Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Todorov” di Franco Maresca

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Il cane scorrazzava nel prato. Poi si acquattò tra le radici e fece i suoi bisogni, che l’uomo prontamente raccolse con ordine, paletta e busta. Uscito dal parco rincasò. La moglie preparava la cena mentre gettava distratte occhiate alla grande televisione che occupava quasi l’intera parete alla sua destra.

“Lo hai lasciato in giardino Skelter?” Disse al marito appena rientrato.

“Certo Vera. Come sempre.” Rispose togliendosi il suo impermeabile.

“Bisogna stare attenti d’ora in avanti” cianciò masticando un cetriolo “se non vogliamo che faccia una brutta fine. Il notiziario ha annunciato un altro di quei «decreti di comunità» e dicono che sopprimeranno i cani sorpresi a fare escrementi fuori dai luoghi consentiti.”

“Nulla di cui preoccuparsi cara. Skelter non avrà modo di sgarrare con me. E francamente bisogna rinsaldarlo un pochino l’ordine, in questo quartiere.”

“Il decreto dice anche che si potrà sparare agli uccelli molesti sugli alberi con gli appositi fucili per volatili, a raggio corto. La vicina dice che ne comprerà uno a suo figlio, per farlo divertire.” E buttò giù quel che restava della cucurbitacea.

“Ottima notizia cara, non li sopportavo più pappagalli e corvi e soprattutto quegli odiosi gabbiani che svolazzano minacciosi. Credo acquisterò anche io uno di quegli attrezzi per sparare.” Disse lui con aria soddisfatta.

“E poi, recita ancora il decreto” il tono della donna si fece quasi ferino “ci sarà anche la possibilità di trattare con il sonnifero i poppanti che infastidiscono il condominio con i loro piagnistei. Basterà segnalarli al servizio in attivazione.”

“Ah!” Su questo ultimo punto Frederick non sembrò del tutto convinto e fece un’espressone inebetita, ma non sentendosi chiamato in causa e non essendo propenso alle questioni sui diritti degli altri, lasciò scivolare via e si sedette a tavola, fissando anch’egli l’enorme televisore. Cenarono e poi si addormentarono.

I due coniugi erano tipi grigi e ordinari, oltre i sessanta. Vivevano in un piccolo centro. Le loro giornate passavano simili: lavoro e amici lui, impegni di casa e amiche lei, raramente fuori a cena o per qualche film. Figli nessuno, di genitori sopravviveva il padre di lui, un po’ malconcio. Abitava al piano di sopra. La santa messa alla domenica mattina era un obbligo di fede e rispettabilità, anche se i sermoni di Padre Martin sui travagli dei cosiddetti “ultimi”, messi in pericolo da tutti quei decreti e – a suo dire – sugli enormi rischi della progressiva indifferenza e apatia delle persone, erano fastidiosi quanto quelli di quel Papa Argentino deceduto molti anni addietro.

Giorni dopo Frederick, rincasando dal lavoro, vide del trambusto e un’ambulanza di fronte al portone. Scansò schifato con il piede due pappagalli morti che qualche incivile aveva dimenticato di raccogliere dopo averli uccisi e salì al suo appartamento.

“Vera, sai mica cosa è successo?” domandò alla moglie che fumava davanti al grande schermo.

“Si. Hanno portato via il Sig. Todorov. Finalmente!”

“Come sarebbe, portato via? Intendi lo hanno ricoverato per un qualche malore?” Chiese alquanto sorpreso.

“Ma no. Intendo portato via” rispose distratta “forse ti è sfuggito l’ultimo decreto di comunità che da ieri autorizza a prelevare dalle abitazioni tutti gli anziani che danno in escandescenze e infastidiscono i condomini.” Schioccò le labbra. “Beh, quel Bulgaro di Todorov era un vegliardo pedante, a quasi novant’anni sempre a filosofeggiare di una società migliore e i suoi stupidi allarmismi. Oggi si era messo a strillare sulle scale con il Sig. Foer, così quello ha chiamato per farlo prelevare.”

Frederick sentì come una fitta allo stomaco. Pensò fosse il pessimo caffè che stava bevendo. Poi replicò – come non faceva di consueto – alla sua consorte.

“Ma cara. Non credi la cosa sia esagerata. Tzvetan Todorov certo non sarà il massimo della simpatia, ma… insomma, avrà pressappoco l’età di mio padre, è un povero vecchio. Ma poi… dove lo portano?”

“In un centro specializzato, dove si prendono cura di quelli come lui. Vedrai, si troverà benone. E anche noi, te lo assicuro!”

L’uomo sembrò tentennare: solo per un momento tutto quanto gli accadeva intorno gli parve assurdo, quasi grottesco e surreale. Poi valutò veloce che l’ordine ristabilito in città, rispetto alla confusione di qualche anno prima, era impagabile, la calma godibilissima e irrinunciabile. Eppure affiorò ugualmente, come un rigurgito di cose sopite, una domanda: “Vera, ma tu credi che tutto questo sia giusto?”

La moglie lo guardò, poi replicò quasi annoiata “Ma certo. Noi siamo assolutamente dalla parte giusta. Guarda.” Digitò compulsiva sulla tastiera del telefono e visualizzò il risultato sul grande televisore, connesso a parete “Guarda se non ti fidi, babbeo che non sei altro.”

Sullo schermo campeggiava il nome della loro città, al terzo posto nella graduatoria delle città più “giuste” degli ultimi tre mesi.

“Che sito è, Vera?” Chiese Frederick leggermente spaesato.

“Non mi dirai che vuoi ricominciare con quegli sciocchi approfondimenti di una volta per verificare le fonti e tutto il resto. Oramai ce le siamo lasciate alle spalle queste perdite di tempo. Siamo dalla parte giusta. É ufficiale. Non ti basta?” Rispose alterata.

“Si, direi di sì.” E la sua voce regredì, di colpo, al solito tono distratto. Mangiarono e andarono a dormire.

Due settimane dopo, mentre era in ufficio, il telefono di Frederick squillò insistentemente. Era il vicino Bertold, il marito della signora Helene. Voleva informarlo che suo padre, al piano di sopra, stava strillando come un ossesso e temeva che qualcuno nel palazzo, potesse chiamare il servizio per farlo prelevare.

Frederick corse fuori, dirigendosi verso casa. Entrò trafelato nell’appartamento del padre che ora dormiva, gracile e innocente sul divano. Senza svegliarlo lo prese in braccio, entrò in ascensore e poi lo caricò in auto. Percorse d’istinto un centinaio di chilometri, senza fermarsi. Dopo molti tornanti arrivarono a uno spiazzo di montagna dove accostò, al limitare del bosco. Intorno non c’era anima viva. Il sole stava tramontando e colorava magnificamente il cielo. Fece sedere il padre su una panchina e gli diede un sorso d’acqua, che questi deglutì veloce. Frederick lo accarezzò: fu preso dal desiderio incontenibile di abbracciarlo e lo fece. Si alzò, balbettò qualche passo incerto. Realizzò d’improvviso l’enorme distanza da casa, considerazione questa che lo pervase di un inspiegabile senso di calma e sicurezza. Tornò a sedersi accanto al padre che sorrideva, muto. Era disorientato e probabilmente non capiva nemmeno dove fosse in quel momento, ma sembrava sereno. Frederick si asciugò una lacrima, vide le chiamate senza risposta della moglie sullo schermo del cellulare, guardò l’ora tarda: provò smarrimento, e paura. Appoggiò la testa sulla spalla del vecchio. Era confuso, stremato dalle tante “impercettibili transizioni” quotidiane degli ultimi tempi. Domani, cercava di convincersene, tutto sarebbe stato più chiaro.

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2 commenti »

  1. Mi è piaciuta molto l’idea che hai sviluppato sulla “progressiva indifferenza e apatia delle persone” e come l’hai sviluppata: queste leggi che in un climax crescendo sfidano l’apatia del protagonista sono molto interessanti, lo portando addirittura a domandarsi: “ma è giusto?”. Personalmente, è un tema che ritengo essere reale, sopprattuto nelle grandi città dove ognuno tende a badare ai “fatti propri”. Tuttavia, il finale non mi è arrivato: vedo nella fuga del protagonista un inizio di ribellione forse?
    Complimenti 🙂

  2. GRAZIE per i complimenti ALICE. Il finale in realtà vorrebbe rendere un senso di spaesamento del protagonista che, coinvolto in prima persona per il pericolo incombente sul genitore avverte – ma senza vera lucidità – quanto le cose siano ben distanti dalla tranquillità pensata fino a quel momento. Il dubbio si insinua, la lontananza da casa è come un tepore che quasi inconsapevolmente ripara dal pericolo ma Frederick spera ancora che il mattino seguente dissolva quel senso di malessere per miracolo e non, come invece sarebbe necessario, intervenendo sulle cose in prima persona. Grazie ancora per l’attenzione. Un saluto. FRANCO

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