Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Don’t you (forget about me)” di Dimitri Favre

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

«Perché non mi rispondi?»

L’uomo all’altra parte del tavolo di cucina si limitava a guardarla, con un accenno di sorriso e uno sguardo triste. Era così da quando lei era rientrata in casa.

«Sei incazzato con me? È per questo che non parli? No, guarda, sono io che dovrei essere incazzata con te.»

La donna aveva il viso arrossato, i capelli in disordine. Guardava l’uomo attraverso un paio di ampi occhiali fumé.

«Ti ho cercato tutta la mattina. Avevi il cellulare spento. Si può sapere dove cazzo eri?»

Non ci poteva credere. Non voleva farlo. Quando la sua amica l’aveva chiamata, lei le aveva risposto: «Impossibile!» e aveva riattaccato. Impossibile, già. Ma poi era tornata di corsa a casa, perché niente lo era davvero.

Impossibile per lui. Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere.

Ora che gli era davanti, voleva sentirselo dire in faccia. Sentirsi dire che la sua amica si era sbagliata.

Lui continuava a tacere, seduto sulla sua sedia. Quella dove indugiava, alla fine del pasto, per fare due parole insieme a lei. Lui, che aveva sempre una parola per tutto, si era chiuso nel suo silenzio, lo sguardo rivolto al pavimento, le palpebre quasi chiuse.

Lei lo guardava, in quella postura che non gli aveva mai visto, con le spalle basse, la testa china in avanti. La postura del senso di colpa. L’avrebbe pagata, o sì, questa volta non l’avrebbe passata liscia. Non si fa così.

Ma lui era lui. Era il suo faro nella notte e l’ombra che la proteggeva dalla luce troppo intensa. Ma questa volta aveva superato il limite.

Lui continuava a non rispondere. Prima di allora, lei non gli aveva mai urlato in faccia in quel modo. Magari aveva fatto di peggio, con i suoi silenzi. La stava ripagando con la stessa moneta?

«Scusami, amore, non volevo alzare la voce. Ma devi capirmi. Quando ho ricevuto quella telefonata, ho perso la testa. Sono in una bolla, non capisco più niente. Di questo ho bisogno. Di capire.»

L’uomo sollevò lo sguardo. Gli occhi lucidi, ancora quel sorriso dolce, ma pieno di amarezza.

Gli occhi della donna si riempirono di lacrime, incontrollabili. Le lasciò scivolare sulle guance, per arrivare a bagnarle la camicia di seta, quella che a lui piaceva da impazzire.

Si asciugò con il dorso della mano, cercando un sorriso. Non capiva se essere felice o triste. Lui era lì, ma forse non era poi così impossibile.

«È stata una giornata di merda, lo capisci? Da quando sei uscito, stamattina, non ho più saputo niente. Poi quella stronza, che mi chiama… Che crepi, sta stronza. Ma cosa ne sa, di te? Come cazzo si permette di fare il tuo nome? Sai cos’è, te lo dico io, è solo invidia.»

La donna si avvicinò al frigo e lo aprì, cercando qualcosa.

«Dove cazzo l’ho messo il burro?» Si immobilizzò. Non sapeva nemmeno perché lo stava cercando.

Lui continuava a guardarla. Quel suo sguardo divertito, quasi di scherno, ma che lei aveva sempre saputo essere amore puro.

Scoppiò a ridere. Una risata nervosa, liberatoria. Incongrua. Le lacrime però continuavano a scendere. Anche lui rise, composto. Come sempre.

Le nuvole avevano coperto il sole e la stanza era caduta in penombra. Lei si era cambiata e aveva indossato la tuta che lui, scherzosamente, definiva “anti-trombo”.

Nello sguardo dell’uomo ora c’era una punta di malizia. Sotto quella nuova luce, anche una dimessa tuta da ginnastica riusciva a essere sensuale. Sentì la vibrazione di quello sguardo, una scarica che le attraversò il corpo, rapida, tanto intensa da farla arrossire. Che assurdità pensare al sesso, ora. Lui non meritava le sue attenzioni. Non quelle. Non in quel momento. Prima, si dovevano spiegare. Poi, dovevano litigare. E dopo, forse, avrebbero fatto la pace. E, sempre forse, fatto l’amore.

«Sai, c’è una cosa che non capisco. Se quella stronza ha detto la verità, cosa ci fai ancora qui? Pensavi che non lo scoprissi? Lo sai che io so sempre tutto.»

Continuava a muoversi per la cucina, evitando in ogni modo il suo sguardo.

«Come quando hai rotto la bomboniera di mia sorella e hai cercato di nascondere tutto. Ma ti ho scoperto. E sai cosa? Non te l’ho mai detto perché era una cazzata. Chissenefrega.»

L’uomo sorrise imbarazzato. La donna ricominciò a ridere talmente forte da rimanere quasi senza ossigeno. Iniziò a tossire. L’uomo la guardò accigliato, ma non si mosse dalla sua sedia.

«Oddio, mi affogo.»

Si chinò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia, rifiatando.

«Abbiamo riso tanto insieme, tu e io. Sono ancora incazzata, ma Dio, quanto mi piace ridere con te.»

Sorrideva, il più bel sorriso che avesse mai avuto l’onore di atterrare sul suo viso. E continuava a guardarlo, come il primo giorno.

Il brano irruppe nella stanza a tutto volume. Una luce illuminò il tavolo. Never can say goodbye, di Gloria Gaynor. La suoneria del suo telefono. No, non era il suo telefono.

«E questo? Hai cambiato anche telefono?»

L’uomo sollevò la mano, per zittirla. Rispose e rimase in ascolto. «Va bene, grazie… sì, senz’altro. Lo faccio subito. A dopo.» Chiuse la chiamata.

«Allora parli! Chi era? Era lei? Allora è tutto vero…». La donna stava per rimettersi a piangere.

Lui portò l’indice verso le labbra e lei tacque. Aveva questo effetto. Sapeva come comunicare con lei anche senza usare le parole. E lei capiva, al volo. Era sempre stato così.

«Dobbiamo parlare.»

«È da quando sono rientrata a casa che ti chiedo di parlare, e tu niente. E adesso, quella ti chiama e tu ti decidi a parlare?»

«Non è come pensi.»

«Che cazzo ne sai di cosa penso?»

«Siediti, ti prego, non è semplice.»

La donna si sedette di fronte all’uomo, tamburellando con le mani sul tavolo. La voglia di ridere aveva lasciato il posto alla rabbia, forse alla rassegnazione.

«È stata una cosa improvvisa, non c’era niente di pianificato. Sai che non l’avrei mai fatto. Ma quando ho incrociato il suo sguardo e ho visto che guardava proprio me. Come mi guardava… Non so se riesco a spiegartelo davvero. Non volevo, no, ma non ho saputo dire di no.»

«Non hai saputo dire di no? Ma cosa mi tocca sentire…»

«Ti prego, so che è una cosa difficile. Ma devi ascoltarmi. Dammi il beneficio del dubbio. Mi conosci. Sai che non ti mentirei mai su una cosa come questa.»

Le dita della donna non tamburellavano più. Tremavano.

«Dov’è il tuo telefono?»

«È caduto, si è rotto. È per questo che non ti rispondevo. Questo me l’ha dato lei, non metterei mai quella suoneria. Non so neanche come si faccia a cambiare la suoneria.»

La donna rimase in silenzio.

«Tra l’altro è un po’ ironico, no. La suoneria dico.»

«Cosa cazzo c’è di ironico? Mi stai dicendo che non hai saputo resistere a un’altra e non so se voglio sapere il resto. Che cazzo stai dicendo, mi prendi per scema?»

«Ascoltami, ti prego.»

«Non voglio ascoltarti.» Prese il bicchiere che aveva lasciato sul tavolo e lo svuotò in un’unica lunga sorsata. Il bicchiere dell’uomo era ancora pieno.

«Quando sono uscito, l’ultima cosa a cui avrei pensato è a quello che sarebbe successo. È andata semplicemente così. E ora sono qui per raccontartelo, per dirti tutto.»

«Non voglio sapere tutto. Non puoi costringermi ad ascoltare i tuoi sordidi dettagli.»

L’uomo iniziò a raccontare. Si prese il tempo che serviva. Era sceso il buio. La donna non era più riuscita a pronunciare una singola parola. Le mani ora giacevano immobili sul ripiano in vetro del tavolo della cucina.

Quando l’uomo terminò, la donna avrebbe voluto piangere, ma nel suo corpo non erano rimaste neanche le lacrime.

Poi venne un silenzio, che sembrava non voler finire.

Fu l’uomo a interromperlo: «Devo andare.»

«Non andare, ti prego. Si può sistemare tutto.»

«Lo sai anche tu che non si può. Non doveva andare così, ma non ho saputo evitarlo. Lo sai anche tu che devo andare.»

«È un addio?»

L’uomo non rispose. Si alzò in piedi e si incamminò verso la porta di casa. Gloria Gaynor ricominciò a cantare. «Arrivo.» Poi si rivolse alla donna: «Non lo è.»

«Cos’è, allora?» Aveva pronunciato quelle parole con le ultime energie che aveva in corpo. Si distese sul divano e chiuse gli occhi.

Lui non rispose. Le spostò un ciuffo di capelli dalla fronte. Poi le diede un bacio. Uno solo. Lungo. Leggero.

Il telefono dell’uomo riprese a squillare. I Simple Minds.

L’uomo si voltò un’ultima volta. «Don’t you forget about me.»

Fuori, nel buio, lei lo aspettava. Si avviarono insieme. Poi, le loro ombre si spensero per sempre nella notte.

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