Premio Racconti nella Rete 2025 “Novantesimo anniversario della Liberazione” di Paolo Ceccarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Il novantesimo anniversario della Liberazione si avvicinava ed era chiaro che le celebrazioni si sarebbero fatte solo perché si doveva, visto che era cifra tonda, già dall’anno prossimo, ormai era quasi ufficiale, sarebbe stata abolita la festività lavorativa e scolastica e solo per il centenario, forse, si sarebbe organizzato qualcosa di serio.
Del resto la senatrice rompiballe era schiattata da un po’ e nessuno se la ricordava e con lei se ne erano andati ed erano stati dimenticati tutti gli ultimi reduci e superstiti vari; a nessuno importava più di guerre, morti, eroi, eroismi, esempi, eredità e lasciti morali, prevalevano noia e fastidio: i ministri fecero sapere che sarebbero rimasti a Roma e anche i parlamentari locali si scusarono con l’organizzazione ma erano impegnati altrove.
Il Prefetto colse l’aria e visto che si trattava di tempo perso, incaricò il suo Vice, subito imitato da tutte le altre autorità: l’ennesima piccola vessazione che il Vice a due mesi dalla pensione mandò giù, come aveva mandato giù tutte le altre, fingendo di non capire il disprezzo che sottintendeva e rassegnandosi al discorso in pubblico, cosa che odiava fare per via della leggera balbuzie e della quasi certa cattiva figura.
La mattina della cerimonia oltre tutto pioveva, non tanto forte da annullare tutto ma abbastanza per dare fastidio. Due mesi alla pensione, pensò il Vice, finiamo in fretta.
Alzabandiera accompagnato da inno cantato con mano sul cuore, vigili urbani in uniforme da cerimonia non impeccabile che posano la corona e quindi il Vice nella noia generale ricordò come il 16 ottobre 1943 era iniziata, grazie all’alleato germanico, la definitiva liberazione dell’Italia dal giudaismo. Per non sbagliare, anche a due mesi dalla pensione potevano fargli un procedimento, seguì in maniera ordinata la circolare ministeriale che era arrivata la settimana prima e riuscendo a non balbettare, dopo aver rammentato il peso che il giudaismo aveva sempre rappresentato per l’Italia e i danni che aveva causato allo spirito italiano, condannò lo sterile pietismo di certi storici moderni, auspicò il futuro superamento delle ormai vetuste divisioni ideologiche che tanti lutti avevano portato al paese grazie alla nefasta azione di agenti giudaici, bolscevichi e liberali e concluse con un ricordo dei martiri che avevano versato il loro sangue nella rivoluzione, nelle guerre e nella resistenza al nemico straniero. Ci fu un accenno di applauso, di nuovo l’inno e tornò in ufficio a firmare mandati di pagamento, a piedi visto che, altro piccolo sfregio, avevano richiamato la macchina di servizio.