Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “La prima rata di paradiso” di Olga Foti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Adesso per fare questo mestiere ci vuole il concorso, e c’è anche gente laureata, ma una volta, se un figlio non andava bene a scuola, non studiava, gli dicevano: Finirai per fare lo spazzino.

Io lavoravo in un quartiere di periferia, tanti alberi, e all’inizio della primavera foglie piccole, non ancora verdi. D’oro sembravano quando ci batteva sopra il sole, e io restavo fermo a guardarle, in mezzo alla strada.

“Oh, imbranato, gridava il mio collega, ti arriva addosso una macchina!”

E rideva. Anche quelli del bar ridevano. È tonto, dicevano di me, ma così, senza cattiveria. Brava gente, lavoratori, come tutti nel quartiere.

La signora della casa rossa, quella di fronte al bar ma con il portone nella stradetta Del Gesù, aveva un gelsomino alla finestra, un gelsomino bianco, e mi salutava con la mano se mi vedeva col naso in su a guardare la sua pianta. Certe volte mi chiamava per darmi un pezzo di focaccia ancora calda, fatta da lei.

Brava gente, davvero.

Alcuni son morti, due o tre li ho ritrovati al bar, parlano ancora di politica, dicono che quelli del governo non ci pensano ai lavoratori.

Di queste cose io non ci capisco niente.

Allora è stato proprio al bar che ho visto Giulia per la prima volta. Non so se era bella, nemmeno di donne ne capisco io, ma subito ho sentito dentro un gran calore anche se c’era freddo e fuori gelavano le pozzanghere, e le manigni mattina l’aspettavo. Vedevo il cappotto rosso da lontano e mi infilavo nella stradetta Del Gesù per non farmi vedere da lei e dal mio collega. Sapevo che lui avrebbe riso. Stavo fermo con la scopa e la paletta, Giulia svoltava l’angolo, arrivava nella piazza, e per un istante il mio cuore si fermava.

Ogni mattina.

A volte entrava nel bar oppure si fermava davanti alla vetrina del negozio dove vendono vestiti e altre cose che usano le donne, poi andava via e io riprendevo il mio lavoro.

“Dimmi, parlami di lei” diceva a casa il mio amico. Un amico che mi ero inventato io ma mi faceva lo stesso tanta compagnia.

“Com’è?” chiedeva.

“Chi, Giulia…? Ha un viso fino fino, come fosse fatto d’aria, e le ciglia lunghe come quelle delle bambole. È… non so spiegare, fa venire in mente un fiammifero, i fiammiferi che chiamano Svedesi, quelli lunghi con la capocchia chiara. Non so se è bella.”

“Ma sì che è bella, bellissima, sei fortunato, tu!”  

E non si accontentava, voleva sapere come Giulia muoveva le mani, e come camminava, con la borsetta e le scarpe col tacco, e del cappotto color dell’anguria quando è matura e scricchia se la spacchi col coltello.

“Sai, stamattina aveva una sciarpetta, rossa anche quella, e i guanti.”

“Com’è pettinata?”

E io gli spiegavo: “Ha i capelli che le arrivano un po’ sotto le orecchie, e certe volte mette un fermaglio, uno solo, dalla parte del cuore.

“Sosta sempre davanti alla vetrina a guardare le calze e le sottane?”

“Non sempre, certe volte sembra aver fretta.”

Sorrideva il mio amico o domandava senza il punto interrogativo nella voce: Sei innamorato, vero, sei felice. Poi volgeva lo sguardo alla finestra e mi chiedeva del tempo.

“Com’è oggi? Ha nevicato?”

“Sì, una nevicata dolce, all’antica, Giulia non prenderà troppo freddo uscendo dal lavoro.”

“Lavora? Che lavoro?”

“Va in fabbrica, la fabbrica dei jeans; al bar dicono che fa anche le marchette  ma non so che significa.”

Lui sorrideva, diceva buonanotte e spegneva la luce. Io chiudevo gli occhi ma non dormivo, parlavo con Giulia.

Stela, dicevo, stelina, che dici se una volta andiamo in centro, piazza Duomo, la Scala, noi due, e ci restiamo fino a sera quando si accendono i lampioni e le luci delle insegne? E poi, in primavera, possiamo andare in camporela, conosco un posto non lontano, c’è il fiume e gli alberi, quelli con i rami che vengono giù fino all’acqua. Si chiamano… non so, un nome come sale, sale che piange. Ma non piangono mica, anzi sembrano contenti, anche loro.

“Com’è l’acqua del fiume?” chiedeva lei con un tono che non ammetteva delusioni.

“Oh, è limpida come l’anima dei santi, ha il colore dell’erba e corre per arrivare fino al mare. L’hai mai visto il mare tu? Io lo immagino come un cielo d’acqua con dentro le cose che uno ha sognato e non ha avuto mai.”

Certo non sono mai stato felice come allora. Come in paradiso. La prima rata di paradiso.

                                                                ____________

Il maresciallo era fuori di sé, gridava, batteva il pugno sul tavolo…

“Voglio andare in prigione, signor maresciallo.”

“In prigione ci andrai, stai sicuro, ma prima dovrai dirmi perché hai ucciso, all’improvviso, con il randello e il bastone della scopa. Tutti dicono che eri un tipo tranquillo.”

“Mi mandi in prigione, signor maresciallo, mi faccia dare la pena di morte, si può?”

Dall’altra parte del tavolo il maresciallo ebbe uno scatto, bastabasta!, si mise le mani sulla fronte come a stringersi le tempie o coprirsi gli occhi, poi rivolto al brigadiere: “Vieni qua, prendi il mio posto, altrimenti faccio uno sproposito, mi rovino la carriera per questo fesso. È tutta la mattinata che va avanti così!”

Si alzò, raggiunse la porta e la fece sbattere con forza alle sue spalle.

Il brigadiere prese il suo posto. Era giovane, parlava come Pepiné al bar,E va bbuo’ va bbuo’, aggio capito, mo’ parlammocce i’ e tte. Cominciamo daccapo.

Ma io non ho detto niente, e sono stato zitto anche con l’avvocato e il giudice, e anche adesso che sono uscito di prigione.

“Sono contento che tu sia di nuovo qui” mi ha detto l’altra mattina il padrone del bar. Ha ancora tutti i capelli, bianchi però, e parla sempre di politica, ma senza scaldarsi come una volta. Non so, è come rassegnato.

Mi guardava e mi batteva la mano sulla spalla: “Bene, bene, sei uscito…”

“Sì, mi hanno dato la seminfermità e la buona condotta”

Alla finestra della casa rossa non c’era più il gelsomino e nemmeno la signora che mi dava la focaccia, ma nella piazza gli stessi alberi, e per terra tante foglie, come allora.

“Come ti trattavano in prigione?”

“Oh, bene, davano la minestra calda tutti i giorni e c’era brava gente, come qui. Anche loro dicevano che ero tonto, ma così, senza cattiveria.”

Nella stradetta del Gesù due spazzini giovani, coi guanti.

“Entra, ti offro il caffè. Siamo rimasti in pochi ormai… L’hai saputo? Il Tonino è morto, anche il signor Rana.  Il Lungo non l’ho più visto, e nemmeno Pipiné, il napoletano. Te lo ricordi? Spariva per giorni e poi diceva: aggio tenuto ‘nu poco che’ ffa.”

Parlava corrugando la fronte come volesse strizzarla per farne uscire le persone che non c’erano più, poi tacque quasi avesse perso tutte le parole. Preparava la macchinetta del caffè, lavava le tazzine e continuava a fissarmi. Anch’io lo guardavo, aveva gli spunzoni della barba tutti bianchi, la pelle del collo che pendeva un po’.

“Te lo faccio corretto il caffè?”

Poi, all’improvviso, chinandosi un poco e con un tono di voce che non gli conoscevo:

”Senti, a me lo puoi dire… me lo devi dire, perché allora hai ucciso?”

Come potevo spiegargli. Quella mattina Giulia era comparsa all’improvviso con il cappotto rosso e le scarpe col tacco, non era mai arrivata così presto, e io sono rimasto lì, senza potermi muovere, in mezzo alla strada.

“Imbranato, oh imbranato!” diceva il mio collega, ma che ti prende?”

Io non rispondevo, non potevo rispondere, restavo fermo con la scopa e il rastrello, guardavo Giulia.

“Eh, tu… ma che ti prende!”

E poi battendosi la mano sulla fronte: “Ho capito…! Ho capito finalmente. È per quella, quella..!

 E ha cominciato a ridere.

Il risolino che ha sempre fra le labbra e la barbetta era diventato un riso che lo faceva piegare sulla scopa: Ah…! Oah…! e faceva segno con la mano: Ah, è per quella… la zoccola!”

Rideva, e quel suo riso inondava la strada, la piazzetta, mentre Giulia si stringeva la sciarpa intorno al collo come a volersi riparare. Con le mani piccole, coi guanti. E lui non si fermava, la bocca spalancata, i denti come quelli dei piragna. Rideva di Giulia e Giulia era la mia ragazza, anche se lei non lo sapeva.

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