Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Era matto” di Matteo Colibazzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Todd Simpley non era tanto alto. Ma nemmeno tanto basso. Se qualcuno fosse stato costretto a scegliere, l’avrebbe definito di sicuro più basso che alto. Ma in generale, la gente non lo identificava mai per la sua altezza, quanto per la sua stazza, d’una rotondità che sembrava crescere di giorno in giorno. Che se lo vedevano al lunedì e poi al martedì, sembrava più grosso. Di fronte a una tale vistosità del peso rispetto alla statura, a nessuno sarebbe mai importato di quanto fosse alto.

Eppure quella particolarità del fisico non era la caratteristica che lo identifica meglio. Era un aspetto morale, un’attitudine dell’anima e non del corpo che lo descriveva ancora di più: Todd Simpley era matto.

O almeno così lo definiva chi lo aveva visto. “Ma che fa?” “Quello è matto?” “Avete visto?” “Mai visto un matto che fa così.”

In effetti Todd Simpley, così, di punto in bianco e senza apparenti motivi, si metteva a ballare. Per strada, in mezzo alla gente. Posava la ventiquattrore sul marciapiede appena prima di attraversare la strada, assumeva un sorriso pieno ma a bocca serrata, tendeva un braccio e lo incurvava, come a cingere un’altra persona immaginaria e iniziava. Iniziava dei passi di danza non meglio identificati, girando su sé stesso e andando avanti e indietro. Invadeva molte volte la strada, rischiando di finire contro un’auto. Era lento, ma costante. Qualcuno scommetteva che emettesse dei piccoli gridolini con la bocca, come a seguire una melodia. Dopo cinquanta, cento, forse mille giri, Todd Simpley si fermava. Si ricomponeva, riprendeva la ventiquattrore e proseguiva per la sua strada.

La scena si ripeteva senza apparenti schemi temporali e poteva capitare di veder Todd Simpley ballare in qualsiasi momento. Come di non vederlo mai.

C’era chi diceva di averlo visto ballare mentre cantava a squarciagola; chi raccontava di avergli visto fare capriole in aria; chi giurava di averlo osservato mentre saltava nel vuoto. Erano tutti preoccupati a spararla più grossa, a poter dire di esser stati spettatori di quel matto di Todd Simpley. Pochi, o forse nessuno si chiedeva chi fosse e perché facesse così.

Ma una volta, sotto una pioggia leggera ma incessante, Todd Simpley si fermò subito prima di un attraversamento pedonale. Posò la ventiquattrore. Poggiò l’ombrello sull’asfalto senza chiuderlo. Si sistemò la giacca e iniziò la sua danza. La valigetta cadde a terra e da una delle tasche esterne, probabilmente chiusa male, uscì una fotografia. Del solito gruppetto che si creava quando Todd Simpley dava prova della sua stravaganza, un signore di mezza età, ben vestito e incuriosito dalla scena, raccolse la fotografia e la guardò. Nell’immagine c’erano Todd Simpley, una donna e un bambino. Quella che, con tutta probabilità, era una foto di famiglia. Non appagato, il signore di mezza età si avvicinò a Todd Simpley, ancora volteggiante e con coraggio disse:

«Senta… mi scusi…»

«Mi dica» disse Todd Simpley con tono fermo ma compiaciuto.

«Ma lei perché balla così… per strada… E poi con chi balla?»

«Danzo con la vita. L’unica con cui ne valga davvero la pena.»

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