Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2025 “Secondo piano” di Ilaria Pizzini

Categoria: Premio Racconti per Corti 2025

Scena 1.

All’interno di un palazzo, davanti all’ascensore, una giovane donna schiaccia nervosamente il pulsante.

«E muoviti! Sto trabiccolo è lento da morire…»

Finalmente l’ascensore arriva e si apre. Lei entra di corsa, lancia un’occhiata alla pulsantiera per verificare che stia scendendo e solleva appena lo sguardo verso la figura quasi appoggiata alla parete di fondo, mormorando un «Buongiorno» distratto prima di girarsi verso la porta, come per uscire al più presto.

«Francesca?»

Non è il sentire il suo nome, ma la voce che lo pronuncia con tono interrogativo a farla voltare di colpo, gli occhi spalancati verso l’uomo di fronte a lei. Un uomo, o meglio un fantasma.

«Dario?»

Lui annuisce, apre le braccia come se d’istinto la volesse abbracciare ma all’ultimo trasforma il gesto e scrollando appena la testa risponde «Proprio io. L’avresti mai detto?»

«Non sapevo fossi tornato. Quanto è passato? Dieci anni, giusto? Sei riuscito a trovare quello che cercavi?» il tono ha una sfumatura amara.

«Dieci anni, sì. Hai buona memoria».

Lei sorride piano.

Flashback.

Loro due abbracciati entrano in un ristorante. È un posto elegante, lei controlla il suo abito, come se non fosse abituata a indossarlo. Lui le appoggia una mano sulla schiena mentre si accomodano al tavolo.

«Certo che oggi hai proprio esagerato! Cosa ti è venuto in mente di prenotare qui? Sarà carissimo…» il mormorio imbarazzato di Francesca si interrompe quando lui le stringe la mano sulla tovaglia.

«Te l’avevo detto che è importante. Quello che devo dirti vale la spesa, credimi».

Lei sorride. Lui la guarda intensamente.

«Sai quanto sono felice di aver finalmente finito il DAMS e quanto ho sperato di poter iniziare almeno un tirocinio, se non proprio un lavoro, in ambito cinematografico. La scorsa settimana mi ha chiamato la segreteria degli studenti: Giuseppe Federici, un regista che ammiro moltissimo, ha visto il corto che ho presentato all’esame di laurea e gli è piaciuto, quindi ieri ho fatto un colloquio e ha deciso di darmi una chance. Farò un tirocinio con lui di sei mesi! Sta iniziando un nuovo progetto e vuole darmi l’opportunità di imparare con lui. Questa è la mia grande occasione!»

Francesca si alza per abbracciarlo.

«Lo sapevo che sei bravissimo, te l’ho sempre detto! Quindi? Cosa succede adesso?»

«Succede che mi trasferisco a Roma e che nei prossimi sei mesi sputerò l’anima per convincerlo che ha fatto bene a riporre in me la sua fiducia».

«Ma in che senso ti trasferisci?»

«Nel senso che sto cercando casa, mica penserai che posso fare il pendolare!»

«Beh, no…però pensavo che tu potessi tornare almeno nel fine settimana».

«Tesoro, lavorare nel cinema significa non avere orari e certo non si sta a guardare se è lunedì o sabato quando si gira».

«E noi?» Francesca quasi non si accorge delle parole che le escono di bocca.

«Puoi sempre venire a trovarmi, no? L’hai sempre saputo che questa città di provincia mi sta stretta, io non voglio costruire qui il mio futuro. E poi tu hai ancora un paio d’anni di università, è il tempo giusto perché io inizi a fare esperienza e poi ti potrai trasferire anche tu».

«Vedo che hai già programmato tutto…il mio parere è superfluo, vero?»

«Ma che ho detto di così brutto, me lo spieghi? Che c’è che non va ora?»

«C’è che mi sarebbe piaciuto poter dire la mia, per esempio. E c’è che talvolta la vita ti pone davanti delle sorprese che prima ti spaventano ma poi si rivelano importanti…»

«Cosa significa?»

«Significa che la nostra storia finisce qui, ora».

Francesca si alza, recupera la borsa, cammina veloce verso l’uscita senza voltarsi indietro.

Dario la rincorre fuori, la raggiunge e le prende un braccio. Lei si divincola, parla in tono rabbioso. Lui tenta di abbracciarla, poi si spazientisce e le grida qualcosa.

Francesca ha un istante di incertezza, poi si asciuga qualcosa dal volto, si volta e a passo spedito ricomincia a camminare.

Dario la guarda allontanarsi, si gira a sua volta e si incammina nella direzione opposta, dando un calcio di stizza a una lattina lasciata per terra.

Scena 2.

«Sei di passaggio?»

«In verità sto cercando casa, vorremmo avere un punto di appoggio qui, anche se continueremo ad abitare a Roma».

Francesca ha un leggero trasalimento quando sente Dario usare il plurale, ma prima che abbia il tempo di dire qualcosa l’ascensore ha un sobbalzo e si ferma.

«Oddio, che succede ora? Non posso fare tardi!» geme disperata.

Dario prova ad armeggiare con la pulsantiera, schiaccia ripetutamente il tasto del pianterreno ma tutto rimane bloccato.

«Credo che dovremo chiamare aiuto» bofonchia e preme con decisione sul pulsante giallo dell’allarme.

«Centro assistenza, dica» la voce metallica risponde dopo pochi istanti.

«Buonasera, l’ascensore si è bloccato. Dovremmo essere tra il terzo e il secondo piano, almeno credo».

«Aspetti, provo a vedere se riesco a sbloccarlo da qui. Un attimo solo».

Ancora un piccolo sobbalzo, che fa uscire un singulto a Francesca, poi la voce riprende. «No, mi spiace. Arrivo subito. Al massimo venti minuti e sono lì. In quanti siete? Ci sono situazioni di emergenza?»

«Siamo in due e no, non ci sono emergenze in atto».

«Ok, a presto».

«Oddio santo, come faccio adesso? Non arriverò mai in tempo». Francesca fa scorrere velocemente WhatsApp sul telefonino, poi inizia a scrivere in modo forsennato.

«Mi sembra inutile dannarsi l’anima, non possiamo fare niente se non aspettare».

«La fai facile tu, come al solito. Cosa ne sai dei problemi altrui?»

«Perché, che problemi hai? Mi hai già accusato una volta di non tener conto delle tue necessità, o sbaglio?»

Francesca scrolla le spalle. Un ronzio l’avvisa dell’arrivo di un messaggio. Lo apre nervosa, lo legge e si rilassa visibilmente. Risponde veloce, poi rialza lo sguardo su Dario.

«Lo sai benissimo com’è andata. In ogni caso non mi pare che tu abbia fatto chissà che per recuperare».

«Ma se ti ho chiamato almeno venti volte! Non hai mai risposto. E quando sono venuto a casa tua, sono stato gentilmente messo alla porta da tua madre. A proposito, come sta?»

«Così così, ma regge. Comunque non mi hai ancora detto cosa ci fai in questo stabile».

«La tua solita abilità nel cambiare discorso. Sono andato al quinto piano, c’è uno studio legale. Ho deciso di rinunciare all’eredità di mio padre».

«Oh, mi spiace. Che sia morto, non che tu rinunci all’eredità, intendo».

«Beh, considerato quanto ha osteggiato le mie scelte, di qualsiasi tipo, accettare l’eredità – per quanto scarsa possa essere – mi sembrava davvero inconcepibile. Ma tu? Abiti qui?»

«Io? No, no. Lavoro qui, sono assistente alla poltrona nello studio dentistico del quarto piano».

«Assistente alla poltrona? Una laureata in lettere?»

«Guarda che è un lavoro serio, eh! E anche dignitoso, se è per questo. E poi, non mi sono laureata». L’ultima frase le esce a voce bassa, quasi un sussurro.

«Come mai? Eri bravissima, e volevi fare la giornalista, me lo ricordo bene! Sono anche convinto che tu ne avessi tutte le potenzialità».

«Non sempre le cose vanno come vogliamo».

«Sì, ma…»

«Tutto bene lì dentro? Ci siamo quasi» la voce che prima era metallica interrompe per un attimo la frase di Dario.

«Comunque vorrei proprio sapere il motivo per cui hai rinunciato ai tuoi sogni».

«Sì, eh? Guarda, potrei anche accontentarti».

Mentre Francesca fruga nella borsa alla ricerca del telefonino che aveva riposto, con uno scatto improvviso l’ascensore si rimette in moto e un po’ traballando arriva al pianterreno.

La porta si apre sul viso soddisfatto di un tecnico in tuta blu. Appena dietro, un uomo benvestito sorride a Dario. «Non dirmi che ora riesci anche a bloccare gli ascensori! Sei veramente un uomo dai mille poteri!»

Dario sorride di rimando. Lancia un «Sono davvero felice di averti rivisto, Francesca. Lui è Antonio, il mio compagno. Dobbiamo andare, siamo già in ritardo. Spero di vederti ancora, prima o poi». Appoggia un braccio sulla spalla di Antonio e si allontanano insieme.

Francesca, di sasso, guarda la foto sul telefonino. È quella di un bambino di circa nove anni, sorridente. Il ritratto di Dario. Lei sospira, rimette il telefono in borsa e si incammina dalla parte opposta alla loro.

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5 commenti »

  1. Mi è piaciuto. Specie il finale amaro.

  2. Racconto di per sé interessante ma soprattutto molto “cinematografico”, con le scene che si susseguono con un buon ritmo, i dialoghi realistici, i movimenti calibrati per una messa in scena che funzionerebbe alla grande. Ti auguro di vedere realizzato il tuo soggetto che, per quanto mi riguarda, sto già immaginando. Una buona scrittura, del resto, si llascia vedere oltre che sentire e tu sei riuscita a trasmettere bene immagini e sentimenti.

  3. Grazie a entrambe per l’apprezzamento.

  4. Le cose non sempre vanno come pianificato e quando accade l’unica strada è andare avanti: corto molto, molto realistico. Complimenti Ilaria.

  5. Credo che le storie sentimentali siano il tuo forte. Sei brava a tirare fuori dai tuoi soggetti i sentimenti veri, buoni o meno che siano, e lo fai in maniera ammirabile. Il colpo di scena finale è efficace e completa il quadro. La storia è piacevole da leggere e “da vedere.” In bocca al lupo.

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