Premio Racconti nella Rete 2025 “¡Ay, Carmela!” di Franco Maresca
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Dalla strada saliva il rumore dei passi pesanti delle forze speciali dell’esercito, con il loro carico di ansie e cattivi umori. C’era un’operazione in corso. Forse cercavano qualcosa, o qualcuno.
Carmela era oramai abituata, come tutti, a queste agitazioni. Preparava la cena, infastidita dal trambusto ma distaccata da quanto avveniva fuori. Quando la confusione però si trasferì per le scale del grande stabile dove abitava, si fece crescente e sgradevole la preoccupazione.
Suonarono a molte porte, infine vennero alla sua. I soldati, mostrate le credenziali fecero una rapida e severa ispezione nel suo appartamento. Fu chiaro, quando vide aprire le porte degli armadi invece dei cassetti, che cercavano una persona e non un oggetto.
Dopo l’irruzione, ripugnante, tornò ai fornelli. Terminato il pasto sentì scampanellare alla porta. Restò sull’ingresso, bloccata da un presagio negativo. Suonarono ancora, guardò dallo spioncino e riconobbe Gabriel, il tipo della scala “F”, quindi aprì.
“Ciao Carmela. Mi fai entrare un attimo?” Non era una richiesta troppo insolita: i due si conoscevano. Conosceva anche la giovane figlia trentenne e la moglie, morta però, due anni addietro. Spesso si erano incrociati chiacchierando al parco, per via dei loro cani. Sporadicamente l’uno si era affacciato nell’appartamento dell’altro, per chiedere cibo o accessori per i loro amici a quattro zampe, oltre alle frequentazioni dovute alle riunioni condominiali.
L’istinto prevalse sul presagio e le preoccupazioni, e lo fece entrare. “Accomodati.” E subito aggiunse “Cosa ti occorre?”
Gabriel era visibilmente agitato e confuso. “Posso fermarmi qui da te… giusto il tempo di riordinare le idee…” e sospese la frase. Carmela rimase interdetta, ma l’altro la incalzò, venendo allo scoperto. “Forse l’esercito mi sta cercando. Dammi qualche minuto, posso spiegarti. Si tratta di mia figlia Claudia.”
Mentre parlava il suo viso esponeva un campionario di piccole rifrazioni della sua angoscia. Gesticolava, all’impiedi, sembrava tentasse di afferrare cose inesistenti nel vuoto. Aveva un aspetto assente, a tratti sembrava tremare.
“So che sono già passati da te prima. Non lo faranno ancora a breve, è quasi certo.” Vide la donna vacillare e aggiunse deciso “Ti prego. Ti supplico. Fammi dire.”
Carmela, combattuta tra il cacciarlo e il comprendere cosa stesse capitando, si sentì come circuita da quelle implorazioni perentorie. Temporeggiando indicò all’uomo la sedia vicina alla tavola, ancora da sparecchiare. Non realizzava la situazione ma avvertiva chiari i rischi del lasciarsi coinvolgere. Nonostante questo aggiunse: “Siediti. Vuoi un caffè? Lo stavo preparando per me.”
Gabriel si sedette e tentò di spiegare in breve del coinvolgimento della figlia in attività poco lecite, contro i provvedimenti liberticidi del governo. “Certo, Claudia forse ha passato il segno e io, per amore di padre, mi sono lasciato coinvolgere. Ho accettato di fare da tramite per una consegna di non so nemmeno cosa. Doveva portarmi un pacco, domani pomeriggio.” E nel dire queste parole si passava la mano sulla fronte sudata, vagava inquieto con lo sguardo. “Ma ora il mio appartamento è stato probabilmente individuato come luogo di scambio, tramite chissà quale intercettazione o fuga di notizie. Sarà sorvegliato! Non credo di poterci nemmeno rientrare. Se domani verrà la arresteranno, la condurranno nelle prigioni speciali e la tortureranno, capisci?”
Carmela mentre versava il caffè si trovò catapultata nel passato dalle parole prigione e tortura. Come si era potuti arrivare a questo orribile presente. Sempre che fosse tutto vero quel che dicevano poche testate giornalistiche sulle sevizie agli arrestati. Constatò poi con stupore e allarme che una donna quasi sui sessant’anni – pressappoco gli stessi del suo temporaneo ospite, o rifugiato – dovesse confrontarsi con aberrazioni incontrate fino a pochi anni prima solo in documentari sulle dittature Sudamericane o visitando le anguste prigioni dell’occupazione Nazista, in via Tasso.
“Gabriel, ma davvero torturano la gente?” Farfugliò Carmela. “Cioè, voglio dire… siamo a questo punto?”
Gabriel scoppiò a piangere, poi ritrovò la calma e la forza di replicare. “A questo siamo arrivati. So che avevamo pensato che non sarebbe mai più potuto accadere a Roma, alle soglie del ventiduesimo secolo. So anche che fatichiamo a capacitarcene, ma ti assicuro che alcuni amici di mia figlia hanno già sperimentato gli atroci trattamenti delle forze speciali.”
Carmela provò a visualizzare meglio l’uomo di fronte: non un pericoloso estremista, non un terrorista e nemmeno un rivoluzionario politico: era Gabriel, l’uomo che abitava oltre lo spiazzo del cortile. Certo, uno dalle idee progressiste e fin troppo democratiche e tolleranti. Ma quanto distanti dalle sue?
“Carmela. Devi farmi un favore” riprese l’ospite “io oramai temo di essere perduto. Probabilmente mi arresteranno. Ma Claudia la possiamo salvare.” Usò il plurale, forse nella speranza inconscia di coinvolgere la donna. “Abita a un chilometro. Da qui a casa sua c’è un solo posto di sorveglianza. Basta arrivare al supermercato: è il portone accanto. Il civico 77. Te…nessuno ti sta cercando, puoi arrivarci senza noie. Devi solo citofonare all’interno 13: quattro colpi corti e due lunghi. Quello è il segnale che le acque sono agitate, che non deve venire domani a casa mia… e anzi, se può, deve scappare lontano. Non posso mandarle messaggi: la rete è sicuramente controllata.” Aveva parlato tutto d’un fiato. Fece una pausa e terminò. “Lei può farcela a fuggire. Al momento non è ricercata…Non ancora, spero.”
Gabriel fissò la donna negli occhi. Lei non proferì parola, cercando vie di fuga. La mezz’ora che seguì fu un groviglio di silenzi. Poi lui reiterò ancora le sue preghiere ma alle dieci, garbatamente, Carmela lo invitò ad uscire, aggiungendo che aveva rischiato fin troppo. Quello lanciò il suo ultimo disperato appello e sparì per le scale buie.
Fu una notte tormentata. Carmela si ripeteva che l’indifferenza non è una colpa in certi frangenti ma un obbligo, che era giusto star lontano dai guai. Cercò una assoluzione rapida per quello che lontanamente avvertiva come un senso di colpa. Derubricò ogni cosa al rango di insondabili stranezze.
Al mattino dopo si alzò inquieta. Fece colazione e poi si diresse al supermercato, per fare la spesa. Buttò un’occhiata di fianco, al portone di Claudia. Esitò, ma poi si fece sotto alla fotocellula e le porte a vetri si aprirono. Ondeggiò tra gli scaffali e le merci, tentennando nervosa. Poche volte nella vita aveva vissuto quello stato di agitazione e di trance. Di colpo fece retromarcia verso le casse, uscì, girò verso il portone e alzò la mano fino al citofono. Digitò in fretta un codice che era slancio umano e solidarietà femminile: salvezza! Camminando come su una nuvola, riprese la strada di casa. Il mondo intorno rimase immobile e immutato. Ma ora Carmela era serena e sollevata: dentro di lei ogni cosa era completamente cambiata.
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