Premio Racconti nella Rete 2025 “L’ultima vigilia” di Vania Curci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Mi chiamo Mario. Mario Rossi. Sì, come quello delle barzellette.
Ho 76 anni e sono vedovo. Vivo da solo. Dopo che anni fa i miei risparmi sono spariti grazie a un simpatico impiegato della banca chi mi aveva fatto firmare un sacco di fogli, il Comune mi ha assegnato un alloggio popolare al Corvetto. Il posto fa schifo, ma ha il vantaggio di essere pieno di gente, cosa che mi fa sentire meno solo.
Quelli dell’appartamento accanto, per esempio: sono una coppia giovane, trombano tutti i giorni a qualsiasi ora. Le pareti sono sottili, e io sento tutto. Non mi disturba, anzi mi fa piacere. Non per quello a cui so che state pensando. L’amico laggiù è in coma da quasi 20 anni. No, è che se qualcuno è contento, sono contento anch’io. Ricordate Gaber? “Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri”.
Ho 2 figli. Franco e Maria. In famiglia non siamo mai stati molto originali coi nomi.
I miei figli si odiano praticamente da sempre. Non mi sento di dargli torto.
Franco è uno stronzo, o forse un coglione. Tutte e due le cose, direi.
Da ragazzo si è messo coi fasci. Capito? Un fascio in casa mia, comunista figlio di comunisti. Che litigate! La mia povera moglie, la Pina, si metteva le mani nei capelli e… piangeva, direte voi. No no. Urlava. “Via di qui, fascista di merda!”. Eh, la Pina non era proprio una contessa.
Poi il Franco è passato alla Lega. Chissà che si credeva, di fare carriera in politica? Ma se è più pirla del Trota! Risultato, non ha combinato niente nella sua vita. A 50 anni niente donna, niente figli, lavora un po’ sì e un po’ no.
La Maria invece non è cattiva. E’ proprio scema. Non le interessa niente, a parte il Grande Fratello e spazzatura simile. L’unica cosa che le riesce bene è pulire casa, e infatti fa la domestica.
Però si è sposata, con uno più mentecatto di lei. Quando era incinta sto bel tipo si è messo a frequentare degli anziani ex-tossici che il mercoledì sera si riunivano e pregavano facendo dei versi. Lo avevano convinto a chiamare il figlio Siddharta, ma la Pina ha minacciato di suicidarsi con l’acido muriatico. E siccome la Maria ci teneva tanto all’acido muriatico che scrosta il calcare da dio, non se ne è fatto niente. Quindi mio nipote si chiama Jonathan. Era meglio Siddharta.
Ma perché ci racconti tutte ‘ste cose? Chiederete voi. Perché mi annoio. Mi annoio a morte, è il caso di dire.
Son qui sdraiato per terra, tra il divano e il tavolo, da due ore. E’ la sera del 24 dicembre, fa freddo, il riscaldamento va poco, e il pavimento di graniglia è gelido. Insomma, come si dice a Milano, si barbella.
Son qua steso da due ore perché sono morto. Sì, avete capito bene. Proprio morto, secco, kaput.
Mi è venuto un coccolone subito dopo aver ricevuto la telefonata del Franco che mi comunicava gentilmente che col cazzo che avrebbe passato il Natale con la sorella e la sua famiglia di deficienti. Che anche di me si era stufato e quindi se ne sarebbe andato a Parabiago da un amico. Aveva già mandato un messaggio alla Maria che si era detta d’accordo, anche perché il marito da anni insisteva per fare il Natale con sua madre nella RSA dove è ricoverata in quanto completamente rintronata.
Ma io non ci sono rimasto male. Voglio dire, non è per quello che mi è venuto il coccolone. Il coccolone è come il Natale, quando arriva arriva.
E insomma sono caduto a terra come un sacco di patate. Mi ha trovato Fatima, l’altra vicina, una bella tunisina sessantenne, vedova anche lei, che ha le chiavi di casa mia che non si sa mai – appunto – , e con cui ci facciamo un po’ di compagnia. Niente di quello a cui pensate, ve l’ho detto che l’amico laggiù è morto prima di me.
C’è stato un bel po’ di scompiglio. Urla in tutto il palazzo. Fatima ha chiamato il 112, è arrivata l’ambulanza, la polizia. Poi sono arrivati i miei figli, belli agitati.
Un’agitazione inutile. Sono morto, sto bene, calmatevi! Ma niente, gente che entrava e usciva, la Fatima che pregava, i vicini giovani per l’occasione hanno interrotto la loro attività preferita e mi sono parsi sinceramente colpiti.
Poi grazie a dio i due poliziotti sono riusciti a riportare la calma. Hanno fatto uscire tutti, Fatima compresa; i figli sono potuti restare, ma non in questa stanza. Dice che devono fare degli accertamenti, ma qui l’unica cosa certa è che io uscirò di casa coi piedi in avanti.
Il Franco e la Maria ora sono sul balcone. Fumano e parlano fra di loro, ma a voce bassa. Da qua sotto riesco a vederli, anche se in mezzo c’è quella sedia rotta da mesi che volevo riparare. Vedo anche che ci sono un bel po’ di briciole sotto il tavolo che avevo apparecchiato. Però non ho fatto in tempo a prepararmi la cena. Volevo farmi gli spaghetti col pomodoro e il capitone, come fanno i terroni,. Mi piace, il capitone.
Loro due continuano a parlare fitto fitto. Chissà che si dicono. Uh signur, mica si metteranno a litigare per l’eredità! Ma qui da ereditare c’è solo l’orologio d’oro di mio padre, che manco funziona più. E i debiti.
Mi sforzo di guardare meglio. Quasi non credo ai miei occhi, che quelli dell’ambulanza si sono dimenticati di chiudermi.
Non stanno discutendo. La Maria butta la cicca della sigaretta giù dal balcone, si appoggia al fratello e piange. Il Franco le mette il braccio sulle spalle. La stringe, è protettivo. Non li avevo mai visti così. Magari domani ricominceranno a insultarsi. Ma oggi, guardali: sono fratello e sorella.
Eh sì, figli miei. Vi ho fregato.
Anche quest’anno passeremo il Natale insieme.
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