Premio Racconti nella Rete 2025 “La cometa” di Francesco Filippi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025La cometa era enorme, lucida, bellissima, appesa alla grotta del presepe vivente nella sala del buffet. A Capodanno eravamo in tanti, ma mi annoiavo. Era una festa prevedibile, nella discoteca più dozzinale, sulla spiaggia. Ma quella cometa risaltava su tutto, avrei voluto portarmela a casa. Mi sono ubriacata, e nella foga quell’idea vaga è diventata altro. A mezzanotte, mentre gli altri si facevano gli auguri, fuori sono scoppiati i fuochi d’artificio. Era tanto tempo che non ne vedevo. È lì che mi sono accorto che i fuochi ricurvi nel cielo che sorvolavano lo spazio di freddo pungente sopra lo sguardo degli spettatori erano simili a tante stelle comete.
Avevo appena fatto qualche brindisi con gente semisconosciuta che non mi diceva niente. Ed allora, in mezzo alla folla chiocciante della baldoria, ho sentito che l’unico modo per stare bene in quell’atmosfera pesante era prendersi quella cometa. Ormai il bue e l’asinello erano sbronzi, insieme a San Giuseppe e Maria, e quindi non è stato difficile spostare una sedia, salirci sopra e strappare la stella dai chiodi a cui era aggrappata. Ma ho capito che non poteva tornare con me a casa, ad ammuffire in un angolo, doveva liberarsi e partire per un viaggio, raggiungere le altre stelle, sparire brillando nella notte. E così che sono uscita, e ancora com’ero, l’ho lanciata a forza dopo essere uscita ed essermi posta in mezzo all’arenile, distante da tutti.
Sono abbastanza robusta da essere stata campionessa di lancio della pallina alle scuole superiori, e quella è andata: in alto in alto, come se salisse su per una scala, piolo dopo piolo, ha incontrato la scie delle altre stelle di fuoco. Mi sono messa a sedere soddisfatta sulla sabbia. Aveva preso fuoco alla fine, ma aveva fatto bene. Nessuno mi conosceva e sembrava che gli altri non avessero visto niente. Sono rimasta sulla rena fredda ma invitante, a contemplare l’incendio volante della mia cometa. Ero così ubriaca che sono stata immobile a lungo e nessuno è venuto a cercarmi. Infine, mi sono addormentata. Sono tornata a casa dopo ore, quando ormai stava per fare l’alba. Da sola, come ero venuta. Di nuovo da sola.
La mia tarologa mi aveva consigliato di stare a casa, e forse ho fatto male. Di fatto, a quella festa, ho contratto il Covid. Non è durato a lungo, ma è rimasto un inconveniente: per essendo guarita del tutto, non sono riuscita a recuperare i sensi del gusto e dell’olfatto. Mi sentivo in colpa. Ho pensato che non avrei mai riottenuto i sensi e i pasti mi comunicavano noia e nausea. Aveva ragione: non sarei dovuta andare a quella festa anche se era Capodanno. Poi con sgomento mi sono ricordata che quando mi faceva le carte, usciva sempre il Papa, la carta numero 5, ed ecco, sono giunta alla conclusione che quel 5 fosse un avvertimento che avrei perso i sensi, che sono 5.
La mia astrologa non era da meno, perché ho quella maledetta combinazione di Venere in Pesci in settima casa, che lei sottolinea sempre quando ci sentiamo, che mi fa pensare di essere così sfigata da portarmi qualunque sciagura. Mi rappresentavo come una figura evanescente, che avrebbe viaggiato sempre in un oceano gassoso di emozioni inconsistenti, svaporata nella realtà del mondo.
Quel mese di gennaio, rimanevo spesso a letto fino a tardi e non facevo quasi niente per tutto il giorno. Una mattina, verso la fine del mese, decisi di fare una passeggiata in pineta. Era meglio passeggiare, anche se non avrei assaporato gli odori del parco. Rimasi ad ammirare gli alberi, i pioppi bianchi, i pini ruvidi, i lecci scurissimi, e le rovine di vecchi forni dove un tempo in un circolo virtuoso veniva prodotto il carbone che serviva alla vecchia fabbrica dei pinoli provenienti dalla pineta stessa. Tutto sembrava avere un senso in quel luogo e speravo di distrarmi dalla malinconia e dalle brutte idee che mi visitavano.
Durante la mattina, avevo trovato nella libreria del mio salotto in disuso un informe libretto di poesie di Neruda che non ricordavo nemmeno di possedere, insieme ad altre raccolte.
“Accadde in quell’età… La poesia venne a cercarmi”, iniziava il primo poema: mi aveva ricordato la mia adolescenza.
Nel parco, col libro tra le mani, cercai di tornare a quando la poesia era venuta a cercarmi. I miei sensi non erano a posto, e la mia mente in parte altrove, e ora, a trent’anni, la poesia non c’era più, tranne qualche debole traccia nei raggi di sole che filtravano tra gli alberi.
Ricordavo un viaggio in treno, tra le montagne, quando l’incontro con un’altra dimensione aveva cominciato a farsi largo nella mia acerba incoscienza. Fino ad allora, quegli incontri non avevano avuto significato evidente. Ma in quel viaggio, quando incontrai le mie emozioni più profonde, avevano iniziato ad avere incomprensibilmente senso. Negli anni successivi, tutto il cielo mi avrebbe visitato. La dimensione personale temporanea in cui potevo immergermi in alcuni momenti di pausa, era così diventata una chiamata inevitabile, un incantesimo ineluttabile. Forse c’era ancora un po’ di vita in me?
Una sera, il mese seguente, mentre ero al reparto latticini di un supermercato, ho incrociato Laura: una mia campagna delle superiori, una di quelle con cui parlavo regolarmente durante l’intervallo tra i prefabbricati. Non ci vedevamo da decenni eppure lei non è cambiata quasi per niente. Ha i capelli nerissimi e due guance molto grandi, dalla pelle bianchissima e con due fossette profonde, che adesso erano solo un po’ più incavate. Mi ha detto di una cena di classe che si era tenuta l’anno precedente, a cui non ero stata inviata perché non mi avevano trovato. Questo incontro mi ha riportato di nuovo alla mia adolescenza, quando mi ero innamorata di questo tipo che anni dopo è finito in prigione per aver avvelenato delle persone con cui aveva dei problemi. Lo amavo così tanto che pensavo che avrei messo il nome sulla mia tomba. Ero completamente presa. Di fatto, lei era stata la prima a sapere del mio innamoramento, di quanto fossi infatuata. L’aveva intuito i primi giorni del quarto anno, perché me ne stavo spesso alla finestra durante l’intervallo a contemplare le nuvole con un sorriso ebete in faccia, per niente interessata a cosa avveniva in classe. Ero invasa dallo stesso pensiero di lui, anche se ne sapevo poco e lo vedevo raramente, perché frequentava una scuola diversa. La mia ingenuità. Amavo una persona che non avrebbe proprio meritato quell’amore. Mi faceva quasi schifo adesso tutto questo. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se il nostro rapporto fosse proseguito, si fosse sviluppato in qualche modo e non si fosse interrotto quando mi ero trasferita per l’università in un’altra città. Era una persona piena di rabbia, anche se non me ne rendevo conto, ma era ovvio che quel patto che mi aveva fatto firmare aveva tra le sue basi anche la rabbia contro la realtà. Mi sembrava che si dedicasse a sostenerci contro le difficoltà. Ero veramente innamorata e lui non lo era, ed è per questo che dopo le superiori è sparito dalla mia vita. Il pensiero di lui era continuato a tornare in modo ossessivo, ma poi gradualmente si era spento, diventando solo una nostalgia di un tempo apparentemente migliore. Dopo tanti anni, infine, avevo scoperto che non era più in libertà: questo non era che una conferma di quella che ero.
Quando ho incontrato Laura, l’episodio in cui le avevo confidato del mio amore, era tornato come se fosse una novità. Le ho chiesto il numero di telefono. Chissà se ci rivedremo. Lo so che lei si ricorda tutto. Per lei sono ancora la compagna di classe un po’ persa e innamorata senza vergogna. Questo pensiero mi scaldava: lei mi pensava così, ancora innocente. Venere in Pesci comporta il rischio d’innamorarsi dell’individuo sbagliato, di essere avvelenata da quel sentimento, ma è anche un segno di un amore assoluto che può essere incosciente ma che in pochi potranno conoscere. Il mio amore era sincero e non poteva essere inquinato dalla persona a cui era diretto. In qualche modo mi sentivo salvata.
Adesso era l’inizio di marzo. Ero tornata a fare la passeggiata al parco, Neruda in tasca. Il gusto e l’olfatto avevano preso il loro tempo a tornare. Con fatica mi ero ristabilita. Valeva la pena sentire con ogni senso la primavera che stava arrivando. Perché la vita potesse avere di nuovo una ragione. La tarologa non l’ho più sentita, e anche l’astrologa. Ma Neruda è rimasto ancora con me. Spero che la poesia prima o poi venga a cercarmi di nuovo.
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Un racconto intenso e malinconico, che mostra come nei momenti più fragili si possa ancora trovare speranza e una forma di rinascita.