Premio Racconti nella Rete 2025 “Ero Luigi” di Stefano Brunelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Te lo devo, Luigi, questo ricordo.
Per i tuoi occhi di mare nel tuo viso dolcissimo.
Per quel tuo scendere veloce dalle colline verso il parcheggio dell’ azienda, vicino al reparto mungitura delle bufale, dopo avermi salutato con il braccio alzato.
Mi manchi
“L’ho detto spesso a Lorenzo, che avrei fatto come nostro fratello, Giovanni. Son stufo di questo vivere solo, con queste pecore e queste capre, dal tuo levare al tuo calare.
Solo, come un pastore sardo che non ho mai voluto essere. Non so fare altro, non parlo con le bestie, solo con te, che accechi i miei giorni tutti uguali.
Che ci faccio, qui? Le tue albe e i tuoi tramonti non mi danno da tempo la forza per le ore lentissime che li seguono.
Vorrei ridere senza bere, parlare con chi non bela e non solo con te, che non rispondi. Il silenzio che mi piaceva tanto ora fa troppo casino, mi dà il mal di testa.
Osservo i tre indiani con i loro turbanti colorati mentre curano e mungono le bufale. Anche loro con i giorni tutti uguali, le stesse cose da fare, ma sono insieme, anche quando a sera si lavano e si puliscono il corpo e le barbe e i capelli nerissimi, bellissimi. E poi preparano la cena e parlano, scherzano, dormono. Tutto insieme, non sono mai soli.
Io no. Per chi mi dovrei sbarbare? Non ne ho voglia. Vedo allo specchio pieno di sputi una faccia mai piaciuta. La evito.
Ripeto i gesti del tuo tempo e, a sera, quando sei sparito dietro la collina e risalgo questa scala esterna alla casa, non mi fermo più a guardare luna e stelle che prendono il tuo posto.
Mi resta solo la voglia di bere per stordirmi, ho cominciato quando Giovanni se n’è andato appeso ad un filo che forse sperava qualcuno recuperasse, pescandolo da un mare in tempesta. Vorrei bere per morire, per farla finita con questi giorni di merda e queste notti senza speranza.
Ascolto muto Lorenzo. Lavora qui e mi ci ha portato a lavorare. E’ il più piccolo di noi otto fratelli, il più sveglio. Me l’ha strappata di mano lui, la bottiglia. Lo ascolto e lo seguo anche se gliel’ho detto, che farò come Giovanni.
Da un po’ c’è uno che viene qui, quando arriva dal continente. Sta ore a guardare le colline, a fotografare i cavalli, a pescare persici trota nel laghetto. Arriva da solo o con la sua figliolina che sussurra ai cavalli, li accarezza, li accudisce, li addestra e ci dormirebbe, qui.
Mi piace,il suo babbo. Mi viene incontro e mi dà la mano e dei sorrisi che non ho mai visto e vuol sapere tutto di tutto, anche di un filo d’erba. Riconosco il rumore della sua macchina da lontano, sui saliscendi da Siurgus Donigala. Anche se non lo sa, sono felice che venga qui, lo aspetto. In fondo credo che un po’ l’abbia capito. Lascio ogni volta il gregge e scendo a salutarlo. Mi ricorderà per sempre. Racconterà di me scrivendo sui suoi fogli come spesso fa qui, oppure mi racconta di tutto, quando lo ascolto. Non si ferma mai, non spara cazzate e racconta, racconta come piace a me.
Ha un sorriso che non mente, come quelli, tanti, che ho trovato finora. Dice che starà qui per sempre. Sardo, perchè sardi non si nasce. Dice che si diventa quello che si vuole e i suoi occhi vogliono ancora, guardano. I miei vedono solo, ed è troppo poco, per me. Io sono poco. Lo spio a volte da lontano e mi piacerebbe sentire i suoi pensieri mentre ti segue quando colori le colline ed il laghetto, o quando mette le dita in bocca alle bufalotte o prende paglia per i cavalli. Se si fermasse qui, qualche volta, potremmo mangiare ancora assieme e gli darei i miei coltelli da toccare, ne va pazzo. Sfiorerebbe le lame come se fossero gote di neonati, sentirebbe il calore dei manici in osso e taglierebbe un pezzetto di carta o fermerebbe la lama su un’unghia, come gli ho insegnato, sorridendo felice come un bambino. Io non so più farlo.
Subito, allora, subito!
Le pecore le lascio da mungere a Lorenzo, tra poche ore. Il resto è tutto in ordine.
La ringhiera qui, sull’ultimo scalino, è bassa e robusta, come questa corda. Ne ho appese e provate parecchie in diversi punti. Questo è quello giusto.
E’ il momento, Giovanni, faccio come te, chissà se ti trovo.
Mi siedo un attimo in bilico, prima di lasciarmi cadere.
E’ buio e forse sorrido.
Non voglio vederti arrivare, sole.”
Era Luigi.
L’aveva detto e l’ha fatto. S’è impiccato sulla scala esterna della casa dove alloggiava. L’ha trovato suo fratello. “Vuoi un goccio di vino, Luigi” gli chiesi al primo pranzo con lui, anni fa. Lorenzo intervenne premuroso:” Ne ha bevuto abbastanza, ora non ne vede da mesi, per la sua salute”.
Non si dà pace, ora, Lorenzo. Due fratelli che si tolgono la vita dopo avertelo annunciato è disperazione pura. Luigi mi salutava dalla collina, sembrava lontanissimo e dopo pochi minuti era già da me , a stringermi la mano e a sorridermi tra rughe rassegnate. Con due occhi azzurri che non si chiuderanno mai.
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