Premio Racconti per Corti 2025 “Phàrmakon” di Pietro Senatore
Categoria: Premio Racconti per Corti 2025Piazza dell’Anfiteatro, Lucca – Giorno
Un astuccio color arcobaleno per terra cattura l’attenzione di un gruppo di bambini.
«Chi arriva prima se lo tiene!», grida correndo uno di loro. Eride è la più veloce.
Mentre si china per raccoglierlo avverte lo sguardo di un uomo con una camicia hawaiana e degli occhiali da sole. Le sorride.
Tutto diventa nero e la piazza è travolta da un forte boato.
Una donna squarcia il lenzuolo di fumo grigio, con in braccio una bambina insanguinata.
Due giovani in auto inchiodano e fanno cenno alla donna di avvicinarsi.
La piccola riprende conoscenza per qualche istante e nota il colore della carrozzeria:
«Che bella macchina, mamma. È tutta gialla».
«Noi la chiamiamo Titti, come il canarino» dice la ragazza della coppia con voce rotta.
15 anni dopo – Casa Circondariale di Lucca
«Sempre convinta? Non ti obbliga nessuno».
«Lo so, papà. L’equilibrio… Ricordi? Fa la differenza tra veleno e antidoto».
«Se le cose non dovessero andare come pensavi, non sorprenderti».
Lei lo abbraccia e poi varca la soglia del carcere. Le guardie la conducono in sala colloqui e, dopo qualche minuto, la porta dietro il vetro divisorio si apre.
L’uomo si siede, fissandola senza proferire parola. Sorride.
Eride allunga la mano tremante sulla cornetta, appoggiandola all’orecchio: «Immagino l’abbiano informata su chi sono».
«La piccola fenice risorta dalle fiamme di un borsello colorato. Cosa ti porta da me?».
«Vorrei… Vorrei capire. Conoscere cosa, come, la società ha sbagliato con te. Mi permetterebbe di convincere un uomo, perfino te, che non è tardi per scegliere di essere altro».
«Perché dovrebbe interessarti?».
«Sono una psicologa. Mi sono laureata da poco».
«Capisco… Quindi vuoi sapere come vedo le cose?».
«Sarebbe un inizio».
«Vedo davanti a me una delle mie opere. Una reliquia, scolpita nel dolore. Sei diventata psicologa nella speranza che comprendermi ti avrebbe donato della pace. E se non ci fosse nulla da capire?».
«Allora perché i tuoi ordigni non hanno mai ucciso? Qualcuno ci è andato vicino, ma penso che volessi solo togliergli qualcosa. Forse lo stesso che è stato tolto prima a te».
L’uomo non si scompone e continua a sorridere.
«Anche se quello in gabbia sono io, qui sei tu la prigioniera».
Poi scoppia in una risata fragorosa, facendo intervenire una guardia.
Eride esce dall’edificio con gli occhi rossi.
Entra in macchina e il padre le lancia uno sguardo, capendo tutto.
Le mette una mano sul ginocchio e dice: «Stasera sushi?».
Lei annuisce e lo abbraccia.
La settimana seguente Eride e il padre ritornano al carcere.
«Tesoro…».
«Tranquillo papà, so quello che faccio».
«Infatti è per l’altro che mi preoccupo».
Ridono entrambi e si abbracciano.
Nella sala colloqui, quando l’uomo entra, Eride appoggia una foto sul vetro divisorio.
Lui si ferma per un momento e poi afferra la cornetta, sorridendo:
«Credi basti la foto della mia famiglia per scalfirmi?».
«Ho scoperto che ciò che i giornali hanno scritto su di te, sulla tua vita, non era vero. Tua moglie ha perso la testa per un altro, per nessun motivo in particolare. Semplicemente è successo. I tuoi ex colleghi mi hanno parlato bene di te. Secondo loro i capi ti hanno fatto mobbing solo per far posto al raccomandato di turno. E tuo figlio, la sua discesa nelle droghe e nella depressione, era iniziata molto prima di tutto questo.
Le cose brutte alle volte capitano, senza spiegazioni».
Per un istante l’uomo perde il suo sorriso.
«Come va con gli uomini? Gli piacciono le tue ferite?».
Delle lacrime iniziano a solcare il volto di Eride.
«Come pensavo», commenta lui.
«Piango per te: io ho imparato ad accettarmi, anche ciò che mi hai tolto. Ma tu sei ancora soffocato dal dolore. Se vuoi non sei solo, non devi essere solo. Puoi liberarti di questo veleno».
Lei si alza e bussa alla porta.
«Senti ancora i miei occhi su di te? Di quando raccogliesti quell’astuccio?».
«Ricordati ciò che ti ho detto, ti prego» gli fa eco Eride.
«Lo so che li senti», dice urlando e battendo un pugno sul vetro mentre lei esce.
La guardia lo scorta via e lui ripete tra sé e sé: «Lo so che li senti, lo so».
Mura di Lucca
Quella sera, Eride passeggia sotto il tramonto. Osserva un gruppo di bambini correre e giocare, raccogliendo sassi da terra e sporcandosi.
Si tocca l’occhio di vetro e sorride, mentre la luce del crepuscolo le accarezza il volto.
Cella del carcere
L’uomo sorride compiaciuto, disteso sul letto.
Quando le luci si spengono, si accovaccia a terra e, senza fare rumore, smuove un mattone dal muro. Dal vano nascosto estrae un piccolo ordigno a base di acqua ossigenata e alcool.
Il suo gioiellino. Eppure, sente pian piano appassire il suo sorriso soddisfatto.
Nella penombra osserva il suo riflesso opaco nello specchio, con la piccola bomba tra le dita. Il pollice indugia sul tasto ON del timer. Poi l’uomo guarda dritto in telecamera, in cerca di una risposta.
Mi piace molto questo soggetto, e mi piace il suo ritmo. Mi sono sentita molto coinvolta perché condivido la c.d. giustizia ripartiva, quella che riconosce lo “sbaglio” ma vuole comunque capire le motivazioni che inducono proprio a quello sbaglio. E’ un modo per non rimanere incatenati, colpevoli e vittime, ad un percorso senza uscita. Bello il finale aperto che ci pone molte domande. Complimenti
Ovviamente il riferimento è alla giustizia riparativa.
Grazie mille Anna Rosa, ad ispirarmi per il corto sono state le parole della vittima più giovane dell’Unabomber italiano: neanche trentenne, rifletteva con commovente saggezza sull’ambivalenza della parola greca pharmakon, che può significare antidoto o veleno. Auspicava la necessità sì di scoprire l’identità dell’attentatore, ma anche di comprendere il perché del suo operato con il fine ultimo di aiutarlo.
Cosa devo dire? Bravissimo come sempre Pietro, un soggetto difficile che tu rendi leggero. Ottimo ritmo.
L’ambivalenza del termine greco è chiaramente la chiave del soggetto: un ottimo “thriller psicologico”, anche se forse non è la definizione più corretta, in cui il nero non è solo nero e il bianco tende a sfumare nel grigio. Leggendolo, mi è sembrato di guardare uno di quei film americani in cui fino alla fine i personaggi ci tengono inchiodati alle loro vicende con grande partecipazione emotiva. Bravo! Inoltre, se questo soggetto dovesse essere il vincitore, offrirebbe agli attori la possibilità di cimentarsi con una bella prova, densa di sfumature delicate.
Grazie Ilaria e Simona ? Come scrive Mencarelli: «Tutto chiede salvezza».
Il ? era un cuore
Bella storia, forte e di grande attualità. Naturalmente ben scritta e articolata. Tensione psicologica e ritmo ben calibrati. Credo che abbia tutte le carte in regola anche per qualcosa di più strutturato e complesso di un corto. In bocca al lupo.