Premio Racconti nella Rete 2025 “L’angelo” di Francesca Costantini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Eccolo lì! Anche oggi ce n’è uno, come sempre del resto, o quasi, in questa sala d’attesa: il vecchio che irrompe nella solitudine dei pensieri di ognuno, declamando a gran voce i propri malesseri e parlando a squarciagola di qualunque cosa.
A volte penso che questa sia la vera terapia per loro, assai più dei rimedi che gli prescriverà il medico poi: raccontarsi. E questo è il posto ideale perché qui le persone non hanno via di fuga. Come questa poveretta che, ignara di ciò a cui stava andando incontro, si è seduta proprio lì accanto, e ora se ne resta immobile, impotente, rassegnata al suo destino.
Noialtri, tutt’intorno, stiamo a testa bassa, a sfogliar riviste, a trafficare con il cellulare, guardandocene bene dall’alzare gli occhi, nel timore che se lo facessimo lui potrebbe risucchiarci nel suo vortice di parole.
Già, perché è così che fanno loro, i vecchi intendo, o almeno certi vecchi: cercano un appiglio qualunque per coinvolgerti nei loro discorsi. E una volta che t’hanno agganciato, non è per niente facile scendere da quella giostra infernale.
Io ci ho provato a concentrarmi nella lettura, ma senza alcun risultato. La cosa mi scoccia, e parecchio anche. Di solito non mi disturba sentire il loro sermone, che a dire il vero, trovo spesso più interessante di quelle riviste da quattro soldi che affollano il tavolino, ma oggi mi sono portata dietro qualcosa che vorrei rileggermi in santa pace: il mio diario, per la precisione un vecchio diario risalente agli anni della scuola, in cui avevo appuntato i miei pensieri di allora. L’altro giorno, per caso, l’ho ritrovato in soffitta, l’ho spolverato e appoggiato sul mio comodino, però non ho trovato il tempo per aprirlo; così me lo sono portato dietro qui. Inutile, non ci riesco proprio a leggere: l’eco di questa voce rimbalza rumorosamente da una parete all’altra, come una palla da squash.
Il lanciatore è seduto nella parte opposta della stanza, appoggiato con la mano al suo bastone, tenuto fieramente dritto davanti a sé; ha delle orecchie enormi e mi sembra un controsenso che, nonostante quelle dimensioni, non senta pressoché nulla delle poche parole che, di tanto in tanto, la donna seduta accanto gli rivolge, forse per gentilezza, per mostrare un qualche interesse a tutti quei discorsi che lui le scarica addosso.
Finora l’ho sentito parlare ininterrottamente: della nebbia a cui lo costringono le sue cataratte che si aggiunge a quella che c’è fuori e che gli penetra nelle ossa rendendogli ancora più difficile sorreggersi su quelle gambe che non sono più quelle di una volta come non lo sono i politici per non parlare dei giovani d’oggi e delle donne che non sanno più cos’è la famiglia.
Dopo questa mitragliata di parole, nella stanza cala un inaspettato silenzio che incuriosisce non solo me, visto che tutti, alla chetichella, solleviamo la testa. Lui ha lo sguardo rivolto verso l’alto e l’espressione assorta di chi sta ripescando un vecchio ricordo nei meandri della mente; poi riprende a parlare con calma e un tono più dolce: «Lei ci crede agli angeli signora?» e senza aspettare una risposta che, forse, non gli interesserebbe nemmeno se la potesse sentire, prosegue: «Io sì. E non è che ci credo, io SO che esistono. E gliel’ho sempre detto a mia moglie di non avere paura di morire, che anche lei aveva un angelo silenzioso sempre accanto, e in quel momento gli avrebbe fatto sentire la sua voce divina». E dopo un sospiro aggiunge: «Già, perché io l’ho sentita quella voce, molti anni fa, e non me la sono più tolta dalla testa, nemmeno questo schifo di vecchiaia che mi fa dimenticare tante cose, è riuscita a rubarmi il ricordo di quella voce celestiale. È successo un pomeriggio d’estate: stavo attraversando il ponte del fiume Foglia in sella alla mia bicicletta, quando all’improvviso, una macchina ha sbandato e mi ha buttato a terra».
Questo racconto ha qualcosa di familiare; immediatamente drizzo le orecchie come un cane da guardia che ha sentito qualcosa che l’ha messo in allerta.
«Subito dopo era tutto buio, sentivo i rumori delle auto, ma erano così lontani. Tutto era lontano, confuso, ed è stato lì che ho sentito una voce dolcissima che mi parlava calma all’orecchio: “Non è niente, fra poco arriva l’ambulanza, andrà tutto bene”, mi ripeteva rassicurante».
Sgrano gli occhi: “Oh Signore! E’ lui?”.
Lui prosegue: «Dicono che gli angeli non hanno sesso, ma non è mica vero! Il mio era una femmina, ne sono certo, ed era giovanissima anche; eppure la sua presenza mi faceva sentire al sicuro, come quando da bambino mi abbandonavo fra le braccia di mia madre prima di addormentarmi davanti al camino acceso».
Io salto sulla sedia come se sotto fosse scoppiato un petardo e il diario cade a terra; fortunatamente nessuno sembra farci caso.
Frastornata inizio ad osservarlo più attentamente: in effetti assomiglia all’anziano signore incontrato anni fa in quella situazione infelice. La ricordo fin troppo bene. Aveva la testa immersa nel sangue che fuoriusciva dalla tempia; era un sangue denso e vederlo mi faceva tanta impressione. Cercavo di non pensarci, volevo, dovevo, farmi forza e restargli vicino, perché alcuni anni prima anche a me era capitata una cosa simile e la presenza amorevole della signora del bar all’angolo mi fu di enorme conforto; perciò sapevo quanto fosse importante non sentirsi soli in certi momenti.
Rammento che per distrarmi portavo lo sguardo sulle sue gambe; la vista dei pantaloni stracciati all’altezza delle ginocchia e macchiati di sangue era più tollerabile. Una scarpa era finita al centro della carreggiata e le macchine ci passavano sopra come nulla fosse. Per fortuna lui era caduto sul piccolo marciapiede che costeggiava la strada, altrimenti sarebbero passati anche sopra di lui con la stessa disinvoltura; questo pensavo mentre gli stavo accanto in ginocchio.
Avevamo visto la Renault 5 beige che sbandando l’aveva urtato e fatto cadere, mentre a bordo della 127 del fidanzato di mia sorella stavamo attraversando lo stesso ponte in direzione opposta. Fummo gli unici a fermarci. Io balzai subito fuori e, mentre il mio futuro cognato mi diceva che correva a cercare un telefono per chiamare l’ambulanza, mi precipitai da quell’uomo. Non che potessi fare gran ché: sapevo già che non bisogna muovere le vittime di incidenti. L’unica cosa che potevo fare era parlargli per tentare di rassicurarlo, e questo, ricorrendo a tutte le mie forze, feci. Tentavo di non lasciar trapelare la mia preoccupazione dal tono della voce, perché ricordavo perfettamente lo spavento che mi prese quando il giorno del mio incidente, è arrivato un vicino di casa che, guardandomi la testa, esclamò: «Madonna santa che buco!».
Lui era ancora immobile, completamente immobile, riverso su un fianco, gli occhi spalancati, persi nel vuoto, e quella pozza di sangue intorno alla testa andava lentamente allargandosi. Dubitavo che potesse sentire le mie parole, ma continuavo a ripetere che l’ambulanza sarebbe arrivata presto e tutto sarebbe finito bene. A un certo punto, vidi una grossa bolla in mezzo a quel sangue; mi fece senso e mi sentii arrivare un moto di vomito che trattenni a stento. Non riuscivo più a parlare, così per continuare comunque a dargli conforto, iniziai ad accarezzargli una mano.
«…e poi, mi ha accarezzato una mano, con una delicatezza che non si può descrivere. Il tocco di un angelo non ha nulla di terreno», sentenzia.
“Dio santo! Mi ha scambiata per un angelo!”.
La cosa mi lusinga, e non poco, però, allo stesso tempo, mi sembra d’averlo truffato. Io sono solo una donna, allora ero una ragazzina, ma un angelo no, decisamente non lo sono mai stata. Sono tentata di alzarmi per andargli a dire la verità.
Ma lui prosegue: «Sono stato fortunato quel giorno io Signora sa? Molto fortunato, ad avere quella prova dell’esistenza degli angeli. Perché io ero come San Tommaso: non ci avevo mai creduto. Invece da quel pomeriggio la mia vita è cambiata. Io sono cambiato. Ho iniziato ad affrontare ogni difficoltà con la sicurezza di avere vicino il mio angelo custode. E anche quando mia moglie è stata molto male, sono riuscito a starle accanto sempre con serenità, perché sapevo che né io né lei, saremmo mai stati soli nei nostri momenti di sofferenza. Glielo ripetevo di continuo ad Emma di stare tranquilla, sa? E gliel’ho detto anche quella sera di otto anni fa quando se ne stava andando: “Non avere paura amore mio. Non sei sola. La senti la sua voce ora?” Lei non mi ha risposto, però io so che la sentiva; anche perché prima di esalare l’ultimo respiro, le sue labbra, serrate dal dolore, si sono improvvisamente distese in un sorriso quasi impercettibile».
Lacrime di commozione mi allagano gli occhi.
Per non farmi notare mi abbasso e con un fazzolettino mi asciugo; ne approfitto per raccogliere il mio diario, scritto negli anni successivi al mio incidente ma precedenti al suo, e mi accorgo che cadendo si è aperto su una pagina in cui leggo: “Gli angeli sono in carne ed ossa. Tutti possiamo esserlo, e tutti, ne sono certa, prima o poi nella vita, lo siamo stati per qualcuno, o lo saremo. Con un sorriso, una parola di conforto, una carezza… Tutti possiamo aiutare qualcuno quando è a terra. E ogni volta che lo facciamo siamo angeli, anche se non abbiamo le ali”.
La profondità di queste parole mi stupisce. Stento a credere di averle scritte io stessa: non me le ricordavo proprio. E sono incredula anche per la sincronicità con cui mi si sono ripresentate.
Immersa in questi pensieri, mi risollevo col diario in mano e mi accorgo che lui mi sta fissando.
“Che m’abbia riconosciuta?” penso “Ma no: è impossibile, non mi ha mica vista quel giorno”.
Lui però continua a scrutarmi con insistenza.
Faccio finta di niente e abbasso lo sguardo.
«Scusi Signorina»
«Dico a Lei, signorina»
“Oh cavolo! Sta chiamando proprio me!”
Alzo gli occhi e appena incontro i suoi, lui mi dice: «Abbia pazienza. E’ un po’ che la guardo, ma, per quanto ci pensi, sinceramente non ricordo: lei…»
Trattengo il respiro per un attimo che mi pare infinito, prima che lui lentamente aggiunge: «…è prima di me?».
Sollevata riprendo a respirare, e istintivamente apro le labbra per rispondergli, ma mi fermo giusto in tempo per tramutare le parole, che avrebbero potuto farmi riconoscere, in un sorriso, e con la testa gli faccio cenno di no.
«Ah! Allora adesso tocca a me» e da come lo dice trapela che gli dispiace di non aver più tempo per parlare del suo angelo. Aggrappandosi al suo bastone si alza e, mentre mi passa lentamente davanti dirigendosi verso la porta del medico, lo sento sussurrare fra sé e sé: «Sì: sono stato proprio fortunato il giorno del mio incidente a sentire la voce del mio angelo».
Ascoltandolo, non ho cuore di toglierli questa sua convinzione che gli ha fatto, e gli fa tuttora, tanto bene.
Del resto, riflettendoci, averlo rincontrato qui e aver ascoltato il suo commovente racconto nello stesso momento in cui il mio vecchio diario si è aperto proprio su questa pagina, è la prova inconfutabile che esistono anche gli angeli con le ali.
Molto coinvolgente già dalla situazione iniziale in cui ci riconosciamo un po’ tutti: la sala d’aspetto, con un anziano che vuole attaccare bottone perchè ha bisogno di parlare. MI piace molto come è gestito il flashback sull’incidente, sia dell’anziano che della donna. Il racconto lascia il lettore con una piacevole sensazione di fiducia nel prossimo e con la consapevolezza che in realtà anche un piccolo gesto ci trasforma in angeli.
Complimenti!
Mi piace. Molto. Per come è scritto. Per le immagini che crea. Per il senso di pace che trasmette.
Ciao Donatella Asmodeo. Sono felice di esser riuscita a trasmettere queste belle sensazioni di fiducia e di possibilità di contribuire, con o senza ali
, a creare un mondo migliore in cui vivere.
Grazie mille per questo tuo commento.
Grazie Barbara Bertani per il tuo commento.
Sono contenta che il racconto ti ha trasmesso un senso di pace. Di questi tempi non è poco.
Intenso e coinvolgente. E’ una bellissima luce che illumina periodi bui come quelli che stiamo vivendo.