sanitaria dove ti spiegano che usando sia delle fascette sia delle colle particolari si ottengono ottime tenute. Bene, acquisti la confezione e sei nuovamente gasato.
   Il corso inizia il primo lunedì di luglio.
  La domenica mattina tua sorella, forse un po’ troppo entrata nello spirito della vacanza last minute, compra a Porta Portese una bella maglietta stile marinaretto, il cappellino per non prendere troppo sole (“«Mamma diceva sempre…»”), un marsupio e una custodia per il cellulare, che tu non hai, ma non si sa mai.
   Il lunedì il tuo assistente, un peruviano di nome Mosè che puzza sempre di pesce perché lavora in una pescheria, viene puntuale alle 8 di mattina. Dopo la doccia, prima di vestirti completamente, pensi di metterti il condom. Ti fai sdraiare allora sul letto, spargi un po’ di colla sul pene e, siccome è consigliabile cercare di ottimizzare l’aderenza, incominci a stuzzicare il pistolino sotto lo sguardo interrogativo di Mosè, che verosimilmente si sta anche chiedendo la funzione di quella crema erotica. L’atmosfera non proprio da luci rosse, la puzza di pesce e lo sguardo di Mosè, adesso più vicino al rimprovero che al dubbio, ti fanno farfugliare:
   «Quando sono solo, riesce meglio».
   Mosè non dice niente ma probabilmente se lo augura per il tuo bene.
  Comunque sia, una mezza cosa si realizza ed è quel che basta. Mosè poi, sempre più imbarazzato, stringe con una fascetta e ti veste.
   Il luogo di raccolta della navetta è all’ex Velodromo Olimpico, che adesso nella sua desolazione fa un po’ tristezza, pur evocando i bei ricordi di quando assistevi alle imprese di Gaiardoni alle Olimpiadi di Roma ’60. Ci sono altri tre partecipanti al corso apparentemente normodotati.
   Ti caricano con la sedia a rotelle in fondo a un pulmino, mentre gli altri tre passeggeri si accomodano sui sedili. Al volante uno psicolabile che guida come un forsennato, eccitato da un clima di tifosi in trasferta, incurante del fatto che la tua carrozzina sbandi paurosamente da un lato all’altro del pulmino. Per di più uno dei passeggeri, alto e grosso, fuma come un assatanato e ogni tanto ti guarda ridendo di cuore: si vede che, beato lui, si sta divertendo.
  Si arriva stranamente incolumi al circolo nautico, dove si unisce al gruppo una coppia di pensionati. Vengono distribuiti una T-shirt col classico disegnino del timone, un giubbotto salvagente e del materiale didattico. Fa caldo e nella mattinata è prevista la teoria; dopo mangiato, pratica in barca. Prima di iniziare, un buffet per la colazione. Tu ancora non hai collaudato il condom e prudentemente lo tieni sotto osservazione; nel frattempo sarà bene evitare roba liquida.
  Inizia la lezione teorica e un istruttore, molto preso dal ruolo, la prende alla lontana parlando dettagliatamente dei venti. Il caldo, il sonno, la noia formano una miscela diabolica: vorresti buttare la testa sul tavolo e farti una ricca dormita. Cerchi di resistere con degli sforzi sovrumani e incominci a chiederti chi te l’ha fatto fare: “Stavo tanto bene a casetta mia!”.
   Dopo circa un’ora di spappolamento di palle, giungono salvifici i segnali diversivi di una pipì incipiente. Controlli mentalmente il grado di tenuta del condom: ti sembra che il pistolino si sia un po’ ritirato, ma in ogni caso non puoi far niente se non sperare che sia un ritiro parziale. Sai che devi fare pipì e dici a te stesso “La faccio o non la faccio?”, ma sai anche che non puoi resistere tanto a lungo, quindi tanto vale la pena farla. Un’ultima controllatina e via! Timidamente, come banco di prova, lasci partire un primo flusso. Sembra tutto a posto, ti rilassi e decidi di lasciarti andare: “Meno male…”. Non fai in tempo a rallegrarti che avverti la sensazione di un calore liquido che scende dalla coscia verso il sedere: “Porc!…”. Valuti la situazione. Non ci sono tracce esterne, speri di esserti sbagliato sulla sensazione che hai provato, ma non ci credi tanto. Però non si vede niente, quindi forse il danno è limitato.
   Rasserenato dall’evidenza fattuale, rivolgi la tua attenzione alla lezione. Cerchi di provare un minimo di interesse quando senti il termine bolina, che riecheggia le imprese di Luna Rossa. Ma, oltre a non capirci niente, realizzi che non te ne frega niente della bolina, della vela e… della coppa America. Vorresti solo stare a casetta tua… E poi hai sonno. L’istruttore è sempre preso dal suo ruolo, il resto della classe sembra interessato quanto te, ma almeno non si sta pisciando addosso. Perché hai avvertito un nuovo stimolo. Speri solo che il tutto rimanga circoscritto o per lo meno non vi siano fuoriuscite dalla carrozzina. Provi a capire se c’è qualcosa che sgocciola fuori… Non vedi niente e ti consoli pensando che se non altro rimane tutto in famiglia.
  Il suono della campanella viene accolto come un atto liberatorio dalla sonnolenta platea e arrivano panini e bevande. Guardi con languore le bibite pensando che sia meglio non sfruculiare ’a mazzarella ’e San Giuseppe, in tutti i sensi. Vorresti mangiare qualcosa, se non altro per riprenderti da quella rottura di coglioni della lezione e dare un senso alla mattinata. Prendi un panino e, ma sì al diavolo!, anche la Coca-Cola. Il panino sembra scarso, ma ti consoli con la Coca-Cola. E come se ci fosse una linea diretta tra la bocca e la vescica, puntuale la terza pipì, questa volta evasa in perfetta beatitudine. «Mah, forse mi sono sbagliato» pensi con poca convinzione constatando l’assenza di gocce e rivoli nei paraggi della carrozzina.
   Dopo pranzo una breve pausa. Si potrebbe fare una pennichella, se solo potessi stare sulla carrozzina elettronica “A casetta mia…”. Qui si sta scomodissimi, la schiena è a pezzi e il sedere, per l’attrito esercitato sui glutei, fa un male cane. A ogni modo ridendo (gli altri) e scherzando (sempre gli altri) si è arrivati alle 14. Dopo la pratica ci sarà il ritorno a casa.
  Sei piazzato in fondo alla sala e guardi con distacco quello che succede intorno a te, anche perché ritieni che la prova pratica non ti riguardi. A un certo punto sbucano due tizi che si avvicinano a te: uno di loro prende la carrozzina e avviandosi con una certa destrezza verso la banchina esclama:
  «C’ho mio cognato che sta come te…».
  Vorresti commentare che è una bella fortuna, ma poi non sapendo individuare bene chi è il fortunato, soprassiedi. Vi accostate alla barca:
  «Come preferisci che ti prendiamo?».
  «Per fare cosa?» chiedi allarmato.
  «Per la prova pratica con la barca» rispondono candidi.
 In un batter d’occhio metti a fuoco la situazione. Sei senz’altro bagnato e non pensi sia plausibile metterla sul sudore, posto che comunque avrebbe uno strano odore di orina. Fai resistenza:
  «Mah, forse è meglio cominciare con gli altri… Così sulla digestione…».
Insistono, forse per essere gentili. Sai che non c’è scampo e quindi ti arrendi. Tra l’altro una passeggiatina in barca non sarebbe male. Uno ti prende sotto le braccia e l’altro fortunatamente giù vicino alle caviglie.    Ti calano in barca. Si parte.
  Mentre è al timone l’istruttore riepiloga – ove ve ne fosse mai stato bisogno – come vanno affrontati i venti, e dal suo ottuso accanimento didattico ti vien da pensare alla disperazione dei suoi congiunti quando hanno la cattiva idea di lasciare una finestra aperta…
   In ogni caso il giro in barca è piacevole e poi l’odore del mare ha sempre il suo fascino.
  Una volta tornati ti devono tirare fuori dalla barca, e tu sei un po’ più tranquillo perché il tuo bagnato potrebbe essere causato dall’acqua del mare… sempre che poi non si odorino le mani… comunque potrebbero non accorgersene… e se invece hanno un buon olfatto?… ma chissenefrega!
   Ti parcheggiano sotto un pergolato dove potrai assistere alle altre regate. Improvvisamente, però, si alza troppo il vento e la prova pratica viene interrotta. Si riprenderà domani.
   Si ritorna a casa. I partecipanti al corso sono contenti e scherzano tra di loro. Tu sei sempre sballottato in fondo a un pulmino che lo psicolabile guida ancora a manetta, adesso per la fretta di tornare, e stai pensando a come disimpegnarti dal corso. Prendi il cellulare dalla custodia (visto che ti serviva?) e telefoni a tua sorella per farti venire a prendere. In due ti sollevano e ti mettono sul sedile della macchina:
   «Ci vediamo domani!».
  Un attimo di riflessione e dopo esserti bagnato un dito fai il classico gesto di saggiare il vento; dopodiché, sornione, esclami:
   «Mah, temo che con questo vento di libeccio domani non si potrà uscire in barca…».
  Ti guardano perplessi: a quest’ora la calura di Roma è insopportabile e non si avverte nemmeno un refolo di vento. Si staranno probabilmente chiedendo se li stai prendendo in giro o se durante la lezione sono stati traditi da un colpo di sonno.
  Non lo saprai mai. Per il resto della settimana, infatti, invece che con lo stress da pipì sarà meglio misurarsi con quello… da pipinara.

 

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